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Eu-angelo e democrazia: "esperienze pastorali"

Don Lorenzo Milani, la Scuola di Barbiana, e la "Lettera a una professoressa". Un "ricordo" di Francesco Erbani - a cura di Federico La Sala

venerdì 11 maggio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Libro-manifesto, si è detto, consegnato al mondo contadino di Barbiana, utopico e indigesto. Ma quel volume, suggerisce Giorgio Pecorini, che ha frequentato il prete per dieci anni, «non deve esser letto come un ricettario, ma come un atteggiamento etico». «Spesso gli amici (...) insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi (...)», annota don Milani in Esperienze pastorali, pubblicato nel 1958, quattro anni dopo l’arrivo a Barbiana. «Sbagliano la domanda, (...)

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> Don Lorenzo Milani, la Scuola di Barbiana, ---- Storia di Adele, la prof che seguì Don Milani nella «buona battaglia» (di Oreste Pivetta)

lunedì 9 aprile 2012

Storia di Adele, la prof che seguì Don Milani nella «buona battaglia»

di Oreste Pivetta (l’Unità, 8 aprile 2012)

Adele Corradi è un’insegnante, ormai ex insegnante, quasi novantenne, che cinquant’anni fa si vide assegnare una cattedra in una scuola media di Castelfiorentino. Da dove, poco dopo la nomina, nel settembre 1963, salì per la prima volta a Barbiana, seguendo una collega che di tanto in tanto si recava a incontrare don Milani. Ero una professoressa - scrive di se stessa Adele Corradi - del tutto simile a quella professoressa cui si rivolgeva la famosa lettera.

Da quel momento non fu più «quella professoressa». Salutandola bruscamente dopo la prima visita, don Milani «si lasciò sfuggir di bocca» (lei usa questa espressione e si immagina di ascoltare un bisbiglio a denti stretti): «Ritorni». Lei tornò. Non aspettò molto. Due giorni appena. Sarebbe tornata ancora e poi ancora, fino alla morte di don Milani, nel giugno1967 (aveva quarantaquattro anni il priore di Barbiana e lo stroncò un tumore), e dopo la morte di don Milani finché non se ne andarono le ultime famiglie che avevano resistitito in quel deserto di montagna, senza acquedotto, con una sola linea del telefono, con l’energia elettrica arrivata da un paio d’anni e quella scuola, che sarebbe diventata celebre, dove si insegnava ai figli dei più poveri e dimenticati, per una cultura che fosse emancipazione, libertà, diritto... «I poveri - scrive don Milani in una lettera riferita da Adele Corradi - non hanno bisogno dei signori. I signori ai poveri possono dare una cosa sola: la lingua cioè il mezzo d’espressione. Lo sanno da sé i poveri cosa dovranno scrivere quando sapranno scrivere».

Di Barbiana Adele Corradi non aveva mai scritto. S’era rifiutata di scrivere. Malgrado, rivela, le molte insistenze, intimorita forse dalle migliaia di pagine che invece erano state scritte da altri. La bibliografia su don Milani è impressionante (e s’aggiungano le lettere, formidabile percorso biografico).

Avvicinandosi ai suoi novant’anni, Adele Corradi ha vissuto una sorta di ripensamento e ha cominciato a ricordare e ad annotare. È giusto dire annotare, perché la narrazione non si sviluppa secondo un filo, ma per frammenti, momenti di vita, impressioni, brevi dialoghi e il racconto procede per istantanee, in stringati capitoli, solidi nell’acutezza dell’osservazione e nella precisione del linguaggio (l’uso proprio delle parole, governare le parole, anche le più dure, anche le parole «proibite», come insegnava don Milani), solidi nella loro totale sincerità e nella vitalità.

Di don Milani si dà un ritratto di grande affetto ma senza reticenze, cogliendo asprezze, contraddizioni, debolezze, rievocando l’umanità e la sensibilità di quel singolare sacerdote, «con la semplice tecnica di dire la verità, senza mitizzazioni e senza enfasi», annota Beniamino Deidda in una delle due testimonianze (l’altra è di Giorgio Pecorini), che chiudono questo piccolo bellissimo libro, tra i più belli che mi siano capitati di questi tempi.

Dico bellissimo per la qualità della memoria e della scrittura, di una semplicità graffiante, per l’evidenza di ogni immagine, nella descrizione di ogni circostanza nella quale don Milani con una intelligenza che disorienta il nostro senso comune si fa, generosamente, totalmente, maestro dei suoi ragazzi, educatore dei diseducati dalla nostra società e dalla nostra scuola e abbandonati dall’una e dall’altra, in un rapporto che è d’apprendimento continuo e reciproco.

Sottolineo dell’apprendimento reciproco, perché deve imparare anche la nostra professoressa, dentro quella realtà che le è nuova e le è speciale e la sorprende, fino all’eventualità del rifiuto, eventualità respinta di fronte al fascino dell’intelligenza, che mai s’arrende all’evidenza e alla norma, di quel prete solitario e isolato, al servizio degli umili, capace di mettere la chiesa e la società alla prova delle loro macroscopiche contraddizioni, per necessità di giustizia.

Nei ricordi e nelle pagine di Adele compaiono altri personaggi, presenti o alla lontana. Presenti come altre donne, la governante Eda, la più vicina al pari di Adele, come la madre di don Milani, come la «fidanzata», lasciata per seguire una vocazione religiosa dal giovane ricco borghese che voleva darsi alla pittura. Presenti come altri sacerdoti, padre Balducci, l’intellettuale, in vigorosapolemica, come Bruno Borghi, il prete operaio. E sullo sfondo Firenze, la città del sindaco La Pira,

la politica, la curia, le gerarchie (ma Firenze era anche la città dell’Isolotto e di don Enzo Mazzi). Adele Corradi racconta come don Milani insistesse caparbio perché il cardinal Florit salisse a Barbiana: non lo chiedeva per superbia, ma semplicemente perché, come spiegava, rimanendo nella stanze del suo arcivescovado il monsignore non avrebbe potuto capire nulla di quel che accadeva lassù.

Nel ricordo di tutti, è, ovviamente, la Lettera a una professoressa, che don Milani attribuì sempre ai suoi scolari, che fu ragione di stimolo e di confronto per una generazione, che poco alla volta l’abbandonò, scegliendo altre strade.

Non so quanto sia presente, al di là del titolo divenuto un «simbolo», di per sé solo, tra i ragazzi d’oggi. Certo che l’insegnamento di don Milani e della Lettera parlano ancora una lingua attuale. Ad esempio su una questione apparentemente solo «di chiesa»: l’esercizio della preghiera. Il prete di Barbiana, senza ipocrisia, riconosce che bisogna pregare, facendo però attenzione alle circostanze e badando quindi alle urgenze: «Se c’era urgenza bisognava agire». Adele non apprezza: «...guardavo fuori, sul Monte Aùto, la casa del contadino che bestemmiava in ginocchio (perché la bestemmia arrivasse meglio ‘lassù’) ...».

Alla fine don Milani è sbrigativo: «Sarà urgente pregare quando a tutti sembrerà importante operar». Operare, fare, contro la logorrea e l’attesa di certi intellettuali, la maggior parte. Sul letto di morte don Milani rivede la sua «buona battaglia» e ne affida ai superstiti il futuro. Di tanto discorso Adele Corradi ricorda solo poche parole: «Ora tocca a voi».


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