Pensieri sull’orlo dell’abisso
Se non ci fidassimo di chi accoglie i nostri figli
di Marina Corradi (Avvenire, 27.04.2007)
Si resta, leggendo le cronache di Rignano Flaminio, come in bilico sull’orlo di un burrone, esitanti su cosa si debba credere, e sbigottiti dal fatto che, in realtà, entrambe le ipotesi - quella che "tutto" sia vero, quella che "tutto" sia infondato - appaiono sbalorditive.
Che in un piccolo paese una violenza collettiva in un asilo possa essere consumata per mesi, senza che nessuno colga in flagrante un’organizzata banda di pedofili, suona difficilmente credibile. Che, d’altra parte, tanti bambini di tre anni all’unisono raccontino di avere subìto le stesse violenze e patiscano le stesse turbe, è inspiegabile, a meno di non voler pensare a una spaventevole suggestione ingenerata da adulti e malignamente alimentata. Ma non può essere. Di video, per ora, non pare ne siano stati trovati, e le perizie sui bambini sono controverse. E ti ritorna in mente - anche se non vuoi - quel don Govoni, prete di Modena morto di crepacuore prima di essere scagionato, insieme ad altri otto imputati, di reati infamanti. O le otto recenti assoluzioni a Brescia, al termine di un’altra vicenda di denunciate violenze. Ascolti la voce dal carcere degli accusati, maestre che hanno cresciuto un paese, con figli e nipoti; e le loro colleghe, che sull’innocenza sono pronte a giurare; e ancora fai fatica a credere. Ma la rabbia dolente dei genitori e il racconto degli incubi dei figli ti spostano di nuovo, in bilico sull’abisso: cosa è stato a Rignano Flaminio, cosa è successo davvero?
Nella speranza e nell’attesa che una giustizia capace sappia illuminare in fretta il pozzo buio che è diventato un piccolo paese, viene però da annotare come non marginale una sorta di non detto sospetto, di inquieto retropensiero che questo dramma alimenta - pure se razionalmente scacciato - fra madri e padri che ogni mattina portano a scuola i loro figli bambini. Quel pensiero non detto è come un tremare delle fondamenta del vivere comune, dubbio inaudito e tuttavia capace di incrinare la serenità de lle giornate.
Se davvero in un paese dei nostri, in un paese come tanti dove tutti ci si conosce da sempre, fosse potuto accadere quel che si legge nell’ordinanza di carcerazione, allora simili nefandezze potrebbero nascondersi ovunque. Se "tutto" fosse vero, e per tanto tempo quel male avesse potuto ramificare nel nido quieto di una serena provincia, allora verrebbe da dire che non si può sentirsi tranquilli mai; che le facce amiche dei maestri che conosciamo non sono più ragione di quella certezza, di quella tranquillità naturale con cui affidiamo ogni mattina i nostri figli. Un sospetto inespresso e inammissibile ma simile a un tarlo, a un radicale sgomento: se non potessimo più fidarci di chi tutti i giorni accoglie i nostri bambini, delle maestre che ritroviamo nei loro disegni infantili con la bocca sorridente, di chi ci potremmo fidare? Se ci venisse a mancare la certezza che ciò che ci è più caro è in mano a gente buona, che pure per stipendi tirati insegna a leggere, a scrivere e a stare insieme, come vivremmo?
L’inquietudine che tracima dal pozzo nero di Rignano somiglierebbe allora a un veleno che inquini le falde dell’acqua. Ci domandiamo forse, aprendo il rubinetto di casa, se l’acqua è avvelenata? Solo questo sospetto basterebbe a sconvolgere le nostre città. Ciò che viene sfiorato, dietro e oltre una vicenda giudiziaria di cui non possiamo sapere l’esito, sembra quella stessa fiducia basilare nel prossimo, senza la quale il vivere insieme è impossibile. Una fiducia cui non possiamo rinunciare. Che districhi in fretta la giustizia l’intricato terribile nodo che stringe Rignano Flaminio. Ma qualunque sia stata la verità di quel paese, continuiamo a fidarci degli occhi delle maestre dei nostri figli; a vedere e riconoscere tutto il bene di vite passate a educare - in un patto fondamentale di cui non possiamo, per vivere insieme, fare a meno.