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"Le passage du Nord-Ouest" (M. Serres, 1980)."Pietà per il mondo, venga il nuovo sapere"(M. Serres, Distacco, 1986).

MICHEL SERRES: L’ART DES PONTS. HOMO PONTIFEX. Intervista di Louis De Courcy e Guillaume Goubert. Una forte sollecitazione ad uscire dal "neolitico" e, ripartendo dal nostro presente storico, a ri-attivare l’umana (di tutti e di tutte) capacità di "gettare ponti" e a riprendere il cammino "eu-ropeuo"! - a cura di Federico La Sala

giovedì 22 marzo 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Cosa bisognerà dunque inventare per uscire dal vicolo cieco della fame nel mondo, della guerra e delle minacce nucleari e di ogni tipo?
«Data la situazione, bisogna reinventare la scienza politica, la filosofia, insomma l’umanità. Tutto va rivisto perché le condizioni in cui viviamo sono totalmente nuove». [...]
LE "REGOLE DEL GIOCO" DELL’OCCIDENTE E IL DIVENIRE ACCOGLIENTE DELLA MENTE.
IL MONDO COME SCUOLA, LA FACOLTA’ DI GIUDIZIO, LA CREATIVITA’, I NATIVI DIGITALI, E L’ATTIVISMO (...)

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> L’ART DES PONTS. HOMO PONTIFEX. --- MICHEL SERRES: un Toqueville per il xxi secolo. Intervista (di Hans Ulrich Obrist)

domenica 22 dicembre 2013


-   L’intervista con Michel Serres
-  Un Tocqueville per il XXI secolo
-  La tecnologia ha cambiato uomini e istituzioni
-  Serve un filosofo che inventi una nuova società

di Hans Ulrich Obrist (Corriere/La Lettura, 22.12.2013)

Vorrei cominciare dal libro più recente di Michel Serres, Petite Poucette . Ho scritto un articolo su Petite Poucette e vorrei chiedere a Michel Serres - che è filosofo e scrittore - com’è nata l’idea di questo libro, che per il XXI secolo è così bello e ottimista. «L’avvio è stato lento e veloce al tempo stesso - mi dice -. Da un lato, è da molto che scrivo libri sulla comunicazione, cioè su Hermes, sul luogo della comunicazione, sul parassita, sugli ostacoli della comunicazione, perciò mi occupavo da tempo di questi argomenti. Dall’altro lato, da trentacinque anni insegno a Stanford, nel cuore della Silicon Valley, e sono stato quindi portato a occuparmi di tecnologia, di industrie, di startup. Insomma, ero preparato».

Sarebbe interessante parlare un po’ di più di Hermes. Ho discusso a lungo di comunicazione con Bruno Latour quando ha realizzato il libro di interviste con lei. Ma ancor prima, negli Anni 80, lei parlava dell’era della comunicazione. Può spiegarci questa sorta di anticipazione?

«Non è stata affatto un’anticipazione, perché c’è stata una lunga preparazione, e si va a ben prima degli Anni 80. Già negli Anni 60 si vedeva che l’industria si stava trasformando e che nel mercato del lavoro l’occupazione nei servizi andava sostituendo quella nella produzione. Si capiva che la comunicazione guadagnava terreno rispetto alla produzione e che già dagli Anni 60 le società stavano cambiando rotta. Allora ero molto sensibile a questo cambiamento che poi, con l’avvento dei computer e delle nuove tecnologie, ha avuto un’accelerazione incredibile. Questo è stato il mio percorso in quegli anni».

In «Petite Poucette» lei si occupa di tre rivoluzioni, l’ultima delle quali è quella che stiamo vivendo oggi, con tutte le conseguenze che ne derivano. Me ne può parlare?

«Ho parlato di tre rivoluzioni storiche: il passaggio dall’oralità alla scrittura, la rivoluzione della stampa nel XV secolo con l’arrivo di Gutenberg e del libro, e la terza rivoluzione, quella dei computer. È una rivoluzione che si basa sulla coppia mezzo/messaggio, ossia sulla coppia hard/soft. Nell’oralità il mezzo è il corpo e il messaggio è il parlato; poi il mezzo è la carta e il messaggio è quel che è scritto o stampato. Oggi il mezzo è materiale e il messaggio è elettronico. Tutte queste rivoluzioni - della scrittura, della stampa e la nostra - hanno trasformato quasi completamente la società. Hanno prodotto cambiamenti finanziari, industriali, commerciali, nel linguaggio, nella scienza e anche nella religione. Alla scrittura, ad esempio, è associata la religione del libro, la religione ebraica e poi quella cristiana, e in seguito, al tempo della stampa, vi è stata la riforma, il protestantesimo, in opposizione al cattolicesimo. Ogni volta ci sono state quindi delle rivoluzioni in quasi tutti i settori della società, e anche oggi ci dobbiamo aspettare crisi analoghe».

Qualche giorno fa parlavo con il mio amico Adam Curtis, un importante regista inglese che lavora con la Bbc, di crisi delle istituzioni. Ormai quasi tutte le grandi istituzioni sono in crisi, compresa la Bbc. Forse questo si collega a quello di cui parlava. Mi può dire da che cosa saranno sostituite queste istituzioni?

