Rientrati in patria i marinai inglesi
Blair apre all’Iran: «E’ ora di riflettere sui nostri rapporti» *
LONDRA. Dopo 13 giorni di detenzione in Iran, i 15 marinai britannici sono tornati in Inghilterra. Un aereo di linea della British Airways li ha riportati ad Heathrow, dove sono stati prelevati da due elicotteri militari per il ’debriefing’ in una base del Devon, ultima tappa prima del ritorno alla normalità.
Qualche dubbio sulle modalità del rilascio resta, nonostante le reiterate assicurazioni di Blair sull’assenza di ogni «trattativa» con il regime iraniano; e anche sul luogo della loro cattura, le versioni restano differenti (Teheran afferma di aver ricevuto anche una lettera di scuse del premier). Ma il caso è risolto, ed è lo stesso Blair, in un discorso tenuto davanti a Downing Street proprio mentre atterrava l’aereo dei liberati, a provare a guardare oltre: prospettando una «riflessione» che porti a nuovi rapporti con l’Iran.
Il dossier Iran resta infatti corposo, a partire dal programma nucleare per arrivare al ruolo ricoperto nelle vicende irachene. Con il presidente Mahmoud Ahmadinejad interlocutore obbligato e non completamente decifrabile. La conferenza-show di ieri - con premiazione in diretta mondovisione dei «coraggiosi che difendono la nostra sovranità territoriale» e la successiva liberazione dei marinai britannici come «regalo» alla Gran Bretagna per la Pasqua e il compleanno di Maometto- lascia aperta ogni interpretazione. Una svolta nei rapporti è possibile «se Teheran la vuole» ha detto Blair: è la vera domanda che l’intera comunità internazionale pone ad Ahamdinejad.
* La Stampa, 05/4/2007 (12:56) __________________________________________________________________ LA REAZIONE
Blair: sono felice, non porto rancore
Il premier: "Ringrazio alleati e amici di Europa, Onu e Medio Oriente per il sollievo che provo in questo momento"
MARCELLO SORGI
INVIATO A LONDRA
Se i marinai non avessero urlato per la gioia della liberazione, come fanno tutti i ragazzi quando sono felici. Se perfino alla conferenza stampa a Teheran, non si fossero visti i giornalisti inglesi esultanti e quelli americani con il muso. Se poi lui, il supercomunicatore Ahmadinejad, non avesse messo su quel grande spettacolo in diretta tv mondiale che è stato l’annuncio del rilascio, seguito dall’incontro e dalle strette di mano con i gli ostaggi liberati. Ecco, se tutto questo non fosse avvenuto, sarebbe stato molto più facile per Tony Blair gestire la conclusione dei tredici giorni difficili della crisi con l’Iran.
Alle 17 e venti, quando è uscito davanti al portone del numero 10 di Downing street, il primo ministro era soddisfatto ma visibilmente provato. In pochi minuti, accanto alla silenziosa ministra degli esteri Margaret Beckett, s’è detto «felice» per il ritorno alla libertà dei marinai, ha sottolineato «il profondo sollievo» delle famiglie e del suo paese, ha ringraziato «amici ed alleati di Europa, Onu e Medio Oriente», e ha tratteggiato sapientemente i due punti dell’accordo con Teheran.
Blair ha spiegato così che i marinai sono stati riportati a casa (al momento tra i muri dell’ambasciata britannica nella capitale iraniana, solo oggi a Londra), grazie all’«approccio misurato, fermo ma calmo, senza negoziati ma senza neppure scontrarci». Poi ha aggiunto che il governo inglese non «porta rancore» al popolo iraniano, di cui ha riconosciuto la storia e le tradizioni, e s’è augurato che il metodo usato con successo in quest’occasione possa servire anche in futuro ad appianare dissensi tra i due paesi. Parole, queste, che hanno riportato le relazioni Londra-Teheran a due anni fa, quando appunto l’allora ministro degli esteri Jack Straw era di casa nel paese degli ayatollah, la guerra in Iraq lasciava ancora presagire una conclusione positiva, e Blair cercava di aprire una breccia con Bush per ottenerne un atteggiamento diverso nei confronti di Teheran. Come poi questo nuovo-vecchio atteggiamento inglese possa ora conciliarsi con la linea dura assunta dalle Nazioni Unite nei confronti dei programmi nucleari di Ahmadinejad, sarà tutto da vedere. Ma indubbiamente il ritorno a un clima di «dialogo», com’è stato concordemente definito, dopo la crisi tra i due paesi, segna un punto a favore del leader iraniano.
Quanto a Blair, avrà il suo da fare per spiegare all’alleato americano la sua svolta, ma potrà dire di aver salvato i marinai senza una vera trattativa e senza aver concesso altro che un mutamento di clima nei rapporti: coerentemente, insomma, con la posizione contraria a scambi di prigionieri sul genere di quello seguito, e criticato da Londra e Washington, al sequestro di Daniele Mastrogiacomo in Afghanistan.
Che questa conclusione fosse a portata di mano, e la liberazione fosse imminente, s’era capito già da martedì, quando soprattutto da ambienti militari e diplomatici era cominciato a soffiare vento di ottimismo. La sensazione che si aveva era di una trattativa che, cominciata fin dal primo giorno e coperta da atteggiamenti politici necessariamente propagandistici («Non trattiamo!», «E noi li processiamo!»), era ormai giunta in dirittura d’arrivo.
Sono stati soprattutto i militari di Sua Maestà ad aprire il dialogo con quelli di Teheran, in nome del patto non scritto che aveva consentito finora, senza quasi conseguenze, il pattugliamento delle acque al confine tra Iran e Irak da parte delle forze della coalizione presenti sul territorio irakeno. Sconfinamenti e incidenti come quello che ha portato alla cattura dei marinai, spiegavano gli inglesi, avrebbero potuto capitare ogni giorno. Se invece non erano accaduti finora, e poi si verificano tutt’insieme, vuol dire che c’è una precisa volontà politica di aprire una crisi. Di qui - e siamo alla parte diplomatica della trattativa - un’attenta delimitazione della materia del «dialogo». Con una premessa: se il governo di Teheran avesse in qualche modo cercato una sorta di risarcimento per l’arresto dei cinque, tra diplomatici e ufficiali iraniani, avvenuto a Natale in Irak, o per la recente misteriosa sparizione di un altro diplomatico in Turchia, la trattativa non poteva neppure partire. Diverso, invece, il discorso sul tentativo di recuperare, nel momento di massimo isolamento dell’Iran, un migliore clima di relazioni con la Gran Bretagna. Obiettivo raggiunto e che ha consentito di suggellare l’accordo. E per il quale avrebbero premuto, fiancheggiando Blair, anche Siria e Katar, non a caso ringraziati come «amici e alleati» nella dichiarazione resa davanti a Downing Street. Mentre nelle case dei familiari dei marinai, e nei pubs vicini, birra a fiumi e bottiglie di champagne salutavano la notte ubriaca di attesa del ritorno.
* La Stampa, 5/4/2007 (7:25)