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Questione antropologica - Life out of Balance!!! "I soggetti sono due, e tutto è da ripensare" (Laura Lilli, 1993).

GENERE UMANO: DONNE E UOMINI. 50 E 50. EQUILIBRARE IL CAMPO. DEMOCRAZIA PARITARIA, A TUTTI I LIVELLI !!! - a cura di pfls

Le donne sono l’altra parte del genere umano necessaria, affinché l’umanità possa essere intera, nell’identità e nella differenza.
sabato 21 luglio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] L’Udi con questa Proposta intende aprire un dibattito dentro e fuori le Istituzioni perché la Democrazia paritaria venga riconosciuta come un aspetto fondamentale del vivere civile e politico nel nostro Paese.
Auspichiamo che questa Proposta sia accolta favorevolmente da uomini e donne di buona volontà, presenti in tutti gli schieramenti politici.
Questa Proposta si inserisce in una campagna complessiva che l’Udi ha promosso fin dagli inizi del 2006, denominata 50E50 ovunque si (...)

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> GENERE UMANO: DONNE E UOMINI. 50 e 50. "I soggetti sono due, e tutto è da ripensare" (Laura Lilli, 1993). ---- Proposte e riflessioni (Maria Grazia Campari, Lea Melandri)

giovedì 31 gennaio 2008

1. PROPOSTE. MARIA GRAZIA CAMPARI: PER UN PIANO CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE *

Premessa

In questa fase, la globalizzazione economica esercita un influsso prepotente sulle vite di tutte e tutti, donne e uomini.

Le donne, in particolare, subiscono l’esito infausto del nesso fra egemonia del mercato e politiche familistiche (uomo individualista economicamente indipendente, donna dipendente al servizio della famiglia) al quale fa seguito la diffusione di valori morali e giuridici di stampo fondamentalista, implicanti una negazione di liberta’ in primo luogo per le donne, poi per tutti per la indivisibilita’ di questo valore.

Questo ordine determina la negazione di qualsiasi relazione fra soggetti dotati di pari valore, svalorizza l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne, nega loro fondamentali diritti della personalita’. Attraverso il richiamo a valori religiosi dichiarati indisponibili, nega l’autogoverno laico delle vite e avvolge tutte in una rete intessuta di nodi autoritari.

Questo ordine comporta, inoltre, precise ricadute sull’integrita’ e sulla vita stessa delle donne: dai gesti quotidiani di disvalore, alla inesistenza di autonomia decisionale sul proprio corpo (sancita da leggi e regolamenti), alla persecuzione con violenza, fino all’uccisione di chi ha scelto di reggere il filo della propria vita con le proprie mani, senza affidarsi ai ruoli imposti dalla tradizione e dalla cultura maschile.

La violenza, anche quando abbia luogo fra le mura domestiche, non e’ un fatto privato sulla cui origine i poteri pubblici possano stendere un velo di silenzio e disinteresse, oppure tentare di porvi rimedio attraverso la scorciatoia del solo diritto criminale, inasprendo la previsione di pene.

Come in altri Paesi europei (Spagna, ad esempio), le istituzioni sono chiamate ad intervenire nella consapevolezza che e’ lo svantaggio sociale femminile il dato di base all’origine della violenza e che esso va rimosso con sistemi adeguati.

Occorre pensare ad un piano nazionale di acculturamento e sensibilizzazione rivolto a tutti; occorre una costante vigilanza sulla sua osservanza e applicazione; occorre un piano legislativo che contenga un forte ed esplicito messaggio culturale e politico per un cambiamento delle relazioni fra donne e uomini. Una legge onnicomprensiva che evidenzi l’origine sessista della violenza insita nella discriminazione contro le donne, che evidenzi l’importanza della visibilita’ e della prevenzione per un problema da considerarsi grave problema sociale e da risolversi in tempi ragionevolmente rapidi da parte dei poteri pubblici. Seguono alcune proposte che, volutamente, prescindono dall’intervento penale, considerato quale rimedio solo successivo e non risolutivo del problema, riservato eventualmente agli esperti di settore.

