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In questo Granel di sabbia, il qual terra ha nome

LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO. IL "TESTAMENTO" DI GIACOMO LEOPARDI - a cura di Federico La Sala

E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce (Gv.: III, 19).
venerdì 27 settembre 2019 di Maria Paola Falchinelli
Giacomo Leopardi (Recanati 1798 - Napoli 1837) "filologo ammirato fuori d’Italia / scrittore di filosofia e di poesie altissimo / da paragonare solamente coi greci": cosi’ nella lapide dettata da Pietro Giordani ("perfetta", amava dire il nostro amico Annibale Scarpante, "a cui solo
aggiungeremmo: eroico combattente per la dignita’ umana,
fedele al vero e al giusto, amico della nonviolenza").
LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” (...)

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> E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce (Gv.: III, 19). LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO. IL "TESTAMENTO" DI GIACOMO LEOPARDI ---- Divo Barsotti delinea il ritratto di Leopardi poeta religioso, anzi il più profondamente religioso fra i poeti italia­ni (di Bianca Garavelli).

sabato 19 luglio 2008

Leopardi, se Dio si nasconde nella solitudine

di BIANCA GARAVELLI (Avvenire, 19.07.2008).

«In Dante il cristianesimo è la forma di una civiltà, in Manzoni la visione di un mondo guidato dalla Provvidenza. In Leopardi il mondo - tutto: la storia, la società, il progresso - è scomparso. Non rimane che l’uo­mo, ma la solitudine dell’uomo è come il segno di una pre­senza ». Così Divo Barsotti delinea il ritratto di Leopardi poeta religioso, anzi il più profondamente religioso fra i poeti italia­ni. Lo fa attraversando con grande attenzione tutta la sua o­pera, in cerca della sua evoluzione esistenziale. Perciò La reli­gione di Giacomo Leopardi assume il duplice ruolo di analisi letteraria, condotta con acuti strumenti e sensibilità, e di ri­flessione teologica non solo su Leopardi, ma sul suo secolo di crisi, profetico del tempo attuale. Un libro limpido, elegante, senza manierismi formali. Non accademico, e perciò acces­sibile anche ai lettori meno preparati. Massimo Naro, a sua volta sacerdote e teologo, nella Prefazione evidenzia l’attua­lità dell’ampio testo del sacerdote scrittore - nato in provin­cia di Pisa nel 1914 e scomparso nel 2006 dopo una vita dedi­cata alla spiritualità - già uscito per Morcelliana nel 1975.

Secondo Barsotti, Leopardi è il meno provinciale dei poeti i­taliani, tanto emblematico da rappresentare la moderna crisi religiosa dell’intera Europa: nato nel cuore d’Italia, ha però coltivato l’eredità del mondo classico, e ha saputo fonderla con le nuove idee laiche e scientifiche che hanno dato vita al­la Rivoluzione Francese. In questa sintesi sta la sua centralità: Leopardi ha un respiro ampio, parla il linguaggio dei grandi autori, Shelley, Byron, ma con maggiore autenticità, quella che sarà poi di Dostoevskij. Che, sempre ragionando in ter­mini universali, sarà il solo scrittore a superare questa crisi, raggiungendo una nuova, autentica spiritualità cristiana. Se le grandi testimonianze italiane di fede nell’Ottocento sono soprattutto rivolte all’azione - e Barsotti cita per tutti Giovan­ni Bosco - un’autentica voce di spiritualità non dovrebbe e­scludere i grandi conflitti che hanno segnato la dura crisi reli­giosa ottocentesca. Leopardi è questo, è «l’uomo della crisi», perché non ha «trovato troppo presto Dio» come Manzoni, convertito alla fede dopo l’educazione in una famiglia erede del pensiero illuministico. Al contrario, il poeta di Recanati è partito dall’angustia di una fami­glia bigotta che gli ha fatto sentire la religiosità come una costrizione: questo ha provocato in lui una grande sfiducia nel cristianesimo come strumento di crescita e rinnovamento. Tutta­via, paradossalmente, lo ha reso più religioso di Manzoni, perché il rifiuto del cristianesimo, il senso di vuoto e solitudine, hanno dato a Leopardi una straordinaria forza di protesta contro Dio, che non è quindi negazione ma u­na personale e intensa forma di preghiera.

Barsotti riconosce nella poesia la più alta verti­calità della parola, non solo testimone ma an­che creatrice del mondo, e quindi nel poeta la massima con­sapevolezza che la parola ha questa doppia direzione: verso Dio e verso la profondità di sé. In quanto poeta, Leopardi perfeziona l’ultima attitudine della parola umana: essere preghiera, discorso non rivolto soltanto agli uomini, ma an­che e soprattutto a Dio. E proprio il suo senso di abbandono da parte di Dio lo rende, come l’umanità stessa, la più alta te­stimonianza, il più alto indizio di Dio. È questo il centro, la ’radice’ dell’opera di Leopardi. Il suo grido contro Dio è a volte bestemmia, ma non per questo meno preghiera. La sua rinuncia a Dio è dichiarazione dell’impossibilità di vivere senza Dio.

In questa visione di Leopardi Barsotti è vicino al pensiero teologico di Romano Guardini e anticipa in parte le riflessio­ni di Emanuele Severino: Leopardi è molto più di uno scrit­tore, quanto piuttosto un pensatore, il più im­portante per l’Occidente contemporaneo, a cui ha ancora moltissimo da dire. Tuttavia, Barsotti non condivide l’idea di un radicale ni­chilismo leopardiano, perché per lui il nulla a cui arriva il suo pensiero è come ’impronta vuota’ di Dio.

In più, come si diceva, c’è l’attenzione ai testi: quella di Barsotti è una vera e propria interpre­tazione della nascita e dell’evoluzione della scrittura di Leopardi, passando dalla ’religione senza Dio’ delle Operette morali alla ’religione del mistero’ dei Canti recanatesi, fino a leggere in profondità l’ispirazione biblica dei Canti stessi, specialmente dalla figura di Giobbe, e in particolare di quello che è al centro di tutta la poesia leopardiana, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.

-  Divo Barsotti
-  LA RELIGIONE DI GIACOMO LEOPARDI
-  San Paolo. Pagine 286. Euro 17,00


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