E cosi’ Apollo rubo’ i figli alle madri
di DACIA MARAINI (Corriere della sera, 26 febbraio 2008)
"Non e’ la madre che crea / il figlio, come si pensa. / Ella e’ solo nutrice e niente altro, della creatura paterna / ...Soltanto chi getta il seme nella terra fertile e’ da considerarsi genitore. / La madre coltiva, ospite all’ospite, il germoglio, / quando non l’abbia disperso un demone". Questa frase messa in bocca ad Apollo da Eschilo, e pronunciata in un sacro spazio teatrale nel 458 a.C. segna un punto di svolta che ha marcato la storia della maternita’ in Occidente.
Presso i Pelasgi del II millennio, popolo antenato dei greci, chi creava il mondo era la dea Eurinome, nel cui uovo erano compresi tutti i mari, le montagne, i fiumi, le foreste del mondo. Solo lei poteva fare maturare quell’uovo, romperne il guscio e spargere i beni di cui avrebbero vissuto gli esseri umani.
Apollo, il nuovo dio della democrazia ateniese, invece sancisce un principio che avra’ conseguenze disastrose per le donne dei millenni a venire: non e’ la madre che crea il figlio. Il suo ventre e’ da considerarsi solo un vaso che custodisce il seme paterno. Ecco come nasce una societa’ dei Padri. Persino la religione cristiana, che e’ stata rivoluzionaria nel riconoscere un’anima anche alle donne, si e’ tenuta, per quanto riguarda la gerarchia, ai principi apollinei: nella Santa Trinita’ non appare la figura materna. E quando Dio decide di diventare padre, forma prima l’uomo a sua immagine e somiglianza, poi prende una costole di Adamo e da quella fa nascere la donna. Insomma capovolge la realta’ per sancire una gerarchia inamovibile.
Tutta la nostra cultura viene da questi grandi e originari avvenimenti simbolici. Poi, il laicismo, le rivoluzioni, l’illuminismo, i movimenti di emancipazione hanno cercato di rompere il dogma, riconoscendo alle donne la partecipazione al processo di riproduzione. Ma sempre sotto il controllo dei Padri e dentro le leggi stabilite da loro. Il diritto alla riproduzione non si e’ mai trasformato in liberta’ di riproduzione.
E la rete millenaria dei divieti e’ profonda e radicata anche quando non viene scritta. Da li’ derivano il culto della verginita’, la proibizione degli anticoncezionali, l’aborto clandestino, l’ignoranza indotta e tante altre disperanti piaghe della storia femminile. Se c’e’ una cosa su cui le donne hanno competenza e’ la maternita’: un processo che avviene nel loro corpo, di cui conoscono le pene e le gioie profonde, i tempi e le trasformazioni, il peso e le responsabilita’. Ma di questa competenza sono state espropriate e ogni movimento di riappropriazione viene visto come un attentato alla morale. Il processo procreativo si e’ complicato da ultimo per le scoperte della scienza: anticoncezionali meccanici e chimici, aborti chirurgici e chimici, possibilita’ di spiare e fotografare l’embrione nella sua formazione, mezzi per fare crescere un feto anche in assenza del corpo materno.
Ma tutto questo, anziche’ dare potere alle donne, le deruba ancora una volta dei loro saperi profondi, per stabilire sui loro corpi cosa fare e non fare, secondo principi assoluti stabiliti a tavolino da chi questi saperi non li conosce affatto e non vuole neanche fare lo sforzo di immaginarli.