Proposte di intervento integrato multidisciplinare La Presidenza del Consiglio dei Ministri con l’intervento dei Ministeri competenti (Sanita’, Giustizia, Istruzione, Interni, Pari Opportunita’), dovra’ avviare un piano nazionale di sensibilizzazione e prevenzione della violenza di genere che comprenda almeno i seguenti aspetti.

Introduzione e pubblicizzazione di una nuova scala di valori fondati sul rispetto dei diritti e delle liberta’ fondamentali, uguaglianza fra uomini e donne, esercizio della solidarieta’ e dell’accoglienza, in un quadro di civile convivenza. Tale scala di valori sara’ rivolta a uomini e donne attraverso un lavoro multiculturale posto a carico di tutti i pubblici poteri coinvolti. Dovra’ prevedere un programma di istruzione complementare e di formazione ad hoc per tutti i professionisti in qualsiasi modo destinati ad intervenire in situazioni caratterizzate dall’esercizio di violenza contro le donne.

Il programma di educazione/formazione sara’ controllato da una Commissione di esperti di nomina parlamentare, che dovra’ essere rappresentativa di tutti gli orientamenti politico-culturali e dovra’ vedere la presenza di professionisti di riconosciuta esperienza, rappresentanti istituzionali e singoli esponenti di ong e associazioni dotati di comprovata pluriennale capacita’ di intervento nel campo. Promozione e cura da parte dei pubblici poteri centrali e locali di campagne di informazione e sensibilizzazione tendenti allo scopo di prevenire la violenza di genere.

Principi per il sistema educativo

Il sistema educativo comprendera’ fra i suoi obiettivi la formazione al rispetto dei diritti e liberta’ fondamentali, di uguaglianza, disponibilita’ all’accoglienza e soluzione pacifica dei conflitti. Allo scopo di garantire l’uguaglianza effettiva fra uomini e donne sara’ precisa responsabilita’ e onere del ministero e degli organi scolastici competenti che nei materiali educativi di ogni ordine e grado siano rimossi stereotipi sessisti e che venga promosso il pari valore di uomini e donne. Anche per i docenti dovranno essere previsti piani di formazione che includano l’educazione specifica in materia di uguaglianza, al fine di assicurare loro specifiche competenze e conoscenze tecniche indispensabili a:
-  1. incoraggiare capacita’ che portino all’esercizio di diritti e obblighi uguali per maschi e femmine nell’ambito sia pubblico che privato.
-  2. individuare precocemente situazioni di disagio o violenza nella sfera famigliare e intervenire in forma istituzionalmente corretta ed efficace. 3. educare alla risoluzione nonviolenta dei conflitti.

Principi per il settore della comunicazione e della pubblicita’

E’ da considerare illecita la pubblicita’ che utilizza l’immagine femminile in modo vessatorio e discriminatorio. Le amministrazioni e le autorita’ pubbliche a livello statale e locale dovranno vigilare affinche’ mezzi di stampa e audiovisivi adempiano l’impegno di garantire un modo di trattare la figura femminile che sia conforme ai principi e valori costituzionali.

In ambito statale, regionale e comunale dovranno essere individuati organismi preposti alla vigilanza autorizzati ad esercitare azioni giudiziarie urgenti aventi lo scopo di ottenere dall’autorita’ giudiziaria ordinaria l’interruzione e/o la soppressione della pubblicita’ e delle immagini illecite perche’ contrastanti con le indicazioni sopra estese.

I mezzi di comunicazione dovranno rimuovere tutti gli aspetti che favoriscano la situazione di disuguaglianza della donna e promuovere, d’intesa con i pubblici poteri, campagne di sensibilizzazione verso l’uguaglianza fra i sessi e per la repressione della violenza di genere.

Principi per il settore sanitario

Le amministrazioni centrali e locali avranno il compito di sostenere e favorire le azioni degli operatori sanitari volte alla rilevazione precoce della violenza di genere e di proporre le misure necessarie ad ottimizzare il contributo del settore sanitario nella lotta contro questo tipo di violenza.

