Ma don Milani non era nemico della grammatica
di Sandro Lagomarsini (Avvenire, 26.05.2007)
«Non mi scoscenderai neanche con le mine!». Questa feroce volontà di non lasciarsi mettere in crisi è attribuita da don Milani, in «Esperienze Pastorali», al contadino del Mugello che va a confessarsi corazzato di convinzioni tradizionali. Ho l’impressione che lo stesso atteggiamento «corazzato» sia stato alla base dell’attacco al «milanismo» condotto da Sebastiano Vassalli quindici anni fa e rinverdito da Paola Mastrocola qualche giorno fa sulla «Stampa». È una corazza fatta anzitutto di luoghi comuni, a cominciare da don Milani «nemico della grammatica».
Scrive il priore di Barbiana nel ’56: «Sono otto anni che faccio scuola ai contadini e agli operai e ho lasciato ormai quasi tutte le altre materie. Non faccio più che lingua e lingue». Aggiunge nel ’58 che «tre anni di grammatica e di lingua» gli sono bastati per far vibrare i bambini «alla cultura, al pensiero, alla fede», mentre tra i giovani c’è qualcuno che «s’è battuto sui romanzieri russi e li intende». Quanto poi alla impostazione severa ed esigente delle scuole di don Milani, da quella «popolare» di San Donato a quella «privata e pirata» di Barbiana, si tratta di realtà nota e perfino criticata. Ma se i ragazzi barbianesi sull’ultima guerra stavano «quattr’ore senza respirare», è chiaro che alla severità si aggiungeva la capacità di interessare e coinvolgere.
La «Lettera a una professoressa» è datata? Ci mancherebbe che no, ma forse su altri punti, Opera di otto giovani di campagna coordinati da un prete moribondo, la Lettera contiene dati statistici, critiche puntuali, proposte discutibili; il tutto espresso in una lingua - lo riconosceva lo stesso Vassalli - da alta qualità letteraria. E allora è strano che proprio letterati professionisti leggano quelle pagine equivocando il senso di un genere letterario a sé stante, una rivendicazione di dignità che irrita e diverte, commuove e convince, ma non ha nulla a che fare con l’«odio di classe».
La «Lettera» responsabile dei problemi di oggi? Della scuola superiore in generale la «Lettera» non parla e, riferendosi solo alle magistrali, distingue in modo accurato: «Il problema qui si presenta tutto diverso da quello della scuola dell’obbligo. Là ognuno ha un diritto profondo a essere fatto eguale. Qui invece si tratta solo di abilitazioni. Si costruiscono cittadini specializzati al servizio degli altri. Si vogliono sicuri». E la severità vale anche «per il farmacista per il medico, per l’ingegnere». Dov’è dunque l’incoraggiamento al lassismo? I futuri letterati, che purtroppo lavoreranno a prostituire le parole alla merce nella pubblicità, hanno bisogno di conoscere l’«Iliade», l’«Odissea» e Foscolo. Ma nel «canone occidentale» ha un posto anche la Bibbia; la «Lettera» l’ha scoperto e la scuola continua a ignorarlo.
Le «professoresse» ripetono da quarant’anni che amano l’italiano e che devono essere esigenti. Brave. Ma la «Lettera» dice un’altra cosa. Afferma per quasi novanta pagine che la formazione linguistica di base, per milioni di ragazzi privi di retroterra culturale scritto, visto il poco tempo disponibile, deve puntare sul parlato, rinunciando se occorre a qualche «squisitezza letteraria»; e sostiene l’affermazione con dati di esperienza. Dov’è lo scandalo? Certo che le moderne tecniche di semplificazione e frantumazione dei testi - consigliate alle superiori - fanno inorridire, ma che c’entra in questo la «Lettera»? Si leggano, i critici, i programmi delle medie inferiori del 1979, che la «Lettera» ha sicuramente influenzato e dica se non sono ancora attuali; leggano poi i programmi elementari dell’85 e si accorgeranno che a quel punto la scuola ha preso tutt’altra strada. A Barbiana si imparava l’orgoglio delle proprie origini contadine e ci si apriva non da inferiori alle altre culture; la «Lettera» dimostra che il metodo funzionava.