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Il magistero di "Mammona" ("Deus caritas") e della Morte ("ictus") contro il magistero evangelico dell’Amore ("Deus charitas") e della Vita ("I.ch.th.u.s.")!!!

IL TEMPO DEL SILENZIO E’ FINITO. CHI SONO I TERRORISTI?! GLI ESPONENTI DELLA GERARCHIA CATTOLICA O I CITTADINI ITALIANI (LAICI E RELIGIOSI) CHE DISCUTONO ED ESPRIMONO PUBBLICAMENTE LE LORO OPINIONI COME ANDREA RIVERA?! Una dichiarazione di mons. Giovanni Climaco Mapelli, presidente del centro studi teologici di Milano - a cura di pfls

lunedì 7 maggio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Sono stato testimone di cose indecenti, proprio in tema di omosessualità, accadute dentro il Vaticano: dunque non prendo lezioni dai farisei con la talare romana. Dico ai gay e alle lesbiche italiane: sto dalla vostra parte! Date prova ed esempio di amore, di relazione e di solidarietà autentiche, di comunione di vita, e mandate al diavolo questa gerarchia clericale presuntuosa ed infamante. Come Vescovo, pregando, benedico ogni giorno il vostro cammino di vita, tra le difficoltà, le (...)

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> IL TEMPO DEL SILENZIO E’ FINITO. CHI SONO I TERRORISTI?! GLI ESPONENTI DELLA GERARCHIA CATTOLICA O I CITTADINI ITALIANI (LAICI E RELIGIOSI) CHE DISCUTONO ED ESPRIMONO PUBBLICAMENTE LE LORO OPINIONI COME ANDREA RIVERA?! Una dichiarazione di mons. Giovanni Climaco Mapelli, presidente del centro studi teologici di Milano - a cura di pfls

domenica 6 maggio 2007

Il partito unico

di Furio Colombo *

Alzi lo sguardo e noti con disagio, come in una sequenza stroboscobica (la luce abbaglia e si spegne), che ci sono soprassalti e incongruenze tra una scena e l’altra.

In una inquadratura vedi Berlusconi (Berlusconi) festeggiato ai congressi Ds e Margherita. Mormora, in ognuna delle due occasioni: «Per il 95 per cento sono d’accordo». Applausi.

In un’altra inquadratura (negli stessi giorni) Berlusconi grida al colpo di Stato e al regicidio per una legge sul conflitto di interessi che lo stesso primo ministro Prodi ha giustamente definito “blanda” (e infatti due proposte di legge sullo stesso argomento, una della sinistra detta “radicale” alla Camera, una a mia firma al Senato, sono molto più “americane”, dunque molto più esigenti). E c’è chi manifesta stupore sia per la legge («Ma proprio adesso che stavamo andando verso valori condivisi?») sia per la scenata di Berlusconi («Una così brava persona»).

Però è inutile fare i polemici. Ha ragione Pierluigi Battista (Corriere della Sera, 5 maggio) quando dice che «l’anomalia italiana è una anomalia doppia». Un giorno si punta l’indice e il giorno dopo tutto è perdonato.

Ma se la memoria si aggiunge alla cronaca dei fatti, le dissonanze sono degne di un concerto di John Cage. All’improvviso vedi il tuo Primo ministro che si reca da Bossi come da uno statista, il Bossi di Borghezio, di Gentilini, della schiena da raddrizzare al magistrato disabile, dei proiettili che costano poco, del tricolore al cesso. Rende omaggio alla sua saggezza. Dove siamo finiti noi elettori?

Noi non abbiamo, né avremmo mai potuto avere valori condivisi con chi suggeriva di aprire la stagione della caccia usando gli immigrati come lepri. Certo, governare è un mestiere difficile, ma c’e un filo che non si deve mai rompere, quello con chi ti ha eletto, che continua ad avere fiducia, che guarda volentieri alle cose nuove. Ma chiede di capire. E chiede che il suo voto, quel voto per un’Italia che non assomigli in niente a Berlusconi e a Bossi, continui ad avere un senso e un peso. Vediamo.

I due congressi, Ds e Margherita, sono andati bene, con nobili discorsi, commozione, ricordi, celebrazione e - fra i Ds - separazioni sofferte che fanno pensare ad amicizie più grandi degli eventi e a eventi che chiedono, come accade nella storia, sacrifici personali e decisioni non facili. Strade diverse ma non lontane, lo stesso impegno di non voltarsi a rimpiangere, anche se il percorso e il punto sognato (progettato) di arrivo viene descritto in modo diverso da diverse colonne in marcia da sinistra.

