Pedofili, il paese nel tunnel
di Roberto Cotroneo *
Un’aria di tenebra, nonostante una luce del sole che picchia sull’asfalto come fosse estate, sembra attraversare la piazza di Rignano Flaminio. Alle due del pomeriggio sono poche le persone in strada, e le insegne dei negozi sono delle citazioni involontarie a tutto. Cominciando da quella che ti accoglie in paese, e che suona una beffa, un cartello che dice: «Tutto per l’infanzia». Un paese di diecimila abitanti, Rignano. Gente normale, che va a Roma per tutto il giorno a lavorare e poi torna la sera. E poi il sabato la passeggiata, le macchinette delle ragazzine che si fermano davanti ai bar.
L’aria di tenebra non la senti, la vedi proprio, come fosse un fiume invisibile, la vedi negli occhi della gente, nei silenzi, nelle mezze parole, nei movimenti indecisi, di chi non sa bene come comportarsi.
Comunque vada è un disastro. Se sarà accertato l’orrore, o se invece ci saranno colpi di scena, il buio che è comunque sceso dentro le coscienze di questa gente, non dà scampo. Quando ti prende la consapevolezza della banalità del male, puoi farci poco. La barista che mi serve il caffè mi dice solo poche parole. Spiegano tutto: «Io avrei preferito un gruppo di drogati e criminali, e lo scriva».
L’orrore c’è. È l’orrore dell’impossibile, del «non posso crederci», del «io li conoscevo bene», del «e se non fosse vero?», del «chi ci risarcisce da tutto questo?». Delle casette costruite tutte dagli anni Settanta in poi, delle facce, giovani e vecchie, che cercano di scrollarsi di dosso tutto, dimenticando che scrollarsi di dosso tutto vuol dire scrollarsi di dosso se stessi. Perché una cosa è certa, in un modo strano, in un modo che non ha una logica, e che risponde soltanto a un impe-rativo emotivo, tutti si sentono responsabili. Vallo a chiedere a una giovane ragazza dall’aria dolce che va a prendere il nipotino alla scuola elementare: ti sorride, e ti dice: «Una di quelle maestre è stata la mia maestra. Mai avrei immaginato». Mai avrebbe immaginato, in quel quadro rassicurante, «del meglio paese sulla Flaminia», di gente che fino ad oggi si occupava del derby, perché sono tutti laziali e romanisti. E prima si andava al mare assieme, tutti, perché tutti si conoscono, e tutti sanno tutto di tutto. La parola tutto: tutto, tutto, tutto, in questo vuoto di senso. Ma di questo che è accaduto no, nessuno poteva immaginare, e per crederci bisogna aspettare.
Un’aria di tenebra ti prende sulla strada che porta alla scuola materna, con le insegne nelle villette con i soli nomi propri degli abitanti, in carattere corsivo. E quello spiazzo dove ormai stazionano i camion di regia di Sky e Mediaset e una macchina dei carabinieri. Il giovane appuntato è di Castellammare di Stabia, che è tornato a sognare il mare della penisola sorrentina. E che ora, che sta succedendo tutto questo, ha la faccia di uno che avrebbe solo voglia di scappare. Un’aria di tenebra quando entri dal tabaccaio, e prima pensi che è un paese di tabagisti incalliti, perché la fila arriva quasi alla porta. E poi scopri che sono anziane signore di Rignano Flaminio che giocano al gratta e vinci in modo forsennato. Giocano vincono quel poco, e si rigiocano la vincita. E accanto alla cassa un cartello scritto con il pennarello: «Il 24 aprile sono stati vinti 80 mila euro in questa ricevitoria. Tutti al mare». Sembra una beffa per un paese che si sente perdente, e si chiede, e se lo chiedono tutti, quanto varranno ancora le case: «50 mila euro in meno», dice uno di loro.
Un’aria di tenebra è la rabbia per gli operatori della televisione, «abbassi quella telecamera!», come fosse un mitra puntato. E una giovane collega che prova a intervistare tutti per strada senza trovare una sola persona disponibile. E la rabbia di un rignanese che vorrebbe picchiare il cameramen del Tg5. E un’aria di tenebra ti sorprende a vedere ogni bambino del paese, e sono tantissimi, che giocano al calcio, e ti chiedi cosa hanno capito, cosa sanno, che incubi li devono aver colti.