«Rispondo alla sua prima domanda, sulla crisi generale delle istituzioni, con un atteggiamento diagnostico, di tipo medico. Vi sono, ad esempio, alcuni tipi di media che perdono terreno, come il giornale o il libro. Ma la crisi è ancora più radicale per l’università - dato che i corsi online stanno prendendo il sopravvento - e tocca anche le istituzioni politiche. Possiamo fare, come dicevo, una diagnosi di questo cambiamento e giudicarlo con lucidità. Per rispondere alla sua seconda domanda, vale a dire da quali società o istituzioni saranno sostituite, bisogna fare delle previsioni, ma io non sono ancora in grado di farne. Mi sembra che avremmo bisogno di un grande filosofo politico che inventi nuove istituzioni».

Anch’io mi sono chiesto recentemente chi fossero i pensatori politici del XXI secolo. Ne ha visti i primi segni?

«Vorrei non dover morire prima di aver cercato di rispondere alla sua domanda».

Allora questo potrebbe essere l’argomento di un suo prossimo libro?

«È per questo che mi sto occupando del problema. Nel XIX secolo ci sono stati molti pensatori innovativi, come i socialisti utopisti, Marx e altri ancora. Nel XX secolo, invece, ne abbiamo avuti assai meno, e anche oggi ne sentiamo molto la mancanza».

Lei ha detto che le nuove tecnologie creano un nuovo essere umano. Mi piacerebbe che spiegasse meglio quest’idea.

«A proposito dell’invenzione della stampa, in uno dei suoi saggi Montaigne aveva detto: “È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”. Aveva notato una strana cosa: la testa, cioè il soggetto del pensiero, cambiava. Con l’avvento della stampa si aveva l’impressione che fosse nato un nuovo modo di pensare. Lo prova il fatto che proprio allora è nata la fisica matematica. Anche oggi sta emergendo un nuovo modo di pensare, una nuova testa. Il computer è già la nostra memoria e buona parte delle nostre reti di collegamento. Pertanto molte delle vecchie funzioni del pensiero sono sostituite dal computer e quindi la testa sta cambiando. Questa è la nuova persona. Cambia anzitutto il soggetto del pensiero, ma cambia anche il modo di stare insieme. Nelle metropolitane di Londra o di Parigi vediamo che tutti telefonano, e in questo modo trasformano completamente la comunità della metropolitana di una volta. Ci sono due cose che stanno cambiando, il soggetto del pensiero e il soggetto della comunità».

Mi ha molto appassionato, nel suo libro, la tesi che le reti sono spazi del passato e che oggi la nostra idea di spazio è cambiata, è in realtà uno spazio topologico, senza distanza. Può parlare di questo spazio topologico e di cosa significherà per il futuro?

«Una volta un indirizzo stradale era un codice che si riferiva a un’area della mappa di una città disegnata secondo la geometria metrica, in cui sono definite le distanze. Con la nuova tecnologia la distanza scompare. Non si riduce solamente, come avveniva prima, quando le distanze si accorciavano grazie a un cavallo o a un aereo. Oggi vengono annullate, e quindi il nostro nuovo indirizzo è l’indirizzo del telefono cellulare o del computer, che funziona ovunque ci si trovi e permette di inviare messaggi ovunque sia il destinatario. In un certo senso non abitiamo più lo stesso spazio dei nostri genitori. Abbiamo cambiato spazio, e questo cambiamento è fondamentale sotto molti aspetti. Prendiamo ad esempio il diritto, la legge. Ricorda Robin Hood e la foresta in cui viveva? Era uno spazio senza legge, e credo che anche il web sia uno spazio senza legge. Quando i viaggiatori attraversavano la foresta, si accorgevano improvvisamente che i ladri e i criminali che vivevano lì obbedivano a Robin Hood. Robin è un nome straordinario, perché robe è la veste del magistrato, e Robin è colui che ha la veste del giudice. È colui che fa le leggi in un luogo senza legge. Credo che da questo luogo senza legge che è il web scaturirà presto uno spazio organizzato in maniera molto diversa da prima».

È in questo contesto che possiamo collocare il recente caso Snowden, di cui si è tanto parlato. Sono cose strettamente legate, vero? Come vede il caso Snowden?

«Sì, è così. È proprio il caso di una sorta di scontro tra il vecchio e il nuovo diritto, tra l’antico luogo di non-diritto e la nuova legge».

E come vede il caso WikiLeaks di Assange in rapporto a tutto questo?

«Anche qui è la stessa cosa. All’interno dello spazio del web c’è un diritto che non ha nulla a che fare con il diritto che organizzava lo spazio in cui vivevamo prima. Vi è pertanto una sorta di conflitto tra i due sistemi. Da un certo punto di vista, chi abita nel web è favorevole alla libertà che viene messa in questione con il caso WikiLeaks».

L’altro giorno, alla radio, lei parlava di Tocqueville come del suo eroe. Mi chiedevo se questa fosse la risposta, un Tocqueville per il XXI secolo?