Una è la “Sinistra democratica per il socialismo europeo” riunita in affollata assemblea al Palazzo dei Congressi dell’Eur ieri, sabato 5 maggio. Altre si organizzeranno.

Il Pd che sta per nascere dai due capolinea Ds e Margherita sarà il partito di Prodi. Questa affermazione risponde alle due domande di tanti: perché un’operazione così dolorosa (almeno per i Ds)? e chi sarà il leader?

Romano Prodi a cui si deve questa Italia affaticata e difficile però senza Berlusconi, non poteva essere il capo di un governo e di una coalizione senza un partito. Dunque il capo del governo sarà, anche in linea con chi lo ha votato sia alle primarie del 2005 che alle elezioni politiche del 2006, il leader del nuovo partito. Uno dei due grandi partiti italiani.

Tutto chiaro, tutto bene. Perché allora il senso di vuoto e di disorientamento (Chi sono, adesso? Cosa vogliono da me? Lealtà a che cosa? Dove sto andando?) e anche di solitudine che constati fra deputati, senatori, quadri, e nelle storiche sezioni Ds? Perché hai l’impressione - proprio mentre ferve tanta attività politica - che la distanza dai cittadini sia diventata immensa?

***

Provo a confrontarmi con tre spunti (a cui non sono sicuro di sapere dare risposta) che mi giungono da tante mail, da tanti incontri e conversazioni ansiose.

La prima è la questione del Pse, ovvero della collocazione del nuovo nato in Europa. Non è una questione di forma. L’Europa è divisa in due grandi schieramenti popolari, e non concepisce ambivalenze e sospensioni. L’Europa è divisa in due parti, come dimostrano in modo efficace le elezioni francesi: il Pse, con tutto ciò che resta (non poco) del socialismo europeo; e il partito popolare, che è l’altro volto. Comprende Angela Merkel, ma anche Silvio Berlusconi. Rappresenta grandi frenate conservatrici ma anche modi nuovi e diversi di immaginare il futuro. Sono due schieramenti vasti e importanti. Ma non compatibili. Poi ci sono diversi altri interessanti raggruppamenti, ma nessuno può ospitare l’una o l’altra delle anime italiane del nascendo Pd.

La seconda domanda è più pressante, anche se si può affrontare meglio caso per caso che in modo astratto e generale. La domanda è questa: il centro, che è l’area più contigua a una sinistra che voglia essere cauta e moderata, è già saldamente occupato, è tutto un cantiere di lavori in corso, un incrociarsi di gru e di scavi che fanno prevedere fitte costruzioni, dunque un muro limitrofo, una barriera di contenimento.

Ma poiché la direzione di marcia non prevede rivisitazioni a sinistra (o almeno nell’area di progetti, attese e speranze, tradizionalmente definita tale), ecco una terza domanda (o riflessione): quanto moderati si può essere? E dov’è la linea di confine che distinguerà i militanti del Pd dagli altri “moderati”?

***

Per rispondere a queste domande (o per approfondire la riflessione sul nascituro Pd) mi sembra utile riferirmi a una espressione che ricorre sempre più spesso. L’espressione è «valori condivisi». Questa affermazione viene di volta in volta enunciata come segno di buona volontà (dunque di tendenza, di sforzo a cercare)o come prova di vera democrazia.

Chiedo attenzione su questo punto: buona volontà (o ricerca ostinata di possibili accordi), sì. Prova di vera democrazia, no. Infatti non c’è limite al volenteroso tentare di andare d’accordo. Ma la democrazia è esattamente la buona gestione del non accordo. È il set di regole per affrontare situazioni complesse, gravi, urgenti, in cui due o più parti hanno visioni, speranze, attese, obiettivi profondamente diversi.

È possibile che mediazioni intelligenti e pazienti portino a soluzioni ravvicinate. Ma se in luogo di un esito condiviso si giunge a una decisione A che nega e respinge la decisione B , la prova della democrazia è nel rispetto delle regole per far prevalere l’una o l’altra decisione, non nello sciogliere una visione nell’altra.

La questione si complica quando si aggiunge l’esortazione, anzi il proposito, di raggiungere, come viene spesso detto, una "sintesi" fra posizioni contrapposte.

Ovvio che questa affermazione indica mitezza e buona volontà che, in sé, sono buone virtù democratiche. Ma nessuna situazione di confronto umano si risolve in una sintesi. Non un processo. Non un dibattito. Non una gara. Non una equazione aperta o una partita a scacchi. E certo non una competizione elettorale.

