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OCCIDENTE E ORIENTE. Filosofia del "Sol calante" e filosofia del "Sol levante". Profonda frattura o connessione "nascosta"? Interviste ai più eminenti filosofi giapponesi: "Penseurs japonais" a cura di Yann Kassile. Una recensione di Mario Perniola - a cura di Federico La Sala

martedì 27 marzo 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] L’individuo non è mai una tabula rasa, ma presuppone una collocazione spazio-temporale, un condizionamento sociale. All’interno dell’individuo ci sarebbe già un punto di vista impersonale ed esterno, che è relazionale: con le parole di Lacan (tradotto e studiato con molto zelo in Giappone), si direbbe «la mediazione del Simbolico». D’altronde la struttura negativa dell’essere umano impedisce l’esistenza di una società che annulla completamente l’individuo: una simile società (...)

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> OCCIDENTE E ORIENTE. Filosofia del "Sol calante" e filosofia del "Sol levante". Profonda frattura o connessione "nascosta"? --- Akihito. La rivoluzione silenziosa dell’Imperatore (di Yosuke Taki).

sabato 1 giugno 2019

Akihito

La rivoluzione silenziosa dell’Imperatore

di Yosuke Taki (Doppiozero, 28.05.2019 - senza foto)

      • La successione imperiale davanti al popolo narcotizzato dall’euforia consumistica

In mezzo a un lunghissimo ponte storico durato 10 giorni di seguito, davvero inimmaginabile per un popolo di stacanovisti, il 30 aprile 2019 l’Imperatore Akihito ha abdicato e il giorno dopo il suo primogenito Naruhito è salito al trono. Con la successione degli Imperatori è cambiato dopo 30 anni anche il nome dell’era, da Heisei (平成) a Reiwa (令和). Ma cosa ha significato questa successione per il popolo giapponese? L’atmosfera nella società nipponica in quei giorni appariva più che euforica, non tanto per l’evento storico in sé, quanto piuttosto per gli innumerevoli annunci di saldi ed eventi commerciali ovunque si andasse, spinti dal capitalismo sfrenato, concentrato a sfruttare voracemente qualsiasi pretesto. E tutto questo mood festante sembrava francamente servisse solo a narcotizzare ancora una volta la coscienza del popolo giapponese che non si è mai domandato seriamente, da oltre 70 anni, sullo status problematico del loro Imperatore, definito dalla Costituzione “simbolo della nazione e dell’unità del popolo giapponese”. In cosa consiste questo status simbolico dell’Imperatore giapponese? Iniziata tre anni fa con un discorso alla rete televisiva nazionale, la faccenda dell’abdicazione in vita di Akihito, molto discussa tra gli specialisti, ma soprattutto aspramente criticata dai conservatori, ha dimostrato una volta di più quanto sia importante la rivoluzione silenziosa portata avanti da Akihito sul suo essere simbolico, ma anche la perfetta inettitudine del popolo giapponese a seguire questa sua innovazione storica.

      • Imperatore simbolico

Per comprendere la portata della rivoluzione di Akihito, proviamo a rivedere insieme cosa si intende esattamente con “Imperatore simbolico” secondo la Costituzione giapponese.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli USA, temendo che l’URSS potesse invadere il Giappone, decisero di mantenere in carica l’allora Imperatore Hirohito, occultando le testimonianze che potessero rivelare le sue responsabilità sul conflitto, per agevolare l’occupazione degli Alleati senza sconvolgere ulteriormente una popolazione già duramente colpita e insieme sfruttare a loro vantaggio la sua autorità carismatica.

Così nasce “l’Imperatore simbolico”, uno status prescritto dai primi otto articoli della nostra Costituzione. È davvero una pura anomalia che i primi articoli della costituzione di un paese democratico moderno non parlino del popolo in cui risiederebbe la sovranità, ma dello status e degli obblighi dell’Imperatore. Questi articoli vennero introdotti dagli americani allo scopo di preservare una certa sacralità dello status imperiale ereditario e allo stesso tempo di privarlo di ogni possibilità di agire ed esprimersi politicamente. Tutto per impedire il riarmo del Giappone (anche se in realtà anche noi abbiamo un esercito vero e proprio che si chiama Ji-ei-tai, letteralmente “Forza per l’autodifesa”, che in teoria non dovrebbe mai attuare la sua forza).

