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PER LA RICERCA DELLA VERITA’ SUI FATTI DI GENOVA - G8 - SEI ANNI DOPO SIAMO ANCORA QUI. L’Avv. Ezio Menzione riceve minacce. L’AED (Avvocati Europei Democratici) ed il Legal Team Italia esprimono la loro massima solidarietà - a cura di pfls

venerdì 20 luglio 2007 di Maria Paola Falchinelli
COMUNICATO STAMPA
SOLIDARIETA’ ALL’AVV. EZIO MENZIONE
Nella mattina del 26 maggio l’Avv. Ezio Menzione, che da anni
si batte in prima fila per la difesa dei diritti fondamentali
e per la ricerca della verità sui fatti di Genova, ha
ricevuto pesanti minacce anonime con cui gli si intimava
“Lasciate stare a Placanica, sennò vi faremo saltare in aria"
Il giorno prima, in un’udienza davanti al Tribunale genovese
per un processo contro alcuni manifestanti, l’Avv. Menzione (...)

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> PER LA RICERCA DELLA VERITA’ SUI FATTI DI GENOVA - G8 ---- Diaz, la notte nera della democrazia (di Giuseppe D’Avanzo)

lunedì 10 novembre 2008


-  Diaz, la notte nera della democrazia
-  il giorno del giudizio per 29 poliziotti

di Giuseppe D’Avanzo (la Repubblica, 10.11.2008)

«Uno Stato che vessa e maltratta le persone private della libertà non è uno Stato democratico. Una polizia che usa la forza non per impedire reati, ma per commetterne, non può essere considerata "forza dell’ordine". Fatti di questo genere distruggono la credibilità delle istituzioni più di tanti insuccessi dei poteri pubblici». Valerio Onida, giudice emerito della Corte Costituzionale. Sono parole che bisogna tenere a mente ora che il processo per le violenze della polizia nella scuola "Diaz", durante i giorni del G8 di Genova, è prossimo alla sentenza.

«Uno Stato che vessa e maltratta le persone private della libertà non è uno Stato democratico. Una polizia che usa la forza non per impedire reati, ma per commetterne, non può essere considerata "forza dell’ordine". Fatti di questo genere distruggono la credibilità delle istituzioni più di tanti insuccessi dei poteri pubblici». Valerio Onida, giudice emerito della Corte Costituzionale. Sono parole che bisogna tenere a mente ora che il processo per le violenze della polizia nella scuola "Diaz", durante i giorni del G8 di Genova, è prossimo alla sentenza.

* * *

Il 21 luglio del 2001 è il giorno più tragico del G8 di Genova. È morto Carlo Giuliani in piazza Alimonda in una città distrutta dai black bloc ? che riescono inspiegabilmente a colpire indisturbati e a dileguarsi senza patemi. Per tutto il giorno, Genova è insanguinata dai pestaggi della polizia, dei carabinieri, dei "gruppi scelti" della guardia di finanza contro cittadini inermi, donne, ragazzi, anche anziani, spesso con le braccia alzate verso il cielo e sulla bocca un sorriso. Ora, più o meