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Il magistero di "Mammona" ("Deus caritas est") e della Morte ("ictus") o il magistero evangelico dell’Amore ("Deus charitas est") e della Vita ("I.ch.th.u.s")?!!

Presentato il libro del Papa: "Gesu’ di Nazaret". Ratzinger-Benedetto XVI ha precisato: "Nazaret" si scrive senza acca. Ma non è questo il problema!!! L’errore più grande (un errore di duemila anni) è quello di continuare a "pontificare" sull’Amore, come "Caritas" senza acca!!! L’analisi del Cardinale Carlo M. Martini e la relazione di Antonio Guagliumi per il gruppo biblico della CdB di S. Paolo - a cura di pfls

domenica 8 luglio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Ieri, a Parigi, l’arcivescovo emerito di Milano ha offerto una sua analisi del libro del Papa
«Ammiro il Gesù di Ratzinger,
ma non è l’unico»
Martini: «Una lettura alla luce di Fede e Ragione, che si oppone al metodo storico-critico»
Cercherò di rispondere a cinque domande:
1. Chi è l’autore di questo libro?
2. Qual è l’argomento di cui parla?
3. Quali sono le sue fonti?
4. Qual è il suo metodo?
5. Che giudizio dare sul libro nel suo insieme? [...]
GESU’ "CRISTO". MA (...)

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> Presentato il libro: "Gesu’ di Nazaret". Ratzinger-Benedetto XVI ha precisato: "Nazaret" si scrive senza acca .... ma non è questo il problema!!! L’errore più grande (un errore di duemila anni) è quello di continuare a "pontificare" sull’Amore, come "Caritas" senza acca!!! - a cura di pfls

martedì 17 aprile 2007

RESISTENZA E PACE

di Raniero La Valle *

La Chiesa in piazza

Se Gesù di Nazaret fosse stato così malevolo verso le convivenze di fatto, noi non avremmo una delle più belle pagine del Vangelo, quella della samaritana, che aveva avuto cinque mariti e quello con cui stava non era suo marito. Invece è proprio lei che attinge l’acqua dal pozzo per Gesù e ne ha in cambio l’acqua viva, e poi corre al villaggio ad annunziare a tutti, compresi i suoi compagni e mariti, di aver visto il messia.

Se il celibato di Gesù fosse stato tanto arcigno e schizzinoso, così da assurgere a insuperabile presidio della legge salica di successione nella Chiesa, per cui da Dio Padre al Figlio maschio unigenito ai successori degli apostoli si va per linea maschile fino all’ultimo degli accoliti, non avrebbe consentito che da lui si trasmettesse una forza all’emorroissa né si sarebbe fatto bagnare di pianto i piedi da una donna, né si sarebbe fatto cospargere di nardo né avrebbe avuto per loro parole di vita.

Se la Chiesa di Giovanni fosse stata così ansiosa e zelante come quella di Luca, che nel suo Vangelo non ha voluto includere l’episodio del perdono di Gesù all’adultera, per non indebolire il principio della fedeltà matrimoniale, noi non sapremmo, come invece sappiamo dal Vangelo di Giovanni che se n’è fatto carico, che le adultere non si uccidono, e che perfino la legge mosaica che lo prescriveva è scritta come col dito sulla sabbia, e basta una folata di vento, del vento della grazia, a spazzarla via.

Se la Chiesa che fu di Ruini non fosse così convinta che dove non basta la predicazione ci vuole il deterrente di una legge restrittiva, e che se i cattolici non obbediscono in casa sono tenuti ad obbedire almeno in Parlamento, non manderebbe le folle in piazza con preti e parroci in testa per dire “famiglia, famiglia”, e in realtà per cambiare la politica del Paese. Si rompe così l’unità del presbiterio, e si divide la Chiesa in fazioni. Per “supplicare” che essa non facesse un simile errore, Giuseppe Alberigo ci si è giocata la vita.

Ci fu un’altra volta in cui la Chiesa tentò un’operazione del genere, e fu quando fece scendere a Roma trecentomila militanti della Gioventù cattolica, con un uniforme berretto verde sul capo, perciò soprannominati “baschi verdi” (non c’era ancora la Lega), per una manifestazione di anticomunismo (che era il grande coagulante di allora). Quando De Gasperi li vide sfilare, disse: gridano per il papa, ma marciano contro di me. Da quel trauma la Chiesa si riebbe solo col Concilio, e Carretto andando nel deserto.

Certo, è molto umano che quando non ci si riesce da una parte, ci si provi dall’altra. Se non si riesce con la fede, proviamo col progetto culturale, con la politica, con la natura. E siccome la Chiesa sa cos’è la natura, non dice alla politica “segui me”, ma “segui la natura”: la famiglia naturale, la natura umana del materiale genetico che diventa uomo già sul vetrino, le relazioni naturali e perfino, com’è accaduto, la conformità alla natura della pena di morte, purché non dell’innocente. Tutte cose che varrebbero lo stesso, come diceva Grozio, “anche se Dio non ci fosse”.

Per l’appunto Dio ha fatto lo sforzo di incarnarsi quando ha visto che con la “natura” l’uomo non andava troppo lontano. Ci voleva dell’altro, ed è per quest’altro che è nata la Chiesa.

Del resto neanche alla politica basta seguire la natura. Questo lo credeva Aristotele, che pensava alla politica come all’attuazione di una scienza, di una verità, che “sta sopra” (l’epistéme), per cui sarebbe secondo natura, e necessario, che ci sia “chi comanda e chi è comandato” e che il maschio comandi sulla femmina, essendo “l’uno per natura superiore, l’altra inferiore” (vedi alla voce “politica” del Dizionario di teologia della pace, EDB). Invece la politica è un artificio, è un prodotto della cultura. Un artificio è la democrazia, e infatti rischiamo ogni momento di perderla. Ma un artificio è anche lo Stato: e perciò non può essere “perfetto”, cioè del tutto autosufficiente, come pretendeva lo Stagirita; anzi è proprio questa idea di avere per natura tutti i mezzi necessari e di non aver bisogno di nessuno, che ha fatto dello Stato un “sovrano” in guerra contro gli altri Stati.

E artificiali sono i regni. Non c’è niente di più innaturale di un re. Ma intanto, se gli uomini non si fossero inventati il re (e Dio non voleva, come disse a Samuele) Gesù non avrebbe potuto usare quella metafora per annunciare il “regno di Dio”: nella natura, oltre la natura, nonostante la natura.

* WWWW.ILDIALOGO.ORG, Martedì, 17 aprile 2007

Riceviamo da Enrico Peyretti (per contatti: e.pey@libero.it) questo articolo che uscirà su Rocca, rocca@cittadella.org, nel n. del 1 maggio, nella rubrica di Raniero La Valle


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