Iran, «piano d’attacco Usa». Teheran minaccia l’Onu *
Sono notizie contrastanti quelle che vengono dall’Iran, teatro principale di una possibile crisi nucleare. Domenica il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha detto che l’Iran ha raggiunto un nuovo record nel suo programma nucleare rendendo attive più di 3mila centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Non solo. Teheran minaccia l’Onu: se approverà una risoluzione contro i suoi programmi di sviluppo delle 3mila centrifughe della centrale atomica di Natanz o di altre nel quadro del programma nucleare civile, non ci sarà più nessuna collaborazione con l’Aiea. Un copione già visto che evoca una parola sola: guerra. E la dichiarazione questa volta non viene dall’istrionico presidente ma dal portavoce del compassato ministero iraniano degli Affari esteri, Mohammad Ali Hosseini, lo stesso che si dice disponibile a nuovi colloqui con gli Usa per ristabilire la pace in Iraq. Bastone e carota.
Ma che la situazione sia contraddittoria e sull’orlo del baratro è abbastanza evidente. Il Times di Londra rivela che l’ammistrazione Usa ha un piano d’attacco preventivo già pronto contro il regime degli ayatollah: un blitz della durata di tre giorni contro contro 1.200 obiettivi. E si sa che anche Israele ha questa "opzione" - l’attacco - da mesi nei cassetti del ministero della Difeso ora retto da Ehud Barak.
La rivelazione del Times arriva giusto il giorno dopo l’avvertimento del direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) Mohammed El Baradei. In un’intervista uscita sabato sull’ultimo numero del settimanale tedesco Der Spiegel El Baradei - che rischia di fare la Cassandra come il collega Hans Blix prima dell’attacco all’Iraq quattro anni fa, ndr -ha messo in guardia da azioni militari contro l’Iran da parte di Stati Uniti o Israele, sostenendo che ciò aggraverebbe la crisi nella regione rafforzando coloro che in Iran puntano alla fabbricazione della bomba atomica. Un intervento armato potrebbe forse distruggere gran parte delle installazioni iraniane, ma provocherebbe un terribile incendio in tutta la regione, «rafforzando di sicuro i circoli favorevoli alla realizzazione della bomba atomica».
Prevarranno "i falchi" o le"colombe"? Anche la situazione politica a Teheran è assai confusa, i messaggi sono ambigui. Domenica mentre si svolgeva un’altra impiccagione pubblica, cioè un’altra esibizione di forza del regime, il capo dei pasdaran, le Guardie della Rivoluzione accusate di finanziare Hamas e Jihad islamica e altri gruppi considerati terroristi in Palestina, si è dimesso. Non si sa perché.
È prima di tutto per cercare di evitare il precipitare della crisi di cui ha parlato qualche giorno fa anche il presidente francese Sarkozy, che l’Italia sta tentando una sua mediazione diplomatica contando sui buoni rapporti ristabiliti con il mondo arabo. L’iniziativa diplomatica è portata avanti direttamente dal premier Romano Prodi, arrivato domenica in Giordania. Mantenere aperta «la politica di dialogo» con l’Iran avendo «garanzie assolute» che lo sviluppo nucleare di Teheran sia solo civile e non militare: inoltre tutto ciò deve avvenire con «una apertura totale al controllo» dell’Aiea, l’organizzazione delle Nazioni Unite preposta alla vigilanza sul nucleare. Questa è la ricetta da seguire con l’Iran secondo l’Italia. Il premier Romano Prodi ad Amman si è consultato su questa linea con re Abdallah di Giordania. Mentre il ministro degli esteri Massimo D’Alema è impegnato in questi giorni in Israele, Palestina e poi sarà in Egitto. Una missione anche di perlustrazione in vista di una possibile Conferenza internazionale promossa dall’Amministrazione Bush per novembre per la Palestina che è stata preceduta da una intervista a Umberto De Giovannangeli de l’Unità in cui D’Alema torna a chiedere la ripresa del dialogo tra Fatah e Hamas.
* l’Unità, Pubblicato il: 02.09.07, Modificato il: 02.09.07 alle ore 18.51