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Il magistero di "Mammona" ("Deus caritas est") e della Morte ("ictus") o il magistero evangelico dell’Amore ("Deus charitas est") e della Vita ("I.ch.th.u.s")?!!

SOVRANITÀ E OBBEDIENZA. "DICO": DI CHI, DI QUALE LEGGE - A CHI, A QUALE LEGGE OBBEDIRE?!! ALLA LEGGE DEL PAPA - "COME UN CADAVERE" o ALLA LEGGE DEL "PAPÀ-PADRE NOSTRO" (Amore-Charitas, dei nostri "padri" e delle nostre "madri") - COME UN FIGLIO E UNA FIGLIA, UNA CITTADINA SOVRANA E UN CITTADINO SOVRANO?! Al Faraone e alla sua legge o a Mosè e alla Legge che egli stesso segue?! Abramo, chi ascoltò: Baal, il dio dei sacrifici e della morte, o Amore, il dio dei viventi?! Un’analisi di Giovanni Filoramo - a cura di pfls

"Preghiamo per quegli infelici che si sono sacrificati per il loro malinteso ideale" (don Lorenzo Milani) - di famiglia, di Patria, e di Dio!!!
giovedì 5 aprile 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Non si può fare a meno di ubbidire: ma a chi? a quali leggi? a quale autorità mediatrice? Il problema del contrasto tra spirito e lettera è un problema universale. Quante volte la disobbedienza si è rivelata essere la vera, più profonda forma dell’obbedienza religiosa, come insegna, tra tanti, il caso del leader religioso induista Ramanuja (XI sec. d.C.), che disubbidì al suo guru, rendendo pubbliche, affinché tutti gli uomini fossero salvi, le dottrine di salvezza che fino a quel (...)

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> SOVRANITA’ E OBBEDIENZA. "DICO": DI CHI, DI QUALE LEGGE - A CHI, A QUALE LEGGE? OBBEDIRE ALLA LEGGE DEL PAPA - "COME UN CADAVERE" o ALLA LEGGE DEL "PAPA’-PADRE NOSTRO" (Amore-Charitas, dei nostri "padri" e delle nostre "madri") - COME UN FIGLIO E UNA FIGLIA, UNA CITTADINA SOVRANA E UN CITTADINO SOVRANO?! Al Faraone e alla sua legge o a Mosè e alla Legge che egli stesso segue?! Abramo, chi ascoltò: Baal, il dio dei sacrifici e della morte, o Amore, il dio dei viventi?! Un’analisi di Giovanni Filoramo - a cura di pfls

giovedì 5 aprile 2007

ANALISI

Dei tre ideali rivoluzionari, fino a oggi solo «liberté» ed «egalité» hanno mosso governi e ideologie. Ma ora le nuove sfide reclamano anche più «fraternité»

Se la politica riscopre la fraternità

Dopo il «Terzo ’89», quello della caduta del Muro, all’ordine del giorno si è imposta la necessità di trovare un equilibrio tra i tre principi, dal «welfare» alla «governance» mondiale da affinare

di Antonio Maria Baggio (Avvenire, 05.04.2007) *

La rivoluzione francese del 1789 inalbera, fra i numerosi "motti" che si susseguono nei cinque anni che trascorrono dalla convocazione degli Stati generali alla reazione termidoriana, anche la celebre divisa «Libertà, uguaglianza, fraternità». Essa non diviene però una divisa ufficiale; a renderla tale è solo la Repubblica rivoluzionaria del 1848. In seguito attraversa numerose vicende storiche che alternano la sua dimenticanza a momenti di fulgore e torna ad imporsi alla fine del secolo, a partire dalla vittoria dei repubblicani nel 1879. Il regime di Vichy la mette da parte, sostituendola con «Travail, famille, patrie»; ma rimane la divisa dei resistenti, e trova infine una sistemazione definitiva nell’art. 2 della Costituzione del 1946.

Perché allora occuparsi tanto dell’89, se la comparsa del "trittico" vi fu così breve? Il fatto è che la rivoluzione del 1789 costituisce un punto di riferimento storico di grande rilevanza, perché durante il suo corso, per la prima volta in epoca moderna, l’idea di fraternità viene interpretata e praticata politicamente.

Certo, lungo la storia dell’Occidente profondamente influenzato dalla cultura cristiana, un certo linguaggio della fraternità mantiene una presenza continua, e mostra una vasta gamma di sfumature quanto ai contenuti del concetto: dal significato teologicamente "forte" della fraternità "in Cristo", ad una miriade di manifestazioni pratiche, che vanno dalla semplice elemosina, al dovere dell’ospitalità e della cura, alla fraternità monastica che presuppone la convivenza e la comunione dei beni, fino a complesse opere di solidarietà sociale che, soprattutto in epoca medievale e moderna, precedono i contemporanei sistemi di welfare. Ciò che è nuovo, nel "trittico" dell’89, è l’acquisizione, da parte della fraternità, di una dimensione politica, attraverso il suo accostamento e la sua interazione con gli altri due principi che caratterizzano le democrazie contemporanee: la l ibertà e l’uguaglianza. Perché in effetti, fino a prima dell’89, si parla di fraternità senza la libertà e l’uguaglianza civili, politiche e sociali o, anche, si parla di fraternità in sostituzione di esse.

Il trittico rivoluzionario strappa la fraternità dalle interpretazioni - pur variegate - della tradizione e la inserisce in un contesto del tutto nuovo, insieme alla libertà e all’uguaglianza, come tre principi e ideali costitutivi di una prospettiva politica inedita. Per questo il trittico introduce - o almeno fa balenare lo sguardo - in un mondo nuovo; un novum che mette in crisi anche il modo con il quale il cristianesimo aveva fino ad allora inteso la fraternità: un novum che si annuncia e subito cade, per la scomparsa quasi immediata della fraternità dalla scena pubblica. Rimangono, in primo piano, libertà ed uguaglianza, più spesso antagoniste che alleate - e antagoniste proprio perché prive della fraternità -, integrate in qualche modo tra loro all’interno dei sistemi democratici; ma diventate, anche altrove, le sintesi estreme di due visioni del mondo, di due sistemi economici e politici, che si contenderanno il potere nei due secoli successivi.

Libertà e uguaglianza hanno conosciuto, così, un’evoluzione che le ha portate a diventare vere e proprie categorie politiche, capaci di esprimersi sia come principi costituzionali, sia come idee-guida di movimenti politici. L’idea di fraternità non ha avuto una sorta analoga; se si eccettua il caso francese, essa ha vissuto, come principio politico, una vicenda marginale, un percorso da fiume sotterraneo le cui rare emersioni non riuscivano ad irrigare di sé, se non sporadicamente, il terreno politico. Sulla fraternità, infine, il pensiero democratico è arrivato al silenzio.

La fraternità è andata invece acquisendo, nel corso della storia, un significato universale, arrivando ad individuare il soggetto al quale essa può pienamente riferirsi: il soggetto "umanità" - una comunità di comunità -, l’unico che garantisca la completa espressione anche agli altri due principi universali, di libertà e di uguaglianza. I problemi relativi all’universalità dei principi democratici, alla loro "sofferenza" dovuta all’essere "costretti" dentro una dimensionale statale, alle diverse forme che essi potrebbero assumere, sono stati presenti nei dibattiti suscitati in Occidente dai temi tradizionalmente posti dal federalismo, dalla Guerra fredda, dalle problematiche legate al multiculturalismo: ma chiedono oggi di essere guardati anche sotto l’ottica della fraternità.

Ancora, la fraternità ha avuto una certa, se pur parziale, applicazione politica attraverso l’idea di "solidarietà". Abbiamo avuto un riconoscimento progressivo dei diritti sociali, in alcuni regimi politici, che hanno dato origine a politiche di welfare, cioè a politiche che cercavano di realizzare la dimensione sociale della cittadinanza. In effetti, la solidarietà dà una parziale applicazione ai contenuti della fraternità; ma questa, io credo, ha un suo significato specifico, che non è riducibile a tutti gli altri significati pur buoni e positivi, attraverso i quali si cerca di darle un’applicazione. Ad esempio, la solidarietà - così come si è spesso storicamente realizzata - consente che si faccia del bene ad altri pur mantenendo una posizione di forza, una relazione "verticale" che va dal forte al debole; la fraternità, invece, presuppone il rapporto orizzontale, la condivisione dei beni e dei poteri, tanto che sempre più si sta elaborando - in teoria e in pratica - l’idea di una "solidarietà orizzontale", riferendosi all’aiuto reciproco tra soggetti diversi, sia appartenenti all’ambito sociale, sia di pari livello istituzionale.

Vero è che alcune forme di "solidarietà orizzontale" hanno avuto modo di svilupparsi attraverso concreti movimenti storici, nell’ambito delle organizzazioni sociali, della difesa dei diritti umani e, in parti colare, dei diritti dei lavoratori e, anche, come iniziative economiche: pensiamo al movimento cooperativo, all’economia sociale sviluppatasi negli ultimi decenni.

Ritengo, in conclusione, che si possa dire che la fraternità assume una dimensione politica adeguata, ed è dunque intrinseca al processo politico stesso, non estranea o applicata ad esso dall’esterno, solo sei si realizzano almeno due importanti condizioni. La prima: la fraternità entra a fare parte costitutiva del criterio della decisione politica, contribuendo a determinare, insieme a libertà ed uguaglianza, il metodo e i contenuti della politica stessa; la seconda: riesce ad influire sul modo con il quale vengono interpretate le altre categorie politiche, quali la libertà e l’uguaglianza. Si deve infatti garantire un’interazione dinamica fra i tre principi, senza scartarne nessuno, in tutti gli ambiti pubblici: da quello della politica economica (decisioni sugli investimenti, distribuzioni delle risorse), a quello legislativo e giudiziario (bilanciamento dei diritti fra persone, fra persone e comunità), a quello internazionale (sia per rispondere alle esigenze dei rapporti fra gli Stati, sia per far fronte ai problemi di dimensione continentale e planetaria).

*

il libro

La grande assente del pensiero politico

La riflessione di Antonio Maria Baggio «La riscoperta della fraternità nell’epoca del Terzo ’89», della quale anticipiamo in questa pagina ampi stralci, apre la raccolta da lui curata «Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea» in uscita per Città Nuova (pagine 330, euro 22,00). Il filosofo, docente di Etica sociale e Filosofia politica alla Pontificia università Gregoriana di Roma, ha riunito in volume una serie di interventi che mirano a contribuire a risolvere i problemi irrisolti delle democrazie, che non sono ancora riuscite a realizzare in pieno il celebre trittico composta da libertà, uguaglianza e fraternità. Soprattutto quest’ultima è stata poco elaborata, nella riflessione politica novecentesca; per questo le domande che pone, e il suo rapporto con la prassi politica, restano aperte. Ne riflettono, nel volume, gli scritti di Rocco Pezzimenti, Massimiliano Marianelli, Piero Coda, Giuseppe Savagnone, Daniela Ropelato, Alberto Lo Presti , Filippo Pizzolato, Vincenzo Buonuomo, Marco Aquini e Pasquale Ferrara.


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