Il day after di Luca Cordero di Montezemolo: è mancata un po’ di autocritica
"Voglio dar voce a una borghesia che sta crescendo, Bersani mi ha capito"
"In politica non entrerò mai
ho parlato per il bene del Paese"
di MASSIMO GIANNINI *
"SE VUOLE glielo metto anche per iscritto: non entro e non entrerò mai in politica...". Dunque, nessuno ha capito niente. Non c’è un usurpatore in agguato, che minaccia il dissestato Palazzo romano. Non c’è un nemico alle porte, che attenta all’affannato bipolarismo italiano. Il giorno dopo il lancio del suo "manifesto" all’assemblea di Confindustria, Luca di Montezemolo si gode l’indiscutibile successo dell’operazione. "Non può immaginare quante telefonate e mail ho ricevuto. E quanta gente mi ha fermato, per farmi i complimenti e dirmi "bravo, ha fatto bene a dire quelle cose"...".
Comunque la si pensi, non lo si può negare: l’"agenda Montezemolo" ha fatto notizia. Ha infiammato i cuori della sua base associativa. ha turbato i sonni del ceto politico. In tutti e due i casi, la missione è compiuta. Ma ora che c’è modo di ragionare un po’ più a mente fredda, il leader degli industriali italiani, mentre in pubblico gioca da buon ferrarista sul filo dell’ambiguità, dicendo "non scendo in pista, neanche al Gran Premio di Montecarlo", in privato mette in chiaro il senso del suo discorso all’Auditorium: "Ne ho sentite e ne ho lette di tutti i colori, e l’avevo messo nel conto. Ma voglio che sia chiara una cosa: io ho parlato prima da presidente di Confindustria, e poi da cittadino che ha a cuore i destini del suo Paese. Tutto qui: non avevo e non ho secondi fini...".
Montezemolo risponde così, ai tanti capi o sottocapi di partito che ieri l’hanno criticato, accusandolo di invasione di campo. Prima di tutto a Prodi, che se l’è legata al dito, sibilando quel suo livido "la relazione si commenta da sola...". "Forse - riflette ora il leader degli imprenditori dopo aver visitato lo stand Fiat alla Fiera di Bologna - potevo fare un’autocritica in più sul sistema industriale, questo è vero. Ma se parliamo di dissesti come quello di Parmalat, allora il vero tema riguarda più le banche, che non il tessuto produttivo. E poi, in ogni caso, io avevo l’esigenza di ridare un messaggio di coesione ai miei associati. Dovevo ridar loro l’orgoglio di sentirsi classe dirigente, e di rappresentare una categoria che in questi anni non è stata chiusa nei salotti, come pensa qualcuno, ma si è rimboccata le maniche e ha lavorato sodo per far ripartire la crescita in questo Paese".
Tutto merito dell’impresa, se la nave Italia si è rimessa a navigare. E il governo unionista del Professore? Possibile che neanche il risanamento dei conti pubblici gli si possa riconoscere? Montezemolo non lo dice, ma sondando gli umori di Viale dell’Astronomia si scopre che questo "denegato riconoscimento" non nasce da un dispetto, ma da un dubbio: Confindustria ritiene che quello realizzato dal centrosinistra sia solo un "risanamento contabile", che riflette il riequilibrio dei saldi, ma poggia su un artificio aritmetico e politico: poiché manca il coraggio di abbattere gli aumenti forsennati della spesa pubblica, la riduzione del deficit è garantita solo dall’incremento più che proporzionale della pressione fiscale. Questo non è un risanamento "strutturale", ma tutt’al più un riequilibrio "congiunturale" garantito solo a suon di tasse.
Sul fronte opposto, c’è poi da fronteggiare la critica rilanciata ancora ieri da Berlusconi. "Con cravatta o senza? Senza, in democrazia decide il popolo, non la Confindustria...". Il Cavaliere descamisado riscalda così i cuori di Olbia, come il Peron del 1951 accendeva le speranze di Buenos Aires. Se dunque il paradigma è una cravatta, Montezemolo adesso se la tiene ben stretta intorno al collo, per marcare la sua differenza dall’ircocervo populista di Arcore: "E non è a me che devono spiegare la diversità tra l’essere imprenditore e fare il leader di partito. Quella differenza la conosco bene, io...". E a quella differenza dichiara di volersi attenere, per ora e per il futuro.
"È vero, io ho accusato il sistema politico. Ma non è forse un mio diritto di cittadino? E non è forse un mio dovere di presidente di un’associazione di categoria che non ha la pretesa di rappresentare tutti, ma che si vuole far carico dell’interesse generale? Pochi hanno notato per esempio che nella mia relazione, in diversi passaggi sulla battaglia contro il sommerso come sul salario equo, ho detto che la Confindustria è stata e sarà sempre al fianco dei lavoratori. Nessuno ha sottolineato il passaggio in cui ho indicato la centralità della figura dell’operaio sempre più moderno. Insomma, io voglio parlare in nome di un capitalismo sano, voglio dare voce a una borghesia che sta crescendo, e che sta davvero maturando una nuova coscienza di sé". Questa volontà, secondo il ragionamento di Montezemolo, non è l’incubatrice di un futuro "partito della borghesia". "Noi - precisa - puntiamo a fare sul serio un gioco di squadra. Critichiamo i costi e i ritardi della politica non per sostituirla, ma per convincerla a muoversi, e a fare insieme a noi e a tutti gli altri attori sociali la partita della modernizzazione e del cambiamento".
Non c’è "auto-candidatura", insomma. Non c’è "discesa in campo". "Chi ha veramente capito lo spirito delle mie parole - osserva ancora il capo delle industrie, della Fiat e della Ferrari - è stato Bersani. Ho apprezzato molto il suo intervento, perché diceva le stesse cose che ho detto io: lavoriamo tutti assieme, ognuno dia il suo contributo per cambiare l’Italia e modernizzarla, ognuno faccia la sua parte per ritrovare il senso di una missione condivisa. Possibile che Pierluigi l’abbia capito, e molti altri no?".
Possibile, se accade. Hegel insegna: tutto ciò che è reale è razionale. Forse Montezemolo non ha fatto abbastanza, per spiegare al suo uditorio che le sue parole non suonano come campane a morto per la vecchia politica sprecona e screditata. Sono al servizio di un Progetto-Paese, e non del Grande Centro o della Grande Coalizione. Adesso vallo a spiegare ai due poli condannati senza appello all’Auditorium, che in quel processo il "pm" era solo una parte, che non si voleva sostituire al tutto. Dopo il plebiscito confindustriale di giovedì scorso, vallo a spiegare che credi in un’altra democrazia, e non a quella che Norberto Bobbio chiamava la "democrazia dell’applauso", dove non c’è elezione ma c’è solo investitura, e dove il capo che l’ha ricevuta è svincolato da ogni mandato e risponde solo a se stesso. Montezemolo lo ripete ancora una volta: "Non rinuncio oggi e non rinuncerò nei prossimi mesi al mio diritto di giudicare e di criticare maggioranze e opposizioni. Ma insisto ancora, non entro e non entrerò in politica...". Eppure, suo malgrado, ormai pochi sono pronti a credere alla sua promessa. Lui ne sembra pienamente consapevole. Ma anche questo, dice, è solo un altro segno della paurosa debolezza del nostro sistema politico.
* la Repubblica, 26 maggio 2007