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In questo Granel di sabbia, il qual terra ha nome

LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO. IL "TESTAMENTO" DI GIACOMO LEOPARDI - a cura di Federico La Sala

E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce (Gv.: III, 19).
venerdì 27 settembre 2019 di Maria Paola Falchinelli
Giacomo Leopardi (Recanati 1798 - Napoli 1837) "filologo ammirato fuori d’Italia / scrittore di filosofia e di poesie altissimo / da paragonare solamente coi greci": cosi’ nella lapide dettata da Pietro Giordani ("perfetta", amava dire il nostro amico Annibale Scarpante, "a cui solo
aggiungeremmo: eroico combattente per la dignita’ umana,
fedele al vero e al giusto, amico della nonviolenza").
LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” (...)

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> LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO. IL "TESTAMENTO" DI GIACOMO LEOPARDI - NAPOLI. San Martino, al via la mostra "Vesuvio quotidiano_Vesuvio universale". Cento opere, dal Cinquecento a oggi, per raccontare la paura.

sabato 6 luglio 2019

San Martino, al via la mostra "Vesuvio quotidiano_Vesuvio universale"

Cento opere, dal Cinquecento a oggi, per raccontare la paura ancestrale della presenza incombente del vulcano sul paesaggio e sulla città

di la Repubblica-Napoli (06 luglio 2019) *

Fino al 29 settembre 2019 alla certosa e museo di San Martino apre al pubblico la mostra "Vesuvio quotidiano_Vesuvio universale", curata dalla direttrice del Polo museal campano Anna Imponente, in collaborazione (per la parte storica) con la direttrice del sito Rita Pastorelli.

L’esposizione raccoglie alcune delle suggestioni suscitate nel corso del tempo dalla paura ancestrale della presenza incombente del vulcano sul paesaggio e sulla città, come espressione della potenza della natura e della fragilità umana. Secondo la curatrice Imponente: “Nell’immaginario artistico la bellezza conturbante del Vesuvio è considerata simbolo tragico della catastrofe, montagna di fuoco che distrugge, ma che diventa vitale e rigeneratore”. In rassegna, un centinaio di opere dal Cinquecento ad oggi, tra cui alcune delle più significative provenienti dalle raccolte del museo accanto ad altre di collezioni pubbliche e private.

“Assieme alle testimonianze delle eruzioni del 1631, del 1754 e del 1872 - continua Anna Imponente - le opere contemporanee reinterpretano piuttosto un’ansia creativa e rigeneratrice che attraverso il tempo si traduce in prorompente vitalità. Lo "sterminator Vesevo" leopardiano (La ginestra, 3 - 1836) può infondere all’arte un flusso incomparabile di nuova energia, così come succede in natura per la fertilità della terra, alimentate entrambe da una forza cosmica in equilibrio tra distruzione e rigenerazione. Il titolo trae spunto da quello di una mostra di Stefano Di Stasio, "Vesuvio quotidiano" (San Gemini, 2016) e dal titolo del recente ritratto raccontato nel libro di Maria Pace Ottieri "Vesuvio universale". I due termini contrapposti offrono l’idea dalla terribilità di una natura incombente e di una socialità che si sviluppa per esorcizzarne il pericolo”.

Si inizia con la cartografia cinquecentesca di interesse naturalistico, fra cui la preziosa stampa di Athanasius Kircher, tratta da Mundus supterraneus (Amsterdam, 1665), che presenta la fantasiosa immagine di un Vesuvio in sezione. Il percorso della mostra prosegue poi con una sezione dedicata ad alcune fasi della “carriera” del vulcano: le eruzioni del 1631, del 1754 e le altre che si susseguirono nel Settecento, del 1872. Attorno alle raccolte storiche, con opere emblematiche come "L’Eruzione del Vesuvio del 1631" di Domenico Gargiulo (detto Micco Spadaro) di recentissima acquisizione, e al tema della sacra protezione, invocata per la salvezza con il settecentesco busto reliquiario di Sant’Emidio, protettore dei terremoti e dei cataclismi (Cappella del Tesoro di San Gennaro), con la raffigurazione di Castel Sant’Elmo e della certosa di San Martino, si affiancano alcune opere contemporanee.

Dall’eruzione del 1872 trae spunto una serie di immagini del paesaggio vesuviano dal vero di Giuseppe de Nittis, collocate in una sala dedicata, provenienti dalla Pinacoteca civica Giuseppe De Nittis di Barletta e da una collezione privata napoletana, tra i brani più emozionati dell’esperienza giovanile del pittore. Una selezione di dipinti tra Settecento e Ottocento viene completata dalle testimonianze artistiche di Carlo Bonavia, Pietro Fabris, Pierre Jacques Volaire, operanti al tempo del Grand Tour, che documentano le vedute “pirotecniche” del Vesuvio. Accanto ad essi opere di Tommaso Ruiz, di Antonio Joli, e altri artisti che dipingevano “all’ombra del vulcano”.