«È così, ci vorrebbe un Tocqueville per il XXI secolo».

So che lei è un amante di Wikipedia perché è una democrazia del sapere. Mi può parlare di questa sua passione?

«Quel che è interessante di Wikipedia è l’accesso libero e diretto alla totalità del sapere. In America la si utilizza da dieci anni in molti campi professionali. Perché pagare tanto degli studi che ci danno accesso a un sapere già a nostra disposizione? L’accesso immediato al sapere di Wikipedia cambia molte cose. Le faccio un esempio: quando si è malati si va dal medico. Una volta il medico era competente e noi non sapevamo quasi nulla della nostra malattia. Oggi, prima di andare dal medico, se consultiamo Wikipedia raccogliamo informazioni sui nostri malanni. Quindi - come ho detto in Petite Poucette - il rapporto tra medico e paziente si sta trasformando, come sta cambiando il rapporto tra docente e studente. Wikipedia cambia molte cose: le relazioni sociali, le relazioni umane e le relazioni educative».

Ho ancora qualche domanda. Una riguarda il quasi-oggetto. L’altro giorno avevo in mano il Blackberry e mi sono chiesto se fosse un quasi-oggetto. Lei sostiene che il quasi-oggetto non è né un oggetto né un soggetto, è una relazione. È un’idea apparsa nel 1980 in «Le parasite». Volevo sapere se pensa che l’iPhone o il Blackberry siano dei quasi-oggetti.

«Sì, sono dei quasi-oggetti, sono quasi-oggetti quasi-intelligenti. Non c’è dubbio che si tratti di quasi-oggetti, oggetti di relazione. In questo momento siamo in contatto reciproco grazie a essi».

Com’è nato il concetto del quasi-oggetto?

«È nato dalla mia passione per il rugby. Sono cresciuto nel Sud-Ovest della Francia e ho giocato molto a rugby. Osservando la palla, mi sono chiesto: che cos’è? Che funzione ha all’interno del gioco del rugby? E ho avuto l’idea del quasi-oggetto».

Ho letto l’esempio del Golfo del Messico, che diviene un’entità giuridica che può difendersi, e mi interessa questa dimensione giuridica del quasi-oggetto.

«Questo concetto si trova in un altro mio libro, Le contrat naturel. In questo libro cerco di spiegare che la nozione di soggetto di diritto oggi si sta trasformando e che gli oggetti naturali potrebbero diventare dei soggetti di diritto. Ad esempio, il parco di Yellowstone potrebbe ricorrere alla giustizia e denunciare chi lo inquina. So che in vari Paesi si comincia a riflettere su questo e a sostenere che alcuni oggetti della natura possono diventare soggetti di diritto».

È un fatto importante per affrontare i problemi dell’ambiente.

«Sì, sono delle nuove tappe del diritto occidentale».

Passiamo all’arte, visto che mi occupo di arte e lavoro soprattutto con gli artisti, per i quali il suo lavoro è molto importante. Ho parlato di recente con l’artista francese Philippe Parreno, che è stato ispirato da lei. Mi ha detto che alcuni film o opere d’arte si comportano come dei quasi-oggetti. Pensa che l’opera d’arte possa diventare un quasi-oggetto?

«Il quasi-oggetto ha contribuito a creare dei rapporti in una data società, in certi casi ha addirittura favorito la creazione di una società. Ci sono dei quasi-oggetti che sono opere d’arte, come gli oggetti religiosi, che creano una comunità. In un certo senso questa è sempre stata una delle funzioni dell’opera d’arte».

Pensa che il quasi-oggetto possa creare la realtà?

«Certamente! Quando il quasi-oggetto crea una comunità, questa comunità diventa reale. Noi uomini passiamo il tempo a trasformare il virtuale in reale. Che cosa è una moneta? È un quasi-oggetto. Si può trasformare in qualsiasi cosa. È un equivalente generale. Quindi non c’è oggi nulla di più reale della moneta, che all’inizio era un quasi-oggetto».

Ho una domanda sulla collaborazione. Con l’artista Philippe Parreno abbiamo discusso di lei e di collaborazione. Lei ha spesso collaborato con altri e la conversazione è una parte importante della sua filosofia. Mi può parlare della collaborazione? Con la collaborazione o anche con l’amicizia si possono creare delle nuove forme?

«Senza dubbio. L’essenziale per una conversazione è che non ci sia uno scontro tra due opinioni fisse. Bisogna che le parti siano libere e aperte».

Lei ha pubblicato finora sessanta libri. Ha dei progetti non realizzati? Recentemente, poco prima della sua scomparsa, la scrittrice Doris Lessing mi ha parlato dell’idea che ci sono sempre dei libri non scritti - libri che nessuno ha osato scrivere, o avuto il tempo di scrivere o potuto realizzare. Quali sono i suoi progetti non realizzati o utopici?

«C’è di sicuro ancora un problema che vorrei risolvere: quello delle istituzioni politiche. Questo, senza dubbio, è il libro che vorrei scrivere.

(Traduzione di Maria Sepa )


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