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Cercate ancora (Claudio Napoleoni, 1990)

PRIMO LEVI. Quando Levi morì (11 aprile 1987), Claudio Magris scrisse un articolo che cominciava così: «È morto un autore le cui opere ce le troveremo di fronte al momento del Giudizio Universale». Un ricordo di Ferdinando Camon - a cura di pfls

lunedì 2 aprile 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Nella sua sopravvivenza e nella sua scrittura c’è stato un doppio fallimento del sistema lager. Il sistema lager non ha agito su Levi con tutta la sua forza. Perché Levi era un chimico, perché ha imparato il tedesco, perché non si è mai ammalato, e perché ha avuto la fortuna di ammalarsi negli ultimi giorni, evitando la marcia della morte, l’evacuazione dal lager (raccontata da Elie Wiesel)[...]
[...]«C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio». [...] «Non trovo una soluzione al (...)

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> PRIMO LEVI, OPERE COMPLETE - IN UNA NUOVA EDIZIONE. La rilettura, curata da Marco Belpoliti, sottolinea come la letteratura emerga dall’abisso in cui è precipitato l’umano.

giovedì 17 novembre 2016

E Primo Levi da testimone si fece scrittore

In una nuova edizione le opere dell’autore di “Se questo è un uomo”

La rilettura, curata da Marco Belpoliti, sottolinea come la letteratura emerga dall’abisso in cui è precipitato l’umano

di Andrea Bajani (la Repubblica, 17.11.2016)

      • IL LIBRO Primo Levi, Opere complete (a cura di Marco Belpoliti, 2 voll., pagg. CIV- 3392 euro 160)

Quando, nel 1976, in occasione dell’uscita dell’edizione scolastica di “Se questo è un uomo”, Primo Levi scrisse un’appendice pensata per rispondere alle domande dei ragazzi, qualcosa cambiò irrimediabilmente. Per la prima volta, cioè, mise più o meno consapevolmente in crisi lo statuto della testimonianza e lasciò che il suo libro entrasse nella letteratura. Che cosa ne è della testimonianza, fu costretto a chiedersi, quando chi legge nasce in un quadro di riferimento completamente mutato, in cui il passato, anche il più tremendo, è una fiction a cui si crede solo per un atto di fiducia? Qual è la verità che, scrivendo, si consegna? A che punto l’uomo di cui Levi parlava ai suoi lettori si sarebbe sganciato dalla contingenza, da quello sproposito epocale?

L’appendice si apriva con queste parole: «Qualcuno, molto tempo fa, ha scritto che anche i miei libri, come gli esseri umani, hanno un loro destino, imprevedibile, diverso da quello che per loro si desiderava e si attendeva ». Era l’inizio di un congedo: la consapevolezza che le sue opere avrebbero avuto lettori futuri a cui non avrebbe potuto rimboccare gli occhi e la memoria con la sua presenza. Fece gli ultimi passi di quella staffetta e passò il testimone, perché a testimoniare la sopravvivenza o meno delle parole e di un mondo sarebbero stati altri.

È per questo, in definitiva, che esiste il corpus delle opere: perché parli in altro modo rispetto al corpo di chi gli ha dato vita, e lo ridefinisca. Ciò che fanno ora le Opere complete di Levi che, a distanza di quasi vent’anni dall’edizione del 1997, Einaudi ripubblica nella cura imprescindibile di Marco Belpoliti e con modifiche di sostanza in un impianto rimasto complessivamente intatto. Belpoliti - che all’autore di La tregua ha dedicato lo scorso anno il monumentale Primo Levi di fronte e di profilo (Guanda) - consegna un’edizione per certi versi popolare: «Il destinatario ideale delle Opere complete non è tanto lo studioso o lo specialista, bensì il lettore che vuole accostarsi all’intera opera dello scrittore torinese e cercare di capirne il movimento interno, le forme e i criteri di lavoro, senza doversi perdere in un apparato di annotazioni e varianti ». Che pure ci sono, essendo le note ai singoli libri per la maggior parte scritte ex novo.

Levi scrisse l’Appendice per gli studenti e poi decise di accluderla all’edizione per così dire regolamentare, poiché, scrisse, «le domande rivolte dai lettori studenti [...] coincidono ampiamente con le domande che ricevo dai lettori adulti». Questa edizione è perfettamente in linea con quello spirito, con però anche aggiunte significative, tra cui la prima edizione di Se questo è un uomo, (quella pubblicata presso l’editore De Silva nel 1947), le versioni radiofoniche dei primi due libri di Primo Levi, la tesi e la sottotesi di laurea del Levi-chimico. Non ultima, una focalizzazione speciale, da parte di Belpoliti, su Il sistema periodico come libro snodo, pietra miliare di quel mestiere di scienziato che contribuì a salvare la vita di Levi nel lager e che si saldò in alcuni libri alla scrittura testimoniale, generando, in quella fusione, lo “scrittore di professione” che Levi accettò di essere dopo la pubblicazione di La chiave a stella.

È con questa edizione, mi sembra, che la prima incrinatura del Levi testimone che egli stesso produsse approntando delle edizioni per i giovani lettori del futuro, si fa completa. A vent’anni dalla sua morte, quella prima pelle resta definitivamente sul sentiero e Primo Levi entra nella letteratura.

Lo annota Belpoliti stesso nella sua Avvertenza: «Dopo essere stato considerato un grande testimone [...] ora Levi è uno scrittore a tutto tondo, cosa che vent’anni fa, nel 1997, nel momento dell’uscita della prima edizione di queste Opere, non era così certa e assodata”. Questo non dipende, però, paradossalmente dalla “completezza” dell’opera. Non dipende cioè dal fatto cioè che, di queste quasi 3500 pagine, la testimonianza rappresenti soltanto un’esigua porzione, e che abbiano diritto di cittadinanza anche i libri nei quali Levi ha percorso altre strade.

Al contrario. A guardare tutti i cerchi che i suoi libri hanno prodotto cadendo come un sasso dentro lo stagno della Storia, si resta sbalorditi da come siano le onde di tre di essi - Se questo è un uomo, La tregua e I sommersi e i salvati - a increspare ancora il mare in cui oggi navighiamo.

Il testimone si è ritirato ed è rimasto lo scrittore, ma non è lo sconcerto storico a turbarci. È l’abisso dell’umano che quelle parole ci rovesciano negli occhi e che Primo Levi ha estratto dalla Storia. È da quella estrazione, precisamente, che nasce la letteratura. Ed è in virtù di quella, che nascono e svettano tre cime della letteratura e del pensiero del Novecento.

Nonostante il Lager, si potrebbe dire, ma inesorabilmente attraverso di esso. Perché è lì che l’umano e la sua dissoluzione si manifestano in una forma, che l’incandescenza forgia un’opera mai vista prima. È arrivato forse il momento di avere questo coraggio di lasciare da parte il testimone per lo scrittore pur tornando nel suo stesso “campo”, come dice Belpoliti, su quel terreno scandaloso da cui si è ingenerata un’opera d’arte così cruciale.

Daniele Del Giudice, che introduceva l’edizione del 1997, e che è leggibile anche in questa, scriveva: «Levi estrae la sua narrazione da una radice di necessità indiscutibile, la più profonda e cruciale e antica che possa sorreggere l’atto stesso del racconto: narrare il non conosciuto, l’incognito, ciò che per volontà altrui avrebbe dovuto restare nascosto».

È quello il punto estremo fino a cui Levi scrittore si è spinto. Là dove l’uomo smette di essere tale e torna l’animale, là dove anche la sofferenza più atroce impedisce di volere la morte come requie: «Il suicidio è dell’uomo e non dell’animale, è cioè un atto meditato, una scelta non istintiva, non naturale; ed in Lager c’erano poche occasioni di scegliere, si viveva appunto come gli animali asserviti, che a volte si lasciano morire, ma non si uccidono».


Primo Levi

Il chimico scettico che distilla il Male

Da Einaudi una nuova edizione, sempre curata da Belpoliti con l’aggiunta di testi, documenti e pagine inedite

di Ernesto Ferrero (La Stampa, 17.11.2016)

Quanti fraintendimenti e semplificazioni hanno accompagnato la ricezione delle opere di Primo Levi. Il prossimo 11 aprile cadranno i trent’anni della sua scomparsa, eppure non è mai stato così vivo e presente in tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti, dove la benemerita edizione delle Opere complete uscita da Norton Liveright in tre volumi ne propizierà ulteriormente la diffusione.

A lungo è rimasto prigioniero del cliché riduttivo del testimone, come se le cose che aveva raccontato fossero più importanti del come le aveva raccontate, come se Se questo è un uomo non fosse in primo luogo un capolavoro letterario (se ne erano accorti sin dalla prima uscita del 1947 Antonicelli, Calvino, Cajumi e Cases).

Pesava su di lui l’autoadesivo del chimico che scrive la domenica, come se la chimica fosse una disabilità lieve ma evidente, uno strabismo, una zoppìa, e non invece un arricchimento di strumenti conoscitivi. Aveva ben ragione lo stesso Primo quando spiegava con la sua infinita pazienza (quanta ne ha dovuto spendere con tutti, a partire dal suo stesso editore) che la chimica è una buona metafora della scrittura. Compie le stesse operazioni, distinguere, pesare, filtrare; predispone allo scrivere chiaro, esatto e conciso.

Un mondo a parte

Ma è anche vero che la leggenda del libro composto di getto sotto l’urgenza del rendere testimonianza l’aveva accreditata lui stesso, come confesserà nel 1985 a Germaine Greer. Per modestia e understatement, perché si sentiva estraneo alla malevola corporazione degli scrittori di professione, per non confessare a se stesso che ancora prima di partire per Auschwitz aveva coltivato sogni di scrittura e scritto poesie e racconti, lui che al D’Azeglio era stato rimandato a ottobre in italiano, anche se aveva assimilato gli ottimi insegnamenti della scuola di Gentile. Era uno scrittore, quello che era partito da Fossoli nel vagone piombato, nutrito di mentalità e letture scientifiche, un antropologo, un linguista, un etologo in piena allerta intellettuale. L’umanità non poteva mandare miglior inviato nel cuore della macchina dello sterminio, nei tragici misteri dell’uomo.

Resistenza ebraica

Dopo che nel 1963 La tregua aveva dato misura del suo talento di affabulatore, Levi ha continuato a fornire prove delle sue qualità di scrittore poliedrico con la consueta, forse eccessiva discrezione: i racconti «fantabiologici» (come li chiamava Calvino), favole morali che si interrogavano su un uso distorto della tecnologia assai simile a quello del Lager; l’autobiografico Sistema periodico, romanzo in forma di racconti; La chiave a stella, gustosa riproposta della felicità del lavoro manuale, quasi scandalosa nel 1978 ideologizzato; il romanzo-romanzo Se non ora quando?, epopea di resistenza ebraica; le poesie, accorati microracconti del disincanto; gli incantevoli racconti e gli elzeviri pubblicati su questo giornale, e sottesi dal più amabile degli enciclopedismi; sino a quel capolavoro antropologico che è I sommersi e i salvati, che introduce la fondamentale categoria della «zona grigia». Un libro che lo Stato dovrebbe consegnare ad ogni cittadino al conseguimento della maggiore età, perché parla di noi oggi.

Con gli anni si è finalmente capito che Levi è un continente più vasto e sorprendente di quanto andavano rivelando gli stessi copiosi lavori critici in corso: l’edizione delle Opere complete curata da Marco Belpoliti per Einaudi nel 1997 con un saggio introduttivo di Daniele Del Giudice che metteva il lettore sulla strada giusta; il numero monografico della rivista Riga (Marcos y Marcos, 1997); l’intenso lavoro avviato a partire dal 2008 dal Centro Studi Primo Levi di Torino, esemplarmente diretto da Fabio Levi; le otto «Lezioni Primo Levi» promosse sino ad oggi dal Centro; il gran volume in cui Belpoliti ha raccolto le sue ricerche (Levi di fronte e di profilo, Guanda 2015); ed ora i due primi tomi di una nuova edizione delle Opere complete, che escono da Einaudi sempre curati da Belpoliti. Vi si possono trovare la prima edizione di Se questo è un uomo, la sua versione teatrale e l’adattamento radiofonico, le note informative redatte dallo stesso Levi per le edizioni scolastiche, la tesi e la sottotesi di laurea, testi di argomento tecnico, l’antologia personale La ricerca delle radici, venti nuovi testi di pagine sparse e ritrovate. Inoltre le note ai testi si arricchiscono sensibilmente degli studi intrapresi negli ultimi vent’anni e del confronto con i dattiloscritti disponibili (vol. I, pp. LXXXVIII-1536, vol II pp. XVI-1854, €160).

Il terzo volume

In attesa del terzo e conclusivo volume, dedicato alle conversazioni e alle interviste, il lettore ha così a disposizione un corpus imponente, che facilita nuove esplorazioni ed aumenta ancora il numero delle facce del poliedro Primo Levi, molto più imprevedibile dell’immagine «buonista» che ce ne siamo fatta. Spietato con se stesso e con gli inganni della memoria, bastian contrario che non teme di navigare controcorrente, maestro di ossimori, affascinato e angosciato dalle asimmetrie che sembrano governare il cosmo, studioso di vortici e di fenomeni estremi, non offre conclusioni tranquillizzanti e catartiche, ma semmai vuole tenerci svegli, allarmati, dubitosi, reattivi. Auschwitz è sempre, se è stata può ancora essere, e difatti è stata ed è. Siamo noi, i presunti «normali», i potenziali abitanti della città del Male.


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