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Deus charitas? No, Deus caritas!!! Eu-angélo? No, Van-gélo!!!

SESSO, POLITICA, E RELIGIONE - OGGI. IL "CATTOLICESIMO" PLATONICO E LA PLANETARIA "CAVERNA A LUCI ROSSE". QUALE POSSIBILE NUOVO RAPPORTO TRA "EROS"(il "dio" di Platone) E "AGAPE"(il "dio" di Giovanni)? Un’intervista al teologo Giuseppe Angelini - a cura di Federico La Sala

martedì 13 marzo 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] E’ ancora attuale la frase di Paolo VI: la politica è la più alta forma di carità?
«Certo. Chiede, però, che sia pensata la figura della politica, correggendo le concezioni moderne, che la riducono a discorso sulle forme dell’uso legittimo del potere. Occorre ripensare la politica come forma della alleanza umana e non solo come esercizio del potere» [...]
IL NOME DI DIO, SENZA GRAZIA ("CHARIS")! L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA (...)

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> SESSO, POLITICA, E RELIGIONE - OGGI. IL "CATTOLICESIMO" PLATONICO E LA PLANETARIA "CAVERNA A LUCI ROSSE". --- Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia (di Margherita Pelaja e Lucetta Scaraffia).

mercoledì 17 settembre 2008

anticipazione

L’accusa è di quelle che pesano e attribuisce alla Chiesa un pensiero «antimoderno» sulla sessualità. Due studiose, una laica e l’altra credente, smontano il luogo comune

Riconciliare eros e libertà

Non si tratta di emancipazione o di oscurantismo. Il clima oggi è più favorevole a un confronto tra etica laica e religiosa che veda nell’atto sessuale un nuovo incontro fra anima e corpo

DI MARGHERITA PELAJA E LUCETTA SCARAFFIA (Avvenire, 17.09.2008) *

Quasi tutte le culture hanno fatto ricorso alla religione per governare la sessualità e conferirle un senso sim­bolico. La sessualità si presenta a­gli esseri umani come contraddit­toria: da un lato potente origine della vita, dall’altro forza oscura che si impadronisce dell’uomo, gli fa perdere la padronanza di sé, e quindi deve essere domata. L’im­peto della passione infatti può mi­nacciare la debole coerenza dell’io: le religioni forniscono i mezzi più efficaci per salvaguardare la sua in­tegrità e controllare la violenza de­gli istinti. Le più antiche attitudini umane nei confronti della sessua­lità sono state la divinizzazione e la sacralizzazione, entrambe espres­sioni della percezione dell’amples­so come di una esperienza supe­riore, divina, per l’energia del desi­derio e l’estasi del piacere, per la partecipazione al potere feconda­tore.

Il monoteismo, stabilendo la tra­scendenza del sacro, implica la de­sacralizzazione delle potenze vitali e sessuali. Il cristianesimo si diffe­renzia tuttavia dagli altri monotei­smi a causa dell’Incarnazione, e i­naugura così un nuovo modo di dare senso spirituale, all’atto ses­suale. Dio che si è fatto carne, i corpi che resuscitano, i corpi visti come tempio dello Spirito Santo conducono infatti a una comples­sità nuova del rapporto con la car­ne, che diventa essa stessa parte e strumento del cammino spirituale che ogni cristiano deve compiere. Per la cultura cristiana, il desiderio dell’altro fa parte della dimensione corporea, ed è quindi positivo, per­ché in essa si rispecchia la volontà di Dio. Il comportamento sessuale diventa allora un altro percorso dell’evoluzione spirituale, sia nella via ascetica, sia in quella matrimo­niale: e in tale percorso si intrec­ciano naturalmente carne e spirito, sentimenti ed eros.

Ma la posizione attuale della Chiesa nei confronti della sessualità è veramente op­pressiva e «antimoderna»? Abbia­mo voluto consapevolmente sfug­gire all’atteggiamento che Odo Marquard individua come specifi­co dell’epoca moderna, cioè la tra­sformazione della storia in un tri­bunale al quale «l’uomo sfugge solo identificandosi con esso». Abbiamo preferito non diventare un tribuna­le, né due tribunali in confronto fra loro, ma invece ricostruire il pro­cesso storico che ha portato fino al­la situazione attuale sia la Chiesa sia i suoi critici. Nel ricorso alla sto­ria che giudica infatti, abbiamo col­to quello che si può considerare un luogo comune tipico della moder­nità: quello che fa sì che colui che accusa «assumendo monopolio dell’accusa biasima, quanto al male nel mondo, gli altri uomini in quanto riluttanti all’emancipazio- ne, in quanto cattivi uomini creato­ri, e li condanna immediatamente a diventare passato».

La concezione rivoluzionaria del­l’atto sessuale proposta dal cristia­nesimo delle origini e poi ap­profondita e articolata dalla Chiesa è stata considerata negli ultimi se­coli obsoleta e dannosa: le scienze moderne - medici, antropologi, poi sessuologi - hanno elaborato una categoria astratta, quella di sessualità,da studiare come feno­meno a parte, e da disciplinare se­condo criteri generali, che si sareb­bero voluti scientifici ma che spes­so sono diventati ideologici. A tali criteri si sarebbe dovuto confor­mare il comportamento dei singo­li, magari con il sostegno e il consi­glio degli «esperti».