Così, a partire dal 1946, il Giappone ha un Imperatore che esiste, sostanzialmente, solo come “funzione istituzionale” e non come un vero essere umano a cui siano riconosciuti i diritti civili fondamentali alla pari di ogni altro cittadino. L’Imperatore giapponese non è iscritto all’anagrafe, in questo senso dunque non fa parte della popolazione giapponese ufficiale. Non ha libertà di scegliersi un mestiere, dunque non può fare altro che l’imperatore né può smettere di essere Imperatore. Non può sposarsi senza l’approvazione del governo. Ha il compito di ratificare il governo, nominare i ministri, convocare le Camere, sciogliere la Camera bassa, ecc., ma senza alcuna possibilità di obiettare o di opporsi. In sostanza è un puro esecutore di compiti statali, un “timbratore”, non è considerato come un vero e proprio soggetto pensante che possa agire con la propria testa e il proprio corpo. Per gli americani, all’epoca, come confidò il brigadiere generale Bonner Fellers che in Giappone aveva il compito di proteggere Hirohito da un’eventuale incriminazione per il ruolo svolto durante la guerra, non importava niente di come sarebbe stato il futuro del sistema imperiale giapponese: agli USA bastava superare quel momento delicato, anche se la soluzione adottata avesse lasciato un’eredità molto problematica. In uno stato moderno e democratico non dovrebbe esserci una persona del tutto priva di diritti fondamentali. Invece da noi lo sancisce addirittura la Costituzione.

In realtà, lo sfruttamento politico dell’Imperatore come “funzione istituzionale” non è un’invenzione americana dell’ultimo dopoguerra. Sin dall’avvento del Giappone moderno, cioè quando, alla fine dell’era dei samurai nella seconda metà dell’Ottocento i nuovi leader politici riesumarono il giovane Imperatore Meiji (Imperatore dal 1867 al 1912) e lo imposero come capo carismatico, la strumentalizzazione politica del suo status ammantato di sacralità era iniziata.

Pochi sanno però che l’aura sacra dell’Imperatore, che sembra oggi risalire a un’epoca antichissima, è invece un prodotto di fine Ottocento a cui contribuì in modo significativo anche Edoardo Chiossone, pittore e incisore genovese all’epoca ingaggiato dalla zecca giapponese: fu lui infatti a disegnare il ritratto dell’Imperatore Meiji che poi venne riprodotto fotograficamente e diffuso in tutto il paese spacciandolo per fotoritratto. Questa finta fotografia, passata alla storia come go-shin-ei (御真影:letteralmente “figura vera”) eserciterà un’enorme influenza quasi magica sulla psiche dei giapponesi.

      • [foto] Go-shin-ei dell’Imperatore Meiji disegnata da Edoardo Chiossone.

Per tornare all’ultimo dopoguerra, possiamo dire che gli americani hanno solo sfruttato appieno un aspetto del sistema imperiale giapponese preesistente. Ed è questa l’essenza dell’Imperatore simbolico che esiste solo come funzione istituzionale. La sua “persona” non è umanamente considerata dalla Costituzione. Se il sistema è durato fino a oggi, si deve unicamente al fatto che nessuno dei quattro Imperatori moderni (Meiji, Taisho, Showa e Heisei) ha mai protestato (anche se probabilmente non avrebbero potuto). In altre parole, sono “ostaggi” o meglio “prigionieri” istituzionali pubblicamente accettati. L’effetto narcotizzante del loro status carismatico (seppure ormai sensibilmente ridotto) occulta indubbiamente tutto questo agli occhi della gente, ma si può capire perché l’Imperatrice Masako, consorte del nuovo Imperatore Naruhito, una ex diplomatica di carriera, appaia sempre così triste. Non è difficile immaginare come una persona che entri adulta in quell’ambiente possa trovare insopportabile viverci. La cosa ancora più assurda, però, è che da sempre e ancora oggi, quando la famiglia imperiale si presenta al pubblico, la folla esclami “Viva l’Imperatore!” senza che la sorda sofferenza di quelle persone prive di diritti e di dignità passi mai per la mente di chi le osanna.