Cosa è successo? Già, noi ne sappiamo meno di voi. Però al bar Sport, gestito dal marito di uno degli indagati, è meglio non entrare, rischi di essere invitato a uscire, con ferma gentilezza. Perché il paese è diviso in due, perché prima erano tutti amici. Tutti condannati, tutto sommato, a vivere lontani dalla città, in un paese tranquillo e operoso, né ricco e né povero, tranquillo, senza troppa storia, eccetto un trasandato campanile di una vecchia chiesa, sostituita dalla nuova. Suoni il campanello, il parrocco è don Henry, Henry perché è nato a Caracas, famiglia di emigrati di Riano che sono tornati e hanno ora un figlio prete. Henry, e chissà perché, visto che non è un nome rignanese, e non è un nome latino-americano. Ma lui è don Henry, e ieri in chiesa non ci stava. Due donne sistemano le cose per i poveri, una di loro è incinta. Accanto, in un altro locale dell’oratorio, arriva una musica salsa altissima. Apri la porta del locale e vedi qualche donna e alcune ragazze che fanno un corso di ballo latino-americano. La banalità del male è trovare il tempo e la voglia in questo orrore di muoversi come una salsera dentro questo vuoto di senso. Balli latino-americani per sognare, per mostrarsi in qualche locale la sera sulla via Flaminia. Sogni latino-americani che fanno poca strada. La donna incinta che sistema i vestiti usati per i poveri non sa che il gip di Tivoli ha ritenuti plausibili i racconti dei bambini, non sa delle maschere da diavolo, dei cappucci neri con le corna, degli armamentari trovati nelle case degli arrestati. Ha un’aria di ragazza dolce di paese che sistema i vestiti per i poveri, come fosse un modo per sistemare un dolore sordo. Chiamare don Henry è inutile non c’è nulla da fare: don Henry, rignanese da generazioni, non ritiene di voler dire nulla. Più in là una palestra di fitness, ragazzine fuori che ridono e scherzano. Come facevano a uscire da quella scuola i bimbi, dove c’è un piazzale deserto e dove gli abitanti attorno vedono tutto? Semplice c’è un tunnel che parte dalla palestra e arriva fuori. Come riuscivano a fare quelle cose? Quanto tempo ci hanno messo a completare le indagini, e cosa è accaduto nel frattempo?
È la banalità del male che annega tutto in un gratta e vinci, in una panchina ben tenuta nella piazza, negli occhi di questa gente che dice: «Dai paesi vicini ci dicono che questo è il posto dei pedofili. Lo sa che c’è gente che se ne è già andata da Rignano?». Quanti? Chi e perché? Non si sa. Questa mattina i bimbi della materna erano soltanto 64 su 255. Ora che c’è la televisione il male è certificato, chiaro, e l’emotività cresce. E poi ci sono i soldi, qualcuno degli arrestati ha cambiato tenore di vita. E poi c’è la vox populi: dicono che c’era un giro di corrieri postali, di pacchi che arrivavano e tornavano come non se ne erano mai visti in una delle case degli arrestati. Per spedire cosa? E per quale motivo? E loro, i paesani? «Quando se ne andranno le telecamere?». Presto? O finisce come a Cogne, dove non se ne sono andati più? Tutto il metro di giudizio è televisivo. Cogne. Rignano. O altro. E a noi chi ci risarcisce? Di cosa? Del dolore, o del danno di immagine. I bimbi molestati non erano di Rignano, venivano da fuori. Stranieri, in un certo senso. Extra territoriali. Ogni volta che parli con qualcuno del paese, avvertono: quello non è di Rignano. È di Calcata, di Zagarolo, di...
L’orrore è indicibile, specie per le menti semplici. Non gli si può chiedere un pensiero limpido, lucido. Non si riesce a tollerare. Non vogliono solo la verità gli abitanti di Rignano, vogliono - comunque sia - l’oblio. E tornare alle loro scuole, alle loro passeggiate, alle partite di calcio, ai ragazzi che si sono sistemati a Roma, e hanno anche studiato. Non ce la fanno a immaginare lo sguardo dei bambini, il dolore, l’abisso che coglie i luoghi semplici, senza che si possa far nulla. Come un destino, una combinazione sbagliata, come un gratta e vinci che non solo non ti dà la combinazione giusta, ma ti fa perdere tutto. Mai grattare sotto la vita di tutti i giorni.
Sopra ogni cosa, sopra tutto questo uragano fermo come una pietra gelida c’è il cielo di questa giornata: di tutti i luoghi abitati il cielo è il più enigmatico. Oggi sembra lo specchio inutile di un pomeriggio di un giorno insopportabile. Nessuno guarda quel cielo tra i rignanesi che sostano nella piazza e parlano sottovoce. A occhi bassi non sanno quanto la banalità del male può ferire più di ogni cosa, a occhi bassi cercano di non pensare all’aria di tenebra che li avvolge anche in pieno giorno, e che all’improvviso ha portato la notte dentro ognuno di loro.
* l’Unità, Pubblicato il: 27.04.07, Modificato il: 27.04.07 alle ore 10.09