Per lunghissimi secoli, la vi­sione cattolica ha inserito in­vece il comportamento ses­suale all’interno del cammino per­sonale di purificazione e di santifi­cazione che è compito di ogni cri­stiano, in quel fragile equilibrio tra corpo e anima che è costitutivo di una tradizione religiosa fondata sull’Incarnazione; ma anche all’in­terno di un sistema morale globa­le, costruito sugli enunciati gene­rali del peccato e della sua condan­na, e sulla distin­zione del lecito dal­l’illecito. Almeno fino alla metà del Novecen­to queste due im­postazioni non po­tevano comunicare fra di loro, perché erano per molti a­spetti incommensurabili.

Sarà solo quando la Chiesa - a par­tire dall’Humanae vitae, per prose­guire più decisamente con la nuo­va proposta teorica di Wojtyla - co­mincia ad affrontare in termini a­stratti il problema del comporta­mento sessuale, che lo scontro si trasferirà su un terreno comune. Solo allora cioè diventerà chiaro che non si tratta semplicemente di una dialettica fra libertà e oppres­sione, tra emancipazione e oscu­rantismo, ma del conflitto fra due diverse concezioni di sessualità: l’una, quella laica, che colloca an­che l’atto sessuale nella sfera della libertà individuale, l’altra, quella cattolica, che lo giudica e lo defini­sce come momento importante del percorso spirituale di ogni cre­dente, un incontro fra anima e cor­po che non si può sottrarre al ri­spetto delle regole religiose. L’una basata su un’analisi scientifica del­la sessualità e sull’autonomia del soggetto intesa come valore domi­nante, l’altra fondata sulla costitu­zione dell’individuo come soggetto morale in un sistema di norme de­finite. Per dirlo con le parole di Foucault, «il compito di mettersi alla prova, di analizzarsi, di con­trollarsi di una serie di esercizi ben definiti pone la questione della ve­rità - di ciò che si è, di ciò che si fa e di ciò che si è capaci di fare - nel cuore della costituzione del sog­getto morale».

Oggi - paradossalmente, vi­sta l’asprezza del dibattito politico-ideologico - è pos­sibile forse un approccio meno conflittuale al problema, almeno dal punto di vista teorico. La diffe­renza fra le due concezioni non co­stituisce più un momento brucian­te di scontro nelle società occiden­tali, come è stato almeno fino alla metà del Novecento: nei paesi «a­vanzati » sembra aver prevalso, nel­la mentalità comune, la proposta laica, ma questa nello stesso tem­po è stata sottoposta a critiche da diversi punti di vista - quello fem­minile, ma anche quello di intellet­tuali laici come Marcel Gauchet - senza che ciò abbia comportato l’adesione alla visione cattolica, come sarebbe accaduto quando i due schieramenti si fronteggiava­no polarizzati. Mentre sono caduti alcuni orpelli ideologici, e soprat­tutto l’illusione che la libertà ses­suale costituisca di per sé una con­dizione fondamentale per la feli­cità individuale, altre categorie hanno subito slittamenti di collo­cazione e di significato: la natura, ad esempio, invocata dai teorici della rivoluzione sessuale come garante di una sessualità finalmen­te libera da condizionamenti so­ciali e religiosi, è diventata richia­mo severo della Chiesa e un ordine immutabile nella procreazione; la sfera privata, difesa dai moderniz­zatori laici come ambito intoccabi­le di scelta individuale, appare pro­sciugata di senso e di valori, e sem­bra respingere soprattutto le don­ne in antiche solitudini, nel rap­porto con il proprio corpo e con il proprio desiderio, nella scelta di maternità. È tempo, forse, che il comportamento sessuale torni a essere problema collettivo.

*

IL LIBRO

Oltre il cattivo stereotipo della sessuofobia cattolica

Il luogo comune è solido: per il cattolicesimo il piacere è colpa, il sesso peccato. Da praticare con parsimonia e disagio esclusivamente nel matrimonio e principalmente per procreare. Alcuni enunciati si ripetono nel corso del tempo nella predicazione cattolica fino a rendere possibile una sintesi così brutale. Ma sensibilità più libere, analisi circostanziate dei testi e delle politiche possono di volta in volta articolare, smentire, fino a sgretolare il potenziale conoscitivo di un assunto così generico. È quel che intende mostrare il libro «Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia» scritto da due studiose - una laica e l’altra cattolica, Margherita Pelaja e Lucetta Scaraffia - che esce oggi da Laterza (pagine 322, euro 18) e dal quale anticipiamo un brano.

La loro indagine rivela come il tentativo di unire lo spirito alla carne, e quindi valorizzare spiritualmente la sessualità, segni potentemente periodi e figure della storia della Chiesa - basti pensare al «Cantico dei Cantici» - mentre una politica della sessualità che alterna repressione e clemenza scorre parallela e agisce da efficace sistema di governo delle anime dei fedeli. La soluzione è sofisticata e funziona per secoli, finché non viene erosa dal primato della scienza che sembra dominare la modernità.


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