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OBIEZIONE DI COSCIENZA !!! L’OBBEDIENZA NON E’ PIU’ UNA VIRTU’. LETTERA AI CAPPELLANI MILITARI. LA LEZIONE DI DON LORENZO MILANI - a cura di Federico La Sala

lunedì 19 marzo 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la Patria, cioe’ noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo. E se manteniamo a caro prezzo (1.000 miliardi l’anno) l’esercito, e’ solo perche’ difenda colla Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranita’
popolare, la liberta’, la giustizia. E allora (esperienza della storia alla
mano) urgeva piu’ che educaste i nostri (...)

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> OBIEZIONE DI COSCIENZA PER LA DIFESA DELLA VITA!!! LETTERA AI CAPPELLANI MILITARI. LA LEZIONE DI DON LORENZO MILANI - a cura di pfls

mercoledì 13 giugno 2007

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ANNIVERSARI

Il Priore moriva e a Torino nasceva il «Gruppo Abele». Parla don Ciotti

Don Milani, 40 anni sulla strada

«Le Barbiane dei nostri tempi sono ancora tante, in Africa o sulle spiagge dove le onde depongono i cadaveri dei clandestini»

di Luigi Ciotti (Avvenire, 13.06.2007)

Don Lorenzo Milani. Quando morì, quarant’anni fa, il Gruppo Abele cominciava appena a muovere i primi passi sulla strada, luogo di povertà, di bisogni, di linguaggi, di relazioni e domande in continua trasformazione che è stato elemento costitutivo della nostra identità e punto di riferimento del nostro lavoro. Ma è proprio su quella strada - misurandoci con l’incertezza e la complessità, educandoci a non selezionare i compagni di viaggio, nel dialogo e nella responsabilità reciproca - che abbiamo «incontrato» tante volte don Milani, toccati dal suo insegnamento, dalle sue sintuizioni, dalla viva eredità che ci ha lasciato. Ricordo un giorno, molti anni fa. Ero andato a Barbiana assieme a ragazzi del «Gruppo», alcuni dei quali segnati da dolorose e difficili storie di emarginazione. Percorremmo quella via in salita, lasciammo una firma sul quaderno del piccolo cimitero nascosto tra i boschi, ci sentimmo immersi nell’atmosfera di austerità e di essenzialità che avvolgeva quel luogo sperduto dell’Appennino.

Di certi posti aspri e selvatici si usa dire che sono «abbandonati da Dio». L’emozione di quel giorno - un’emozione che si rinnovò anche nelle occasioni successive - mi fece capire che, proprio a Barbiana, Dio aveva trovato in don Milani un testimone straordinario, capace di saldare il Cielo e la Terra, il Vangelo e la giustizia sociale, l’essere cristiani e cittadini in questo mondo e per questo mondo. Se il Gruppo Abele ha scelto come punto di riferimento la strada - e proprio «Università della strada» avremmo chiamato, alla fine degli anni Settanta, la nostra attività di formazione del sociale - fu anche grazie al coraggioso slancio di don Milani e di quella Chiesa che non aveva mai avuto paura d’incontrare e mischiarsi all’umanità più oppressa e fragile, in doppia fedeltà a Dio e all’uomo che non è un dividersi ma un rafforzare l’Uno attraverso l’amore dell’altro.

Suona allora perfino ovvio, a 40 anni dalla morte, parlare di attualità di don Milani. La st rada che ci ha indicato è infatti ancora lunga da percorrere. Nel mondo l’ingiustizia e la povertà non sono certo diminuite, e la Barbiana degli anni Cinquanta si riflette nelle tante Barbiane del nostro tempo: quelle dell’Africa e dell’America Latina, quelle delle zone di guerra e di certe spiagge del Mediterraneo, dove a volte le onde depongono i corpi delle vittime della fame, della schiavitù e dell’ingiustizia globale: 1582 nel solo 2006. Ma anche le Barbiane di chi dall’altra parte è approdato, senza però trovare pace e dignità: quelle delle baraccopoli e dei quartieri ghetto, delle case sovraffollate e dei rifugi di fortuna, quelle di chi cade in mano alle mafie del caporalato e della prostituzione.

Attuale è don Milani anche per la radicalità, la passione, la coerenza con cui ha percorso il suo tratto di strada. Una coerenza e una radicalità che non smettono di provocarci, essere pungolo alle nostre coscienze, animate da una fede che, scrive giovanissimo in Esperienze pastorali, non è qualcosa da «infilare alla prima occasione nei discorsi», ma un «modo di vivere e di pensare».

È in questa tensione spirituale ed etica che nasce e matura l’esperienza straordinaria della scuola. Don Milani riconosce grande importanza alla «parola», strumento non solo di salvezza ma anche di liberazione umana: «Ogni parola che non conosci è una pedata in più che avrai nella vita». La sua esperienza con i ragazzi della Scuola di Barbiana sta tutta in questo impegno: nel cercare di costruire, coinvolgendosi in prima persona, un’esperienza educativa volta a offrire a tutti, e specialmente ai più fragili, la conoscenza e il dominio della parola in quanto strumento essenziale per leggere la realtà, individuarne le contraddizioni e le disuguaglianze, e diventare così consapevoli dei propri diritti, della propria inviolabile dignità di persone e di cittadini. È in questo senso che va interpretato il famoso passo sulla disobbedienza che non è più virtù: non come un generico invito al la ribellione, ma come un’esortazione ad ascoltare la voce della propria coscienza, che non è mai accomodante e ci chiama sempre a quella responsabilità che proprio l’obbedienza acritica permette di eludere. In un mondo dominato dal sistema consumistico, dove i giovani sono continuamente soggetti alle lusinghe di un mercato che vorrebbe trasformarli in massa indifferenziata, la proposta di don Milani è destinata paradossalmente a farsi sempre più strada. Perché è una proposta liberante, che invita a essere critici, attenti a ciò che davvero è sostanziale, andando così incontro al bisogno di differenza presente nel cuore di ogni essere umano ma soprattutto in quello dei giovani, perché la vita in loro è ancora informe e quindi desiderosa di scoprirsi nella sua unicità, diversità, libertà. Libertà di cui don Milani è stato indubbiamente un maestro. A noi spetta il compito di esserne, almeno, testimoni credibili.


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