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In questo Granel di sabbia, il qual terra ha nome

LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO. IL "TESTAMENTO" DI GIACOMO LEOPARDI - a cura di Federico La Sala

E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce (Gv.: III, 19).
venerdì 27 settembre 2019 di Maria Paola Falchinelli
Giacomo Leopardi (Recanati 1798 - Napoli 1837) "filologo ammirato fuori d’Italia / scrittore di filosofia e di poesie altissimo / da paragonare solamente coi greci": cosi’ nella lapide dettata da Pietro Giordani ("perfetta", amava dire il nostro amico Annibale Scarpante, "a cui solo
aggiungeremmo: eroico combattente per la dignita’ umana,
fedele al vero e al giusto, amico della nonviolenza").
LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” (...)

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> E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce (Gv.: III, 19). LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO. IL "TESTAMENTO" DI GIACOMO LEOPARDI --- Giallo Leopardi: gli inediti giovanili sui Salmi e i Vangeli.

lunedì 22 settembre 2008

Recanati, una studentessa, durante le ricerche per la tesi, scopre alcuni scritti sconosciuti del poeta. Testi dell’infanzia, con motivi biblici e cristiani, che assieme ad altri giacciono lontano da occhi indiscreti

Giallo Leopardi: gli inediti giovanili sui Salmi e i Vangeli

Un testo commenta il salmo 56: «Torbida, e fosca tra l’atre caligini, che d’ogni intorno la cingono volvesi taciturna la notte. Un cupo orrore si stende per tutto, e le più dense, e oscure tenebre regnano d’ogni parte...» Un altro scritto riguarda l’Ecclesiaste, un altro ancora il Vangelo di Marco

di Andrea Paganini (Avvenire, 22.09.2008) *

il sogno di tanti ricercatori: una scoperta dal sapore eclatante, un Èritrovamento dalle trame romanzesche; è storia dei nostri giorni. Il colpo grosso - e parlando di Giacomo Leopardi di un colpo sensazionale si tratta, pur avendo a che fare nello specifico con scritti minori e giovanili - è capitato a una giovane ricercatrice campana, Carla Pagliarulo, laureata in filologia moderna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Durante le sue ricerche per la tesi ha infatti rinvenuto in Casa Leopardi alcuni scritti inediti del più grande poeta italiano dell’Ottocento. Si tratta di composizioni risalenti all’infanzia e, più precisamente, di alcune carte finora sconosciute apparentemente persino alla famiglia, raccolte in una cartella insieme alle riproduzioni fotografiche degli altri scritti puerili, già noti. Il ritrovamento è avvenuto, per così dire, sotto l’imprevedibile regia del ’ caso’ e la studiosa ha potuto consultare i documenti solo per poco tempo. Di norma non è in effetti ancora possibile prendere diretta visione dei manoscritti leopardiani di quei primi anni di attività creativa ( 1809- 1811), eccezion fatta per qualche quaderno portato alla luce da Maria Corti negli anni Settanta, attualmente sotto vetro in una delle stanze visitabili della casa di Recanati.

Le foto in questione sono state recentemente trasferite dal Centro Nazionale di Studi leopardiani alla Casa della famiglia Leopardi, forse a conoscenza di carte ancora inedite. D’altro canto a uno studioso che visita il Centro non è consentito consultare le fotoriproduzioni degli autografi, che pure sono lì conservate. C’è da chiedersi se tale riservatezza sia utile a qualche finalità scientifica o se non sarebbe più opportuno, da parte dei responsabili, agevolare l’accesso al fondo per favorire il lavoro dei ricercatori, anche ai fini di una doverosa conoscenza esaustiva di Leopardi.

Pagliarulo, che per la sua tesi di laurea ha effettuato uno studio approfondito sugli scritti puerili del Poeta di Recanati, ha immediatamente notato l’eccezionalità delle carte che - in modo inatteso e insperato - si è trovata tra le mani e che, a un’attenta analisi, sono risultate sconosciute e inedite.

Il primo scritto in questione occupa sette fogli in formato A4. Si tratta di un commento a dei versetti del Salmo 56 ( come indicato dall’autore in testa alla prosa), forse accostati nella Liturgia delle ore all’inno 27: « Notte, tenebre e nebbia, / fuggite: entra la luce, / viene Cristo Signore. II Il sole di giustizia / trasfigura ed accende / l’universo in attesa » .

Ecco le prime righe: « Torbida, e fosca tra l’atre caligini, che d’ogni intorno la cingono volvesi taciturna la notte. Un cupo orrore si stende per tutto, e le più dense, e oscure tenebre regnano d’ogni parte. Il cielo ricoperto di nere nubi più non diffonde splendore alcuno, e fra l’opaca nebbia, da cui mirasi avvolta la terra non odesi, che il gemito lamentevole del gufo urlante, o dell’upupa dogliosa.

Ma squarciasi ad un tratto all’apparire del lucido Pianeta l’orrido manto, che oscura, e ricopre l’azzurra faccia del cielo, e tosto vedonsi indorate dal vivido fulgore le rilevate cime de’ monti, e per ogni parte miransi diradate le nere caligini, e le opache tenebre della notte, che incalzata per ogni intorno dai splendidi raggi del sole, che sempre più crescendo tutto l’aspetto illuminano dell’emisfero fugge e sgombra lascia la terra fra i benefici influssi del sublime pianeta » ( corsivo della studiosa).