      • [Foto] L’8 agosto del 2016 l’Imperatore Akihito pronuncia in televisione “il discorso imperiale sul suo ruolo simbolico”.

      • Il discorso imperiale

Torniamo al controverso discorso di Akihito. Tutta la faccenda ha avuto inizio quasi tre anni fa, quando l’8 agosto 2016, sul canale della televisione statale NHK, Akihito ha pronunciato l’ormai celebre “discorso imperiale sul suo ruolo simbolico”, che molti media hanno sbrigativamente presentato come “annuncio dell’abdicazione”. In realtà “il discorso” non conteneva alcuna dichiarazione chiara dell’intento di abdicare, anche se la volontà di compiere quel passo era ampiamente allusa. Se Akihito avesse apertamente annunciato l’abdicazione, il “discorso” sarebbe sicuramente stato giudicato incostituzionale. La Costituzione prescrive infatti che la successione imperiale avvenga alla morte dell’Imperatore, e la possibilità per l’Imperatore in carica di fare commenti o obiezioni sul suo status non è prevista (ovvero è proibita) dalla Costituzione.

Questo “discorso” sfiorava abilmente il limite per non incorrere nel rischio di incostituzionalità, ma non ha mancato di scatenare molte polemiche. Al di là dell’incostituzionalità o meno dell’intervento televisivo di Akihito, ci sono state molte discussioni sulla questione dell’eventuale abdicazione in vita, non prevista dalla Costituzione (dimenticando che nella lunga storia del Giappone pre-moderno si contano addirittura 57 precedenti tra i 124 Imperatori nipponici prima di lui). I principali motivi di obiezione all’abdicazione in vita erano tre: 1. Dopo l’abdicazione, l’Imperatore abdicatario potrebbe esercitare influenze dannose sul suo successore. 2. Potrebbe verificarsi la situazione in cui l’Imperatore possa essere costretto ad abdicare contro la sua volontà. 3. Se l’Imperatore potesse liberamente abdicare, lo stesso atto di annunciare l’abdicazione potrebbe in futuro assumere significati politici importanti, eventualità non ammessa dalla Costituzione. Vale a dire: un futuro Imperatore potrebbe usare l’abdicazione per esprimere il suo dissenso contro la politica del governo.

Le stesse obiezioni erano già state sollevate oltre trent’anni fa, ma sono piene di contraddizioni. Quanto al punto 1, la Costituzione giapponese prevede in casi particolari la reggenza, e un eventuale Reggente non potrebbe forse esercitare “influenze dannose”? Il punto 2 paventa una situazione che vada contro la volontà dell’Imperatore, ma dimentica che attualmente la volontà dell’Imperatore non è affatto contemplata dalla Costituzione. Il punto 3 rivela proprio l’intrinseca contraddizione della carta costituzionale: che la Costituzione stessa costringa un individuo (l’Imperatore) a non esprimere mai la sua opinione.

Alla fine, si è deciso di istituire una “commissione di saggi” per elaborare una legge speciale (poi promulgata il 16 giugno del 2017) valida solo in questa circostanza, senza andare a modificare il Kōshitsu Tempan, il Codice della famiglia imperiale.

In realtà, il focus del “discorso” di Akihito non era posto sulla questione dell’abdicazione, ma su un altro argomento: la sua ricerca sul ruolo dell’Imperatore simbolico. Akihito sottolineava nel “discorso” quanto egli “abbia riflettuto quotidianamente sul suo ruolo da simbolo definito dalla Costituzione” e abbia sempre cercato di attuarlo nel migliore dei modi per “partecipare attivamente alla società” e “rispondere alle aspettative del popolo”, oltre al “suo dovere di salvaguardare la tradizione”. E in effetti Akihito da quando è salito al trono ha sempre fatto molto più di quanto prescriva per lui la Costituzione, ma facendo in modo che nemmeno gli ultraconservatori potessero criticarlo (anche se inizialmente non sono mancate critiche). Questo suo attivismo è stato davvero inedito, un passo davvero storico, mai mostrato dai suoi predecessori.

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