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Una catastrofe sociale e culturale senza fine ... "Pietà per il mondo, venga il nuovo sapere"(M. Serres, Distacco, 1986).

IL CASO DI RIGNANO FLAMINIO. I BAMBINI DELLA SCUOLA MATERNA DROGATI DALLE MAESTRE E LA NUOVA PEDOFILIA. Una legge da cambiare e una rete estesa all’intera Italia da smantellare. Un articolo e una riflessione denuncia di Flavia Amabile - a cura di pfls

mercoledì 25 aprile 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] ho chiesto un aiuto a Massimiliano Frassi presidente di Prometeo, l’associazione che da anni lotta contro la pedofilia (andate a dare uno sguardo al suo blog). Massimiliano sostiene che la vicenda di Rignano è legata a una rete nazionale di pedofili che da Nord si sta estendendo al sud. Mi ha citato casi molto simili di pedofilia da Brescia a Vallo della Lucania in provincia di Salerno. La rete prende di mira le scuole materne dove c’è abbondanza di bambini troppo piccoli per essere (...)

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> IL CASO DI RIGNANO FLAMINIO. --- Un fatto nuovo. Ora c’è il casale. Rignano, la terza ’casa degli orrori’. I carabinieri: "Questo è il luogo"

mercoledì 7 gennaio 2009


-  Per la Cassazione le prove non erano sufficienti. Serviva un fatto nuovo
-  Ora c’è il casale. Un’istruttoria difficile, con un finale a sorpresa

-  Rignano, la terza ’casa degli orrori’
-  I carabinieri: "Questo è il luogo"

-  di CARLO BONINI *

ROMA - Un casale di campagna in stato di abbandono "riconosciuto", sostiene la pubblica accusa, come luogo dell’orrore, e tuttavia individuato e perquisito soltanto nel luglio scorso, nell’ultima finestra temporale utile di un’indagine durata due anni. I ricordi contraddittori di bambini che, in almeno tre casi, spiegano con candore di aver appreso dalla voce degli adulti gli abusi di cui sarebbero stati vittime. E, ora, un atto (per altro non ancora notificato) della Procura di Tivoli che, contestualmente, manda in archivio la posizione di tre degli otto indagati e dispone il deposito degli atti di accusa che prelude alla richiesta di giudizio per almeno tre donne (le maestre Patrizia Del Meglio, Silvana Magalotti e Marisa Pucci. Più controversa la posizione di una quarta insegnante, Assunta Pisani) e un uomo (l’autore televisivo Gianfranco Scancarello, marito della Del Meglio).

La disgraziata istruttoria sugli orchi di Rignano si chiude confermando quale ne è stata e ne resta la grana. Il metodo investigativo che l’ha governata. La perversa spirale in cui si è avvitata. Prolungando (l’udienza preliminare non si celebrerà prima di primavera, l’eventuale processo non prima dell’autunno) il naufragio emotivo di 24 bambini tra i 4 e i 5 anni, quello delle loro famiglie e di chi è accusato di esserne stato il carnefice.

Per rianimare il fantasma di Rignano ci sono voluti quindici mesi. A settembre 2007, la vicenda è di fatto chiusa. La Cassazione, nel confermare l’annullamento degli arresti di sei indagati, censura il lavoro del pubblico ministero Marco Mansi e del gip Elvira Tamburelli con argomenti, oltre che severi, definitivi. "Il quadro indiziario è insufficiente e contraddittorio". Le testimonianze dei bambini - motore dell’istruttoria e suo incipit - sono l’esito "di domande inducenti degli adulti", che sollecitano "aspettative" di fronte alle quali "i bambini finiscono per conformarsi".

Alla Procura, la legge non offre molte alternative. Se favorevole all’indagato, il cosiddetto "giudicato cautelare" (il giudizio incidentale con cui la Cassazione si pronuncia su un provvedimento di cattura) obbliga il pm a chiedere l’archiviazione delle accuse. A meno che "non intervengano fatti nuovi". Marco Mansi e, con lui, il gip Tamburelli fatti nuovi non ne hanno. Ma non hanno neppure alcuna intenzione di ammettere di aver infilato una strada sbagliata. Per tredici mesi (dall’estate 2007 a luglio 2008), ascoltano dunque, nelle forme dell’incidente probatorio, le testimonianze di 24 bambini, alla ricerca di ricordi che consentano di individuare il "fatto nuovo" in grado di aggirare l’ostacolo posto dalla Cassazione. Appaiono così "una fortezza", delle "statue", "medicine" somministrate ad "animali di pezza".

Rispetto a quello originario, demolito dal giudizio della Cassazione, il quadro accusatorio deve adattarsi a un nuovo canovaccio. Che il pm Mansi riscrive a mano libera. La scena del crimine non è più l’abitazione di una delle maestre (o quantomeno non più la sola); gli oggetti dell’orrore pedofilo non più i peluches collezionati in casa Scancarello-Del Meglio (le analisi del Ris non vi trovano tracce organiche); l’uomo nero non più il povero benzinaio cingalese Kelum De Silva, ma un misterioso figuro che attende le sue piccole vittime "in una fortezza".

In verità, nel corso dell’incidente probatorio, almeno tre bambine cominciano a dire anche dell’altro. Racconta la prima, nei cui capelli le visite specialistiche hanno trovato tracce di benzodiazepine (e, dunque, ritenuta la più probabile vittima di abuso), come sia nata la storia delle "maestre cattive". Chiede il gip: "Perché erano cattive?". "Non lo so. A me non hanno fatto niente". "E allora perché sono cattive?". "Me lo ha detto mamma, perché gli altri amichetti le dicevano che mi hanno portato anche a casa della bidella". Racconta la seconda, che della prima è cugina: "A me fortunatamente non è successo nulla. A me lo ha raccontato la mamma. Ho visto le cose al telegiornale. Ho visto la casa delle maestre". Racconta una terza: "Sì, uscivamo con il pulmino da scuola. Ma siamo andati al teatro Palatino a fare una recita".

Il pm di queste voci non si cura. Chiede che i carabinieri vengano a capo della "fortezza" degli orchi e, per diciassette volte, senza esito, vengono perquisiti altrettanti appartamenti, case di campagna "compatibili" con i ricordi dei bambini. Fino al luglio scorso. L’indagine ha compiuto i due anni. Non sono consentite altre proroghe. Ed è proprio allora che salta fuori un nuovo casale. È una costruzione abbandonata, con un legittimo proprietario (per altro non legato da alcun rapporto con gli indagati), dove i carabinieri, con una procedura quantomeno singolare per dei minori tra i 4 e i 5 anni, accompagnano alcuni dei bambini, trasformandoli in protagonisti del "riconoscimento". "È il luogo", concludono. Vengono sequestrati dei piatti, dei palloni, una Barbie. Non sono più possibili perizie (l’indagine è chiusa). Ma "il fatto nuovo c’è". La Procura può tirare dritto. La storia può ricominciare.

* la Repubblica, 7 gennaio 2009


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