In una sala a parte sarà esposta l’"Allegoria della prosperità e delle Arti nella città di Napoli" di Paolo de Matteis, del primo Settecento, insieme a una serie di "galanterie" e servizi in porcellana della fabbrica ferdinandea caratterizzate dal tema del Vesuvio in eruzione. Per la prima volta sarà anche integralmente esposta la preziosa serie di circa cento gouache, acquerelli e stampe, consacrate all’immagine del Vesuvio, donata nel 1956 da Aldo Caselli (mecenate e erudito e docente universitario), fra cui tre tavole tratte dal volume di William Hamilton, ambasciatore presso la corte di re Ferdinando IV di Borbone: i "Campi Phlegraei: observations on the volcanos of the Two Sicilies", Londra 1776-1779. Il volume, con tavole di Pietro Fabris, proveniente dalla Biblioteca Nazionale Vittorio Emauele III di Napoli, sarà anch’esso esposto in mostra.

In dialogo con le opere antiche saranno in mostra 50 opere moderne e contemporanee: le terrecotte smaltate di Leoncillo Leonardi, della fine degli anni Cinquanta, in cui il gesto artistico impresso alla materia argillosa acquista una scabra plasticità informale; la combustione di Alberto Burri "Tutto nero" (1956) che rimanda alle fratture e alle bruciature della terra; il ritratto "Vesuvius" (1985) di Andy Warhol che ritrae il vulcano “più grande del mito, una cosa terribilmente reale”; il "Senza titolo" (1996) di Jannis Kounellis in ci l’elemento del carbone concretizza la naturalità della materia povera; il dipinto Odi navali (1997) di Anselm Kiefer, contaminato da piombo agglomerato e bruciature, raffigurazione epica della sofferenza umana.

Nel cortile di ingresso fanno da introduzione alla mostra le due sculture di Bizhan Bassiri (2006) "Meteoriti" nel cortile, installazione completata da "Evaporazione rossa" (2013), una sorta di astro solenne che domina la navata della Chiesa monumentale. Le sculture di Anna Maria Maiolino artista italiana che lavora in Brasile, sono portatrici di un’energia esplosiva capace di modificare la materia del cemento e del raku. La mostra prosegue con le opere di Claudio Palmieri, le cui forme ceramiche contengono il flusso lavico che esplode invece sui dipinti; la scultura di Roberto Sironi fa parte della serie "Fuoco", composta da calchi in bronzo di tronchi o rami d’albero bruciati trovati in natura; nelle grandi carte Adele Lotito si serve della evanescenza e della trasparenza del fumo per misurare e disvelare presenza e assenza; in "Inferno" (2018) l’artista belga Caragh Thuring trae ispirazione dalle antiche gouache napoletane, traducendole in una pittura pastosa con le silhouette sulla cima del Vesuvio, eredi della poetica del sublime. I dipinti di Stefano Di Stasio rispecchiano il suo stile tra simboli e metafore, affiorante dal mondo dell’inconscio e dell’onirico; le tempere su tela del napoletano Oreste Zevola riprendono in forme archetipiche e primitive le figure di santi e di sirene, di teschi e di vulcani fluttuanti nello spazio, legate all’immaginario popolare; nelle Geografie Temporali (2019) di Sophie Ko, artista georgiana che lavora a Milano, il pigmento si mescola alla cenere creando paesaggi mutevoli.

L’esposizione è arricchita dalle foto di Antonio Biasiucci, maestro degli scatti sui vulcani attivi in Italia e del Vesuvio in particolare, di Giovanni De Angelis, che con "Volcano" rimanda al cratere come simbolo di improvvisi cambiamenti, di Maurizio Esposito, che documenta i roghi che nel 2017 hanno devastato il Parco nazionale del Vesuvio, e una “cartolina” di Riccarda Rodinò di Miglione, un gioco di riflessi nelle acque del Golfo e dalla installazione di art sound di Piero Mottola. Lungo il percorso della mostra, in un piccolo ambiente, sarà proiettato il cortometraggio di Maya Schweizer, “Insolite” (2019), realizzato con il sostegno del Goethe Institute: una suggestiva sequenza di immagini del Vesuvio attuali in dialogo con quelle dell’ultima eruzione avvenuta nel 1944, senza alcun nesso narrativo, ma immaginifica ed emozionante.

Per il finissage, venerdì 27 settembre, sarà presentato il catalogo della mostra, edito da Arte-m, con testi di Anna Imponente, Bruno Corà, Fernanda Capobianco, Ileana Creazzo, Luisa Martorelli, Rita Pastorelli, Annalisa Porzio e contributi di Maria Pace Ottieri e Silvio Perrella. Nella stessa occasione saranno riaperti al pubblico i Sotterranei gotici, misterioso ventre della Certosa, che racconta la storia della sua fondazione, simbolico “cratere” del complesso certosino, da cui affiorano i capolavori che questo conserva. A conclusione della presentazione del catalogo sarà proiettato “Sul vulcano”, il film documentario di Gianfranco Pannone.

-  La mostra è organizzata dal Polo museale della Campania con Scabec, col sostegno dell’Associazione Amici di Capodimonte e dell’Associazione Metamorfosi.
-  Orario d’ingresso, tutti i giorni (tranne il mercoledì) dalle 9.30 alle 17. Biglietto 6 euro.

* la Repubblica-Napoli, 06 luglio 2019


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