Naturalmente ogni democrazia è fondata su valori comuni. Ma quando anche su di essi scoppia il contrasto (è stato il caso delle profonde e selvagge modifiche tentate ai tempi di Berlusconi contro la Costituzione italiana), la risposta non è una sintesi tra vandalismo costituzionale e difesa della Costituzione. La risposta è il voto. Nel caso delle tentate alterazioni alla nostra Costituzione, gli elettori italiani hanno detto no, punto e basta. Ecco perché è un errore, un vistoso e curioso errore, affermare, da parte di Prodi, che la legge proposta dal governo sul conflitto di interessi è blanda e mite, come se tali qualità avvicinassero la controparte (Berlusconi, titolare di uno dei più grandi conflitti di interessi del mondo) e rendessero più facile individuare un “valore condiviso”. Infatti - incoraggiato dall’atteggiamento mite del presidente del Consiglio - il capo dell’opposizione ha reagito con furore. Ha definito la “legge blanda” di Prodi un atto di killeraggio (ovvero di assassinio) presentando una tesi unica nel mondo democratico ed enunciata con estrema chiarezza: «I ricchi devono governare perché hanno una marcia in più. Hanno creato ricchezza per sé dimostrando di essere più bravi, più dotati di talento degli altri». E ha reagito - unico nel mondo democratico, ma ben sostenuto dai suoi avvocati, inclusi quelli poi diventati giudizi costituzionali dimissionari, e dal suo partito di proprietà - con sincera repulsione verso l’idea di separare il potere privato da quello pubblico.

* * *

La vicenda esemplare del Family Day è un’altra buona occasione per esplorare il territorio infido dei “valori condivisi”. Viva la faccia di Pezzotta, l’ex sindacalista diventato predicatore, che annuncia: «Venga chi vuole. Ma sia chiaro che questa è una manifestazione contro i Dico». Che vuol dire: siamo contro ogni tentativo, anche mite, anche blando, di dare una mano alle coppie di fatto.

Ma è ancora più clamorosa la vicenda del presidente della Cei, monsignor Bagnasco, se posta a confronto con quella del giovane presentatore del concerto del Primo maggio Andrea Rivera.

«Non lasceremo solo l’arcivescovo Bagnasco», è stato detto dopo le scritte insultanti a lui dedicate. È stata una formulazione un po’ curiosa. È difficile che un uomo di punta della Chiesa più grande del mondo possa essere lasciato solo. Ma è apparsa giusta come simbolo di solidarietà contro il pericolo. Giusto anche ignorare del tutto le affermazioni pesanti e gravi dedicate da monsignor Bagnasco a chi non condivide i suoi “valori condivisi” parlando persino (prima delle scritte) di terrorismo. Il vescovo non parlava del terrorismo dei terroristi, ma di quello di coloro che, sulla libera scelta delle donne e sui modi di amarsi e di vivere insieme, non condividono i valori della Chiesa cattolica.

Tutta l’Italia dunque ha fatto finta di niente e ha dato - giustamente - tutta la sua solidarietà al prelato. Non uno, neppure un sindacalista, ha detto, sul momento, una sola parola in difesa di Andrea Rivera. Che cosa aveva fatto Rivera, chiamato poi terrorista (è una mania) dall’Osservatore Romano?

Aveva ricordato che Pinochet, Franco e una celebrità della banda della Magliana avevano avuto il funerale e sepoltura in chiesa, mentre il povero corpo di Welby era stato lasciato fuori. Che bello se Rivera avesse mentito e fosse stato sgridato per avere detto una bugia.

Ma ciò che ha detto Andrea Rivera è la narrazione di uno dei fatti più tristi della vita italiana: il corpo di Piergiorgio Welby è stato effettivamente lasciato in strada, fuori dalla chiesa, per essere morto di troppa, insopportabile sofferenza. Ecco dunque il punto finale di questa riflessione. Per esistere, per vivere, per generare senso e calore e dunque attrazione, il Pd deve tracciare una linea di confine, segnare i propri punti fermi e irrinunciabili, dire di che cosa è alternativa, novità, cambiamento. Non vi sembra che le centinaia di migliaia di ragazzi del Primo maggio, mentre cantavano ancora e ancora «Bella ciao» con allegria e con passione, proprio questo stessero aspettando, la riposta alla domanda «adesso chi siamo»?

Sono giovani, avventurosi e poco inclini a ritornare verso il passato. Però guardandoli si capiva che ai loro occhi (ma questo vale anche per chi scrive) non tutti i valori sono valori, non tutti i valori sono “condivisi”. E non vorrebbero (non vorremmo) - tutti quei ragazzi del Primo maggio italiano - essere folla di un partito unico. Cercano (cerchiamo), netta e chiara, come in ogni democrazia, la linea di confine.

* l’Unità, Pubblicato il: 06.05.07, Modificato il: 06.05.07 alle ore 16.42


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