Le testimonianze «Lì stava scoppiando tutto: temevamo un’altra Seveso»
«Ci hanno detto di uscire perché c’era un incendio. In due minuti, si è scatenato l’inferno, mai vista una cosa simile» *
TREVISO - «Fuori! Allontanatevi tutti, presto!». Senza divisa né tuta da lavoro, corre come forsennato lungo via Seitz. Sono le 13.40. Il volto madido, la cravatta allentata, grida allargando le braccia quasi a voler spingere la fiumana di tute blu che si allunga dalla colonna di fumo alla strada. È Fabio Peressini, il direttore del personale. Sta spingendo i «suoi» dipendenti. Deve fare in fretta. Deve avvisarli tutti, uno ad uno, i «suoi» operai che stanno fermi, impietriti, a osservare fiamme e fumo che si levano in cielo. «Non possiamo stare qui, dobbiamo allontanarci, via via, siamo evacuati tutti, ce l’abbiamo fatta, maadesso dobbiamo andarcene anche dalla strada». Striglia e conforta, sbraita e rassicura, ché è andata bene. Anche se il peggio deve ancora venire. La sua voce si confonde tra le sirene e si rompe ad ogni esplosione.
Uno, due, cinque botti in rapida successione. La De Longhi brucia, le macchine esplodono. «Lì dentro è un inferno, mai vista una cosa simile», sussurra un vigile del fuoco mentre affonda la pompa di rifornimento della cisterna nelle acque del canale dello Storga. Nei primi minuti, quella dallo stabilimento in fiamme, assomiglia a una processione di operai e residenti.
Increduli tecnici e impiegati, terrorizzata la gente, per lo più donne con in braccio bambini da portare al sicuro. Walter Crosato è uno dei primi a fuggire in strada. «Ho sentito un collega che mi diceva di uscire e poi le sirene dell’allarme antincendio- racconta l’operaio, da 27 anni nello stabilimento di via Seitz -. Ho pensato al disastro di Seveso, ho mollato tutto e sono corso fuori». «Ero in mensa con gli altri impiegati -spiega Paola -, ci hanno fatto uscire subi to, ci hanno detto che era scoppiato un incendio, ma non pensavo una cosa del genere ».
Mohamed Kabah è uno dei tanti immigrati approdati nelle catene di montaggio dell’azienda trevigiana di elettrodomestici. In via Seitz da sei anni si divide tra i turni in fabbrica e un appartamento affittato con altri connazionali. «Siamo usciti subito, io non ho avuto paura ma non so se ci sia gente ancora dentro». Il suo amico Mustapha allarga le braccia. «Questo vuol dire che ho perso il lavoro? Oggi era il mio primo giorno». Perché alla paura, tra i circa mille dipendenti della De Longhi, con il passare del tempo, si aggiunge la preoccupazione.
Seduti ai bordi della strada, decine di operai attendono silenziosi. Più del timore che il fumo li raggiunga, può l’ansia di sapere se lì dentro qualcosa si è salvato. Ad un certo punto, al passaggio dei primi mezzi di rimozione, un giovane esulta. «Eccola, è lei, la mia macchina, me l’hanno salvata ». Paolo invece sta a guardare, con gli occhi rossi e lucidi. «Sono qui dal 1981 - racconta -e non mi capacito di ciò che è successo. In due minuti, 120 secondi, si è scatenato l’inferno: un collega carrellista mi è venuto incontro urlando "al fogo, al fogo!".
Istintivamente ho preso gli estintori e sono corso verso il magazzino ma non sono riuscito nemmeno ad avvicinarmi. Ora non c’è niente da fare, solo aspettare». A rompere gli indugi sono gli altoparlanti delle macchine della polizia: «Rientrate in casa e chiudete le finestre, toglietevi dalla strada ed entrate in luoghi chiusi». Su via Seitz il silenzio.
Valentina Dal Zilio
* Corriere della Sera, 19 aprile 2007