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"Gomorra" italica....

CALABRIA: ALLARME ’NDRANGHETA. A Reggio Calabria, tramontato il sogno di Falcomatà, ora regna la pace mafiosa. Un’inchiesta di Curzio Maltese - a cura di pfls

mercoledì 27 giugno 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Luigi Ciotti a Reggio è di casa, festeggiato come un liberatore, ma non è il tipo da far sconti. Alla giornata della memoria di Polistena, il 20 marzo, ha esordito con durezza: "Il problema in Calabria non è la ’ndrangheta, non sono i politici. Il problema siamo noi". Noi società, civile o no, "rassegnata a chiedere per favore quanto ci spetta di diritto". La platea ha applaudito, una folla di migliaia di studenti da ogni parte d’Italia, Firenze e Torino, Palermo e Lecce. Da Reggio, (...)

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domenica 29 aprile 2007

L’uomo che tolse la «roba» ai boss

di Francesco Forgione*

Due giorni fa, nella valle del Marro, nel cuore della piana di Gioia Tauro, una cooperativa di giovani che lavora sui beni confiscati alla potente famiglia mafiosa dei Piromalli, è stata saccheggiata, derubata dei trattori, perfino delle vecchie zappe e, ad opera compiuta, i bravi hanno saldato le due ante della grande saracinesca del magazzino. Quasi a dire, nel macabro simbolismo mafioso: per voi qui la porta è ormai chiusa.

Ma i giovani e i lavoratori al mattino sono rimasti a presidiare la loro nuova terra che, per alcuni di loro, rappresenta anche l’unica opportunità di lavoro. Alla fine, per quei mafiosi sarà un boomerang, nonostante questa intimidazione, quelle terre non torneranno mai più nelle loro mani.

Gli uomini delle cosche tollerano il carcere, subiscono l’ergastolo, convivono con la morte ma le loro ricchezze, i loro patrimoni, le loro terre, i loro soldi non vogliono che vengano toccati. Non possono accettare questo livello della sfida della democrazia e dello stato.

Per questo, più che per ogni altra cosa, 25 anni fa, la mattina del 30 aprile del 1982, Cosa Nostra uccideva il deputato e segretario regionale del Pci siciliano, Pio La Torre ed il suo collaboratore Rosario Di Salvo. Pio la Torre era stato il primo a capire che le mafie andavano colpite al cuore, nella loro capacità di accumulare ricchezza e di tessere relazione col mondo dell’economia e della finanza, in una fitta rete di coperture e collusioni politiche ed istituzionali.

Davvero non c’è niente di rituale in questo anniversario e nei momenti di riflessione che sta stimolando in tutta Italia. Pio La Torre è stato un militante e dirigente sindacale e comunista del suo tempo, protagonista di quella straordinaria e tragica stagione di lotte che, nell’immediato dopoguerra, vide il movimento contadino, il sindacato, i socialisti e i comunisti, impegnati nella costruzione di una democrazia che, in Sicilia, già dallo sbarco degli alleati, doveva scontrarsi con un blocco di potere dominante nel quale l’organicità dei rapporti tra la mafia, gli agrari e una parte delle classi dirigenti democristiane doveva segnare lo sviluppo della regione e il corso politico dei decenni successivi, per incidere anche sugli equilibri politici nazionali.

Già la strage di Portella della Ginestra, il 1 maggio del 1947, dava il segno a questo corso.

Sono gli anni nei quali, dopo l’assassinio di Placido Rizzotto, Pio La Torre va a Corleone a dirigere la Camera del Lavoro e le lotte al feudo. Anni nei quali, fino e dopo la riforma agraria, si consuma una strage continua di contadini, sindacalisti, capi lega, con la polizia di Scelba impegnata a depistare e a mandare in galera i dirigenti socialisti e comunisti di quelle lotte, La Torre tra questi. È la stagione nella quale già si salda l’intreccio tra la lotta alla mafia e le lotte sociali e democratiche. La Torre per tutta la vita - prima quando da deputato comunista fu l’autore della relazione di minoranza nella Commissione Antimafia nel 1976 e poi con il ritorno in Sicilia per dirigere il suo partito - tiene sempre ferma questa idea di lotta di massa, nella tessitura di una trama sociale e democratica che doveva prefigurare un diverso sviluppo del sud e un diverso modello di società. È sua la norma che ci consente di colpire le mafie nel carattere associativo, è soprattutto sua la grande intuizione dell’aggressione ai patrimoni e alle ricchezze dei mafiosi.

Per questo di La Torre continuiamo a parlarne al presente, ora serve una nuova volontà.

Dopo 25 anni, non possiamo rassegnarci al fatto che tra il sequestro di un bene mafioso e la sua consegna ad uso sociale passino tra 10 e 15 anni o che, dopo la confisca, i mafiosi continuino a vivere nei loro palazzi e a lavorare sui loro terreni. Bisogna intervenire e modificare la legge 109 del ’96. Separare le misure di prevenzione patrimoniale da quelle personali, per molti versi superate, è ormai maturo il tempo di normare la «pericolosità sociale dei beni, dei patrimoni e delle ricchezze dei mafiosi» e non solo, com’è oggi, dei soggetti criminali, per uniformare a questo principio l’intera legislazione di contrasto e occorre concentrare ogni sforzo sui flussi finanziari. Se le mafie muovono annualmente un fatturato di 100 mila milioni di euro e larga parte di questi entra nel circuito economico legale il tema della trasparenza dell’economia e del mercato diventa centrale. Dovrebbe esserlo anche per le imprese e la Confindustria ancora troppo mute. Invece, in questo momento i processi per riciclaggio in Italia sono solo 6. Nessuno fa la propria parte nel denunciare le operazioni sospette: banche, finanziarie, notai. Sono questioni che illustreremo al governatore Draghi, tra qualche settimana in Commissione Antimafia. Insomma, nella lotta alle cosche serve nuovo impulso.

La Politica deve riappropriarsi della sua centralità. A partire dalla formazione delle liste, dalla selezione degli eletti, che non possono avere alcun sospetto di collusione e dalla bonifica della pubblica amministrazione, dal più piccolo comune ai vertici della burocrazia, il vero tessuto connettivo di un sistema di potere nel quale si saldano gli interessi delle mafie, delle imprese e della politica. È questa la lezione di Pio La Torre che non potrà vivere senza una dimensione di lotta generale, di partecipazione, di ricostruzione di valori forti come quelli che lo videro protagonista, nei mesi precedenti la sua morte, di quello straordinario movimento per la pace contro i missili a Comiso. La Torre saldava l’impegno pacifista al contrasto alla mafia, pronta a trasformare la base di Comiso e gli appalti per la sua costruzione in un grande affare e denunciava che la Sicilia dei missili, nel Mediterraneo, sarebbe diventata l’incrocio per i traffici più oscuri ed illeciti, da quelli dei servizi segreti di tutto il mondo, a quelli di armi e di droga. Quel disegno andava fermato con un grande movimento di popolo. Proprio lui che si batté per adeguare il codice penale, che scrisse l’art.416 bis, lo strumento del contrasto giudiziario alle mafie, indicava come la lotta a Cosa Nostra potesse essere vinta solo fuori dalla aule dei tribunali, nella dimensione sociale delle lotte per la giustizia e la democrazia. È questa, ancora oggi, l’antimafia che dovremo far vivere quotidianamente con il nostro impegno e la trasparenza della politica e delle istituzioni.

*Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia

* l’Unità, Pubblicato il: 29.04.07, Modificato il: 29.04.07 alle ore 8.16


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