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EU-ROPA !!!

Il Brasile e Lula continuano a dare lezioni all’Europa!!! Richiesta ufficiale presso la Santa Sede: che il Papa annulli il suo viaggio (previsto per la Quinta Conferenza Episcopale, in maggio) in Brasile!!! Un articolo di Marco Vozza - a cura di pfls

lunedì 2 aprile 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Intervistato dal Journal do Brasil, Lula ha dichiarato: "Non credo che la visita di Papa Benedetto XVI possa far bene alla vita politica del Brasile. Credo che sia una sua precisa volontà, una volta qui, esternare pubblicamente il suo punto di vista sulla famiglia ingerendo nella nostra vita pubblica. A fine maggio il Parlamento si troverà ad affrontare l’iter finale del progetto di legge teso a regolare i diritti delle famiglie non sposate, ed un intervento del Papa sarebbe quanto (...)

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> Il Brasile e Lula continuano a dare lezioni all’Europa!!! -- Un’aggressione giudiziaria alla democrazia brasiliana (di Luigi Ferrajoli). «Non un passo indietro, difendiamo la democrazia»: Lula resta tra i suoi sostenitori (di Claudia fanti)..

sabato 7 aprile 2018

Un’aggressione giudiziaria alla democrazia brasiliana

Lula. Siamo di fronte a quello che Cesare Beccaria, in «Dei delitti e delle pene», chiamò «processo offensivo» dove «il giudice», anziché «indifferente ricercatore del vero», «diviene nemico del reo»

di Luigi Ferrajoli (il manifesto, 07.04.2018)

Il 4 aprile è stata una giornata nera per la democrazia brasiliana. Con un solo voto di maggioranza, il Supremo Tribunal Federal ha deciso l’arresto di Inacio Lula nel corso di un processo disseminato di violazioni delle garanzie processali. Ma non sono solo i diritti del cittadino Lula che sono state violati.

L’intera vicenda giudiziaria e le innumerevoli lesioni dei principi del corretto processo di cui Lula è stato vittima, unitamente all’impeachment assolutamente infondato sul piano costituzionale che ha destituito la presidente Dilma Rousseff, non sono spiegabili se non con la finalità politica di porre fine al processo riformatore che è stato realizzato in Brasile negli anni delle loro presidenze. E che ha portato fuori della miseria 50 milioni di brasiliani. L’intero assetto costituzionale è stato così aggredito dalla suprema giurisdizione brasiliana, che quell’assetto aveva invece il compito di difendere.

Il senso non giudiziario ma politico di tutta questa vicenda è rivelato dalla totale mancanza di imparzialità dei magistrati che hanno promosso e celebrato il processo contro Lula. Certamente questa partigianeria è stata favorita da un singolare e incredibile tratto inquisitorio del processo penale brasiliano: la mancata distinzione e separazione tra giudice e accusa, e perciò la figura del giudice inquisitore, che istruisce il processo, emette mandati e poi pronuncia la condanna di primo grado: nel caso Lula la condanna pronunciata il 12 luglio 2017 dal giudice Sergio Moro a 9 anni e 6 mesi di reclusione e l’interdizione dai pubblici uffici per 19 anni, aggravata in appello con la condanna a 12 anni e un mese. Ma questo assurdo impianto, istituzionalmente inquisitorio, non è bastato a contenere lo zelo e l’arbitrio dei giudici. Segnalerò tre aspetti di questo arbitrio partigiano.

Il primo aspetto è la campagna di stampa orchestrata fin dall’inizio del processo contro Lula e alimentata dal protagonismo del giudice di primo grado, il quale ha diffuso atti coperti dal segreto istruttorio e ha rilasciato interviste nelle quali si è pronunciato, prima del giudizio, contro il suo imputato, alla ricerca di un’impropria legittimazione: non la soggezione alla legge, ma il consenso popolare.

L’anticipazione del giudizio ha inquinato anche l’appello. Il 6 agosto dell’anno scorso, in un’intervista al giornale Estado de Sao Paulo, il Presidente del Tribunale Regionale Superiore della 4^ regione (TRF-4) di fronte al quale la sentenza di primo grado era stata impugnata ha dichiarato, prima del giudizio, che tale sentenza era «tecnicamente irreprensibile».