Dovranno sviluppare programmi di sensibilizzazione e formazione continua del personale sanitario allo scopo di promuovere la diagnosi precoce e l’assistenza e il sostegno delle donne vittime di violenza. Dovranno quindi provvedere, anche tramite gli istituti preposti, all’introduzione nei corsi di studio e formazione professionale di insegnamenti orientati al fine sopra enunciato.

I diritti delle donne vittime di violenza di genere I principali diritti per le donne vittime di violenza sono quelli all’informazione, assistenza sociale e legale; essi costituiscono la condizione minima necessaria al reale godimento delle garanzie costituzionali di liberta’, inviolabilita’ e sicurezza; essi saranno pertanto assicurati, senza condizioni ne’ preclusioni, a qualunque donna residente nel territorio italiano.

Le amministrazioni pubbliche (centrali e locali) dovranno predisporre servizi in grado di corrispondere alle vittime di violenza informazione completa, assistenza medica e psicologica, sostegno sociale, supporto legale e, in generale, assistenza adeguata alle loro condizioni personali e sociali.

Si tratta di un’opera di soccorso e accoglienza multidisciplinare che comprende: informazione alle donne interessate, attenzione e sostegno sociale, supporto giudiziario, appoggio in materia di formazione e inserimento professionale. Tali prestazioni richiederanno una collaborazione integrata di vari settori pubblici: servizi sanitari, di polizia, legali e giudiziari, scolastici e formativi. Tutta l’assistenza sara’ gratuita.

Per le donne vittime di violenza e per i loro figli dovra’ essere inoltre previsto un aiuto economico adeguato ai loro bisogni esistenziali e dovra’ essere messa a disposizione un’abitazione protetta.

Compiti istituzionali

I Ministeri interessati (Sanita’, Giustizia, Interni, Istruzione, Pari Opportunita’) dovranno curare la costituzione nell’ambito degli addetti alla giustizia, polizia e del personale sanitario di unita’ specializzate nella prevenzione della violenza di genere, nella protezione delle donne esposte a tale rischio, nella repressione rapida di comportamenti violenti e/o intimidatori, nella cooperazione alla effettiva applicazione delle misure cautelari e repressive adottate dagli organi giudiziari. Dovranno essere predisposti anche protocolli che assicurino una azione globale e integrata, uniforme in tutto il territorio nazionale, fra le diverse amministrazioni centrali e locali e i vari servizi ad hoc che ne dipendono.

2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: OSTACOLO ALLA CULTURA DEL DOMINIO **

Quando in un Paese, che si proclama laico e democratico, politici e mezzi di informazione invocano, quasi unanimemente, che venga data "liberta’ di parola" a un’istituzione che dichiaratamente si pone sulla sponda opposta - in quanto depositaria di una verita’ assoluta, di "valori fondamentali" che, come ha scritto Navarro-Valls ("La Repubblica" del 15 gennaio 2008), "precedono la politica", perche’ "non dipendono da noi" -, i casi sono due: o si e’ convinti che le proprie istituzioni siano abbastanza forti e temprate storicamente da reggere all’urto della potenza che ne minaccia l’autonomia, oppure si e’ gia’ fatta propria inconsapevolmente la posizione dell’altro.

Come spiegare altrimenti la sorprendente inversione di rotta che hanno preso le accuse di intolleranza, fine della laicita’, chiusura culturale, violenza ideologica, nel momento in cui, a seguito del dissenso espresso da un gruppo di docenti e studenti, il papa ha deciso di non presenziare all’inaugurazione dell’anno accademico dell’universita’ La Sapienza?

In modo del tutto speculare, il fronte laico si e’ trovato a trasferire su di se’ le stesse critiche, le stesse accuse, che fino al giorno prima aveva rivolto al pontificato di Benedetto XVI, o, in alcuni casi, a recitare simultaneamente la parte della vittima e dell’aggressore.