Importanti indizi lo fanno ritenere leopardiano: la grafia anzitutto, e poi la vicinanza non solo tematica, ma anche formale con altri componimenti risalenti agli anni del suo apprendistato letterario. Tra questi - osserva Pagliarulo - sono numerosissimi i notturni accostabili al nostro: dalle prime Prose - tra cui una Descrizione del sole e dei suoi effetti, dove « tramonta il sole, ed ecco spandersi le oscure tenebre. Tutto il bello sparisce, e mesto silenzio, e tetro orrore regna per tutto » - alla quinta delle canzonette su La Campagna - « d’opache e folte tenebre / già si adombra ogni altro monte » -. Anche nei primi idilli leopardiani in endecasillabi sciolti, La Spelonca e La Libertà latina difesa sulle mura del Campidoglio, che tutto hanno da invidiare agli Idilli successivi, non manca l’immagine della notte che ricopre ogni dove con il suo manto di tenebre.

Del resto l’incipit - rileva la giovane studiosa che desidererebbe poter indagare a fondo su questi documenti - non può non richiamarne un altro, quello della Tempesta notturna cantata nella sesta sezione del Catone in Affrica: « Fra l’atre, oscure tenebre, / fra il mesto, e cupo orrore / notte su l’ali tacite / avvanzasi dell’ore, / e sovra il mondo intero / superba stende il plumbeo scettro altero. / In dolce quiete placida / giace natura avvolta; / tutto d’intorno ottenebra / densa caligin folta; / un nubiloso velo / d’ogni parte ricuopre, e terra, e cielo » . Versi che pure si ripropongono nell’ottavo componimento della stessa raccolta: « S’asconde il sole; un nero / oscuro manto infra l’opaco orrore / vedesi intorno ottenebrare il cielo, / regna dal soglio altero, / e lo scettro leteo stende il sopore; / tutta cuopre natura un denso velo; / giace la terra in cieco obblìo sepolta » .

Conoscendo l’uso del poeta fanciullo di comporre prima in prosa le sue riflessioni per poi versificarle, le poche righe trascritte rivestono un notevole interesse filologico. Anche il secondo testo ritrovato dalla giovane ricercatrice ( otto fogli di prosa italiana) costituisce una riflessione che s’apre alla mente dell’autore prendendo le mosse da una citazione biblica: « In fide, et lenitate ipsius sanctum fecit illum » ( Eccl., XLV, 4). Pagliarulo rileva giustamente che le parole dell’incipit - « L’uomo la più nobil creatura, che uscita sia dalle mani dell’onnipotente [...] » - sono contenute in una delle Dissertazioni filosofiche, Sopra l’anima delle bestie, dove sono però inserite in corpo di testo e non seguono la frase latina citata. Il nostro testo potrebbe insomma costituire un primo ragionamento poi rielaborato nella Dissertazione, scritta in quegli stessi anni 1811- 1812, tanto prolifici di sperimentazioni.

Carla Pagliarulo segnala ancora un intero quaderno che sembra essere sfuggito agli occhi di quanti finora hanno compiuto ricerche leopardiane. È risaputo che il giovanissimo poeta raccoglieva i suoi scritti con ordine quasi maniacale in quaderni che dovevano assomigliare per quanto possibile a un libro, con frontespizio talvolta dotato di disegni geometrici o floreali a penna. Delle 24 carte fotografate che costituiscono il testo in questione, la prima reca il titolo: « Lo spettatore dello spettatore inglese. Quaderno I » . I fogli di carta da lettera sono piegati in due, sì da dar luogo a due carte ciascuno, per un totale di 45 fogli numerati da 3 a 47. Non si tratta però di un’opera completa: suscita infatti molti dubbi il fatto che la pagina tre si apra con l’indicazione « Num. 20 » e che le foto s’arrestino al « Num. 39 » , la cui incompletezza fa pensare all’esistenza di una continuazione.

Vi sono poi, tra i documenti visionati dalla studiosa, undici foto di altre carte mai pubblicate. Conoscendo la profonda preparazione religiosa dell’ « ateo » Leopardi, cui i costumi del tempo e la famiglia lo costrinsero, non stupiscono i numerosi interventi speculativi evocati da motivi cristiani, come ad esempio una riflessione sul versetto 26 del XXVII capitolo del Vangelo di Matteo.

Il ritrovamento, cui hanno concorso certamente tanto la fortuna quanto l’acume della giovane studiosa ormai esperta dei primi scritti leopardiani, ha senz’altro del clamoroso. Sorprende, per la verità, che tali documenti siano rimasti, e rimangano tuttora, segregati - e segretati - non si sa bene dove e per quale motivo ( benché, essendo stati fotografati, del tutto svaniti nel nulla non dovevano essere). L’augurio, e l’auspicio, è che essi possano presto vedere la luce ed essere valorizzati - magari proprio a cura di Carla Pagliarulo -, fornendo così un tassello in più alla conoscenza del mosaico della produzione letteraria di un gigante dell’era moderna.

* © Il Giornale del Popolo di Lugano e per l’Italia Avvenire


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