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In questo Granel di sabbia, il qual terra ha nome

LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO. IL "TESTAMENTO" DI GIACOMO LEOPARDI - a cura di Federico La Sala

E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce (Gv.: III, 19).
venerdì 27 settembre 2019 di Maria Paola Falchinelli
Giacomo Leopardi (Recanati 1798 - Napoli 1837) "filologo ammirato fuori d’Italia / scrittore di filosofia e di poesie altissimo / da paragonare solamente coi greci": cosi’ nella lapide dettata da Pietro Giordani ("perfetta", amava dire il nostro amico Annibale Scarpante, "a cui solo
aggiungeremmo: eroico combattente per la dignita’ umana,
fedele al vero e al giusto, amico della nonviolenza").
LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” (...)

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> E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce (Gv.: III, 19). --- DA LEOPARDI A CORDERO.«Gli italiani? Schiavi dell’oggi e del futile divertimento». Così nel suo celebre «Discorso» Leopardi dipingeva gli italiani quasi due secoli fa. Franco Cordero riprende il testo e lo legge alla luce dell’oggi.

venerdì 29 aprile 2011

Da Leopardi a Cordero

«Gli italiani? Schiavi dell’oggi e del futile divertimento»

Individualisti, dediti solo a svaghi e chiesa, senza sentimento del futuro: così nel suo celebre «Discorso» Leopardi dipingeva gli italiani quasi due secoli fa. Franco Cordero riprende il testo e lo legge alla luce dell’oggi

di Gaspare Polizzi (l’Unità, 27.04.2011)

Ci si interroga sull’assenza, in Italia, di indignazione contro il malcostume e l’illegalità diffusi. Certo, come gli altri Paesi dell’Occidente anche la nazione italiana è priva «d’ogni fondamento di morale, e d’ogni vero vincolo e principio conservatore della società», Nel processo di annientamento di fedi e valori della modernità gli Italiani sono però arrivati al capolinea, dissolvendo ogni principio morale e vincolo sociale in un distruttivo individualismo di massa, nel quale vige l’unico principio che suona «ciascuno fa come meglio crede».

MESSE E DIVERTIMENTI

Nella società italiana le uniche forme di aggregazione sono «il passeggio, gli spettacoli, e le Chiese»: «Essi (gli Italiani) dunque passeggiano, vanno agli spettacoli e divertimenti, alla messa e alla predica, alle feste sacre e profane. Ecco tutta la vita e le occupazioni di tutte le classi non bisognose in Italia». Così scriveva Giacomo Leopardi tra la primavera e l’estate del 1824 nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani, negli stessi giorni in cui componeva il «terribile» Dialogo della Natura e di un Islandese. Se intendiamo il passeggio alla maniera delle distrazioni turistiche e dei viaggi, traduciamo gli spettacoli e i divertimenti nei format televisivi con giochi e veline, lasciando al suo posto secolare la Chiesa, apriamo uno sguardo impietoso sul nostro presente.

Non soltanto manca in Italia l’opinione pubblica, «regolarmente incerta e senza regola; incostante», «varia e mutabile ogni giorno», «le più volte ingiusta, favorevole al male e a’ mali», ma manca anche «ogni sorta di attività» che comporti la ricerca di un obiettivo e la «speranza nell’avvenire»; priva di illusioni e di aspettative, «or la vita degl’italiani è appunto tale, senza prospettiva di miglior sorte futura, senza occupazione, senza scopo, e ristretta al solo presente».

Ora Franco Cordero, in un libro prezioso (Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani seguito dai pensieri d’un italiano d’oggi, Bollati Boringhieri 2011) propone una ristampa molto opportuna del Discorso, integrata da un ampio e coraggioso saggio di ricognizione su Gli ultimi due secoli della malata. Niente di più sensato del riconoscimento che il quadro antropologico descritto da Leopardi non è mutato e del fatto che, se di unità e identità d’Italia si deve tornare oggi a parlare sfruttando al meglio e per il futuro l’occasione del 150 ̊, riformulare la diagnosi di questa «malata» cronica non può che aiutare per una possibile, e sperabile, prognosi.

CINQUE CAPITOLI

Cordero ci offre in cinque ampi capitoli una rassegna ragionata di vicende che - dall’unità d’Italia a oggi - confermano e arricchiscono il quadro delle miserie italiane fornito da Leopardi, tracciano un vademecum che orienta nella società italiana, tramite cronache politiche, sociali e culturali che mettono in scena i miti d’Italia, da Carducci a D’Annunzio, da Giolitti a Prezzolini e a Papini, da Martinetti a Salvemini, e poi il Carnevale nero di Mussolini e del fascismo, per finire con i Tristia, che conducono alla resistibile (ci si augura) ascesa di un «giovane businessman d’anima concupiscente avvolta in sette pelli» che diventa «monarca assoluto della televisione commerciale», di «un pirata, nel cui lessico ‘politica’ significa dominio, lucri, impunità», che «invecchiando perde ogni cautela, torvo e violento».

Ecco il malcostume degli Italiani denunciato da Leopardi: un consenso che poggia su «spettacoli e divertimenti » («tra i suoi elettori meno d’uno su tre sfoglia qualche giornale; in compenso ingoiano almeno tre ore d’ipnosi televisiva quotidiana»). Ma si tratta del radicamento progressivo di una malattia che attecchisce perché «l’organismo italiano, malato, non sviluppa anticorpi».

Ci voleva un giurista dalla penna fine e graffiante per renderci, con contenuti rinnovati, la medesima disincantata diagnosi leopardiana, che rischia di spingere alla solitudine del metafisico, piuttosto che all’impegno del «filosofo di società». E tuttavia, «Il disincanto stimola meccanismi volitivi: non foss’altro, è questione estetica; abitiamo un mondo sordido, ritocchiamolo in meglio».


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