Simili anticipazioni di giudizio, secondo i codici di procedura di tutti i paesi civili, sono motivi ovvi e indiscutibili di astensione o di ricusazione, dato che segnalano un’ostilità e un pregiudizio incompatibili con la giurisdizione. Siamo qui di fronte a quello che Cesare Beccaria, in Dei delitti e delle pene, chiamò «processo offensivo», dove «il giudice», anziché «indifferente ricercatore del vero», «diviene nemico del reo», e «non cerca la verità del fatto, ma cerca nel prigioniero il delitto, e lo insidia e crede di perdere se non vi riesce».

Il secondo aspetto della parzialità dei giudici e, insieme, il tratto tipicamente inquisitorio di questo processo consistono nella petizione di principio, in forza della quale l’ipotesi accusatoria da provare, che dovrebbe essere la conclusione di un’argomentazione induttiva suffragata da prove e non smentita da controprove, forma invece la premessa di un procedimento deduttivo che assume come vere solo le prove che la confermano e come false quelle che la contraddicono.

Di qui l’andamento tautologico del ragionamento probatorio, nel quale la tesi accusatoria funziona da criterio di orientamento delle indagini, da filtro selettivo della credibilità delle prove e da chiave interpretati va dell’intero materia le processuale. I giornali brasiliano hanno riferito, per esempio, che l’ex ministro Antonio Pallocci, in stato di custodia preventiva, aveva tentato nel maggio scorso una «confessione premiata» per ottenere la liberazione, ma la sua richiesta era stata respinta perché egli non aveva formulato nessuna accusa contro Lula e la Rousseff ma solo contro il sistema bancario.

Ebbene, questo stesso imputato, il 6 settembre, di fronte ai procuratori, ha fornito la versione gradita dall’accusa per ottenere la libertà. Totalmente ignorata è stata al contrario la deposizione di Emilio Olbrecht, che il 12 giugno aveva dichiarato al giudice Moro di non aver mai donato alcun immobile all’Istituto Lula, secondo quanto invece ipotizzato nell’accusa di corruzione.

Il terzo aspetto della mancanza di imparzialità è costituito dal fatto che i giudici hanno affrettato i tempi del processo per giungere quanto prima alla condanna definitiva e così, in base alla legge «Ficha limpia», impedire a Lula, che è ancora la figura più popolare del Brasile, di candidarsi alle elezioni presidenziali del prossimo ottobre. Anche questa è una pesante interferenza della giurisdizione nella sfera della politica, che mina alla radice la credibilità della giurisdizione.

E’ infine innegabile il nesso che lega gli attacchi ai due presidenti artefici dello straordinario progresso sociale ed economico del Brasile - l’infondatezza giuridica della destituzione di Dilma Rousseff e la campagna giudiziaria contro Lula - e che fa della loro convergenza un’unica operazione di restaurazione antidemocratica. E’ un’operazione alla quale i militari hanno dato in questi giorni un minaccioso appoggio e che sta spaccando il paese, come una ferita difficilmente rimarginabile.

L’indignazione popolare si è espressa e continuerà ad esprimersi in manifestazioni di massa. Ci sarà ancora un ultimo passaggio giudiziario, davanti al Superior Tribunal de Justicia, prima dell’esecuzione dell’incarcerazione. Ma è difficile, a questo punto, essere ottimisti.


Lula resta tra i suoi sostenitori: «Vengano qui ad arrestarlo»

Brasile. L’ex presidente brasiliano nella sede del sindacato metalmeccanici. Ore concitate a San Paolo, Sem terra e Sem tetto pronti a circondare l’edificio: «Non un passo indietro, difendiamo la democrazia»

di Claudia Fanti (il manifesto, 07.04.2018)

Sono ore febbrili quelle che si stanno vivendo, mentre il giornale va in stampa, presso la sede del sindacato dei metalmeccanici di São Paulo, a São Bernando do Campo, dove l’ex presidente brasiliano Lula si è recato nella serata di giovedì, dopo l’emissione del mandato di cattura da parte del giudice Sérgio Moro.

SEMBRA ORMAI CERTO che Lula decida di non costituirsi, respingendo così la richiesta in base a cui, «in considerazione della dignità della carica svolta in passato», avrebbe potuto presentarsi volontariamente, entro le 17.00» (le nostre 22.00) di ieri, alla sede della Polizia federale di Curitiba, dove a Lula è stata preparata, per l’inizio dell’esecuzione della pena, una «cella riservata» nella quale, si legge nel decreto di arresto, l’ex presidente «sarà separato dagli altri detenuti, senza alcun rischio per la sua integrità fisica e morale».

«Costituirsi è un’ammissione di colpa, e non è questo il caso», ha commentato il senatore del Pt Lindbergh Farias, convinto della necessità «che vengano a prenderlo qui, in mezzo a questo mare di gente», perché sia evidente agli occhi del mondo «la vergogna» dell’«illegale detenzione di Lula».

SONO IN MIGLIAIA, infatti, i sostenitori accorsi a São Bernando do Campo, a cominciare dai militanti del Movimento dei senza tetto e del Movimento dei senza terra, decisi a circondare la sede del sindacato per impedire l’arresto del presidente. Non a caso l’hasthag #OcupaSaoBernardo appare come il quinto dei trending topics di Twitter nel mondo.

Ed è una «resistenza democratica» quella che ha promesso il pre-candidato presidenziale del Partito socialismo e libertà (Psol) Guilherme Boulos: «Stare qui oggi - ha detto - è stare dalla parte della democrazia. E la storia giudicherà chi si è schierato da un lato e chi dall’altro». E ha assicurato: «Non ci muoveremo di un passo. Ancora una volta, questo sindacato sarà una trincea della democrazia in questo Paese». E non sarà il solo, considerando che in queste ore si stanno attivando manifestazioni di protesta e blocchi stradali in tutto il Paese.

CHE SI TRATTI DI INGIUSTIZIA lo conferma anche la velocità lampo con cui, nei confronti d Lula, ha agito la sempre assai lenta giustizia brasiliana. Neppure si è atteso, per decretare l’arresto, che i legali dell’ex presidente presentassero gli ultimi possibili ricorsi presso il Tribunale federale regionale di Porto Alegre (Trf-4), qualificati sprezzantemente da Moro come «un patologico tentativo di procrastinazione che dovrebbe essere eliminato dal mondo giuridico». E sempre con estrema rapidità il Tribunale superiore di giustizia ha respinto il nuovo ricorso d’urgenza presentato dagli avvocati dell’ex presidente perché venisse sospeso il mandato emesso dal giudice Moro, perché in anticipo rispetto alla conclusione dell’iter processuale presso il Trf-4.

È ANCHE POSSIBILE, del resto, che la detenzione di Lula duri appena pochi giorni. La questione della costituzionalità o meno dell’arresto dopo la condanna in secondo grado non è stata affatto risolta con la decisione del Supremo tribunale federale di respingere l’habeas corpus presentato dai legali dell’ex presidente.

IL MINISTRO MARCO AURÉLIO Mello, uno dei cinque che hanno votato a favore di Lula e il più critico nei confronti della «strategia» della presidente della Corte suprema Cármen Lúcia, ha annunciato infatti di voler proporre al plenario del Stf, nella sessione di mercoledì 11, l’analisi di un provvedimento di urgenza diretto a impedire l’arresto dei condannati in secondo grado. A richiederlo sono stati i noti avvocati Antônio Carlos de Almeida Castro, Cláudio Pereira de Souza Neto e Ademar Borges de Sousa Filho, secondo i quali «nessuno può restituire agli individui i giorni passati in carcere in maniera illegittima».

Sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dai tre avvocati già nel 2016 (ma all’epoca respinta dal Stf), in cui si invocava il rispetto di un articolo del Codice di procedura penale che vieta l’arresto prima che la sentenza passi in giudicato, viene oggi proposta una soluzione intermedia: che l’inizio dell’esecuzione della pena avvenga dopo l’analisi dei ricorsi da parte del Superiore tribunale di giustizia, il terzo grado di giudizio.


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