Dopo aver deplorato la data infausta, che avrebbe messo fine a un Paese "democratico" e affossato la speranza di vivere in una "Repubblica serenamente laica", Ezio Mauro ("La Repubblica" del 16 gennaio 2008) prosegue dicendo che la Chiesa e’ tornata a "essere un primo attore in tutte le vicende pubbliche", "pretende di determinare i comportamenti parlamentari delle personalita’ politiche cattoliche", si pone "come una riserva superiore di verita’ esterna al libero gioco democratico, una sorta di obbligazione religiosa a fondamento delle leggi e delle scelte di un libero Stato".

Benche’ si dica convinto che una universita’ di Stato non possa fare del pensiero religioso "la fonte costitutiva del suo sistema culturale ed educativo", all’autorita’ massima che ne e’ portatrice Ezio Mauro avrebbe voluto che si aprissero le porte nel giorno simbolicamente piu’ significativo del suo percorso interno, quale e’ l’inaugurazione dell’anno accademico, in modo che i docenti "potessero interloquire, fissare e ribadire l’autonomia dell’insegnamento e della liberta’ di ricerca".

E’ come dire che, per essere "tolleranti", si deve lasciar spazio all’intolleranza, per essere "liberi" lasciarsi espropriare dei luoghi dove la liberta’, di pensiero e di parola, e’ garantita dal dettato costituzionale, oltre che dai regolamenti interni di una istituzione, per essere "laici" cedere la lectio magistralis a un sapere confessionale, cioe’ a una verita’ di fede. In altre parole, non e’ previsto che si possa dissentire, ribellarsi, chiedere che venga messo un limite la’ dove la liberta’ di una parte interferisce con quella dell’altra, potendo contare su una innegabile disparita’ di potere. Nel momento stesso in cui si riconosce che l’interlocutore laico ha subito una "riduzione di dignita’", inspiegabilmente gli si chiede di accettare il dialogo, il confronto.

Guardare il mondo alla rovescia, pensare che la parola del papa, trasmessa settimanalmente a tutto il mondo e quasi ogni giorno sui teleschermi di casa nostra, abbia bisogno di essere protetta dalla "censura", dal rischio di passare sotto silenzio, puo’ essere lo scarto di prospettiva che, paradossalmente, restituisce alle cose la giusta proporzione. Diventa preoccupante quando si fa senso comune, visione condivisa, irragionevolezza diffusa. A questo punto le domande che dobbiamo porci sono altre. Di che pasta e’ fatto il consenso a una rappresentazione cosi’ distante dalla realta’? Perche’ il papa appare intoccabile, al di sopra di ogni legge, di ogni civile regola di convivenza, di ogni conquista di liberta’?

Perche’ un sistema medioevale, che subordina la scienza, il diritto, e quindi la politica, al superiore dettato della filosofia e della teologia - la "coppia gemellare" di saperi a cui San Tommaso d’Aquino aveva affidato "la ricerca sull’essere umano nella sua totalita’", il compito di "tener desta la sensibilita’ per la verita’", che ha il suo culmine nella fede cristiana -, puo’ essere scambiato oggi per l’espressione piu’ alta della ragione?

Nel discorso di Ratzinger, che deve essere risuonato ancora piu’ solenne letto in sua assenza, e’ detto con chiarezza quali siano la radice e l’albero, la forza propulsiva creatrice e le diramazioni dell’umano: "Se pero’ la ragione diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana... inaridisce come un albero le cui radici non raggiungano piu’ le acque che gli danno vita... Applicato alla nostra cultura europea cio’ significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e... preoccupata della sua laicita’, si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa piu’ ragionevole e piu’ pura, ma si scompone e si frantuma".

Dopo il lungo, combattuto percorso, che ha portato alla separazione tra Chiesa e Stato, fede e conoscenza, come e’ possibile che la fede torni ad essere "forza purificatrice" che aiuta la ragione ad "essere piu’ se stessa"?

Una risposta, o una chiave interpretativa, la offre Giuliano Ferrara, il paladino piu’ acceso di quello che definisce il "Papa della ragione", nel suo editoriale ("Il Foglio" del 17 gennaio 2008). Il merito, che fa di Benedetto XVI un "Papa a disposizione del suo tempo", e’ di aver rafforzato "l’identita’ cristiana e cattolica nel mondo", di aver dato "un aiuto insperato a un’epoca di svuotamento tendenziale del vivere e del convivere.

Specie in relazione al risveglio del temperamento piu’ fanatico di un certo islamismo radicale". Che cosa si debba intendere per "vivere e convivere", e’ detto piu’ estesamente da Ritanna Armeni su "Liberazione" (16 gennaio 2008): "Il papa interviene sulle manifestazioni della vita e della societa’ che toccano aspetti fondanti dei valori religiosi cattolici: la vita, la morte, la pace, la guerra, la scienza, la politica".

E’ su questa "battaglia di valori", "iniziata dalla Chiesa, e non solo da essa, sulla Legge 40 e proseguita sui vari terreni, dall’eutanasia alla famiglia e alle unioni civili e ora all’aborto", che il fronte laico dovrebbe "accettare il confronto". La "lezione" del papa alla Sapienza, stando alle dichiarazioni del rettore, avrebbe dovuto essere "il polo di irradiazione in altri atenei... per la proclamazione e la difesa di alcuni valori... un momento importante di riflessione per credenti e non credenti su problemi etici e civili, quale l’impegno per la moratoria della pena di morte", e, prevedibilmente, per la moratoria sull’aborto.

Se la violazione piu’ plateale della liberta’ di ricerca, che ha nell’universita’ il suo luogo piu’ autorevole, non ha registrato se non qualche raro grido di allarme, e’ perche’ evidentemente la separazione tra fede e conoscenza e’ un traguardo ancora lontano dall’Occidente laico e democratico, molto piu’ di quanto lo sia quella tra Chiesa e Stato.

La "confusione" appare oggi piu’ profonda - sedimento di pregiudizi e paure antiche -, nel momento in cui affiorano alla sfera pubblica esperienze essenziali dell’umano, come la nascita, la morte, la sessualita’, la procreazione.

E’ su questo terreno che la "sensibilita’ etica" va ad appiattirsi dentro quella "sensibilita’ alla verita’", di cui la Chiesa fa depositario il messaggio cristiano, l’unica "istanza" che, secondo Benedetto XVI, sfugge al le logiche dell’"interesse" e dell’"utile", dentro cui si muovono i partiti e in generale le istituzioni laiche.

Di fronte agli sviluppi imprevedibili di un sapere tecnico-scientifico, che sembra non conoscere limiti, sottoposto alla pressione di potenti interessi economici e politici, non e’ difficile, per una autorita’ apparentemente neutrale e dedita alle cose dello spirito, far balenare il pericolo di una incombente "disumanita’", e convincere le scienze storiche e umanistiche ad accogliere, "criticamente e insieme docilmente", la sapienza delle grandi tradizioni religiose. In primis, del cattolicesimo.

Si comprende meglio, a questo punto, che cosa abbia aperto, sul fronte laico, un vuoto cosi’ grande di "ragioni" proprie: il discredito caduto sulle istituzioni politiche, la resistenza della sinistra a trovare nessi tra vita e politica, la tentazione di un potere in crisi di appoggiarsi alla sua stampella secolare, il "sacro", e a chi se ne fa depositario unico, cioe’ la religione. Ma, al centro, come ha visto lucidamente Enzo Mazzi ("Il manifesto" del 16 gennaio 2008) c’e’ la competizione tra culture maschili, "la fede impallidita" e la fiorente ragione scientifica, alleate "per togliersi di mezzo la donna, radicale ostacolo alla cultura del dominio".

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* Fonte:

-  NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE.
-  Supplemento settimanale del giovedi’ de "La nonviolenza e’ in cammino"
-  Numero 155 del 31 gennaio 2008

* 1. [Dal sito della Libera universita’ delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente testo dal titolo completo "Per un piano nazionale di educazione e sensibilizzazione contro la violenza di genere" del 21 gennaio 2008.

** 2. [Dal sito della Libera universita’ delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "Liberazione" del 25 gennaio 2008 col titolo "La ragione subordinata alla fede, il mondo alla rovescia dei laici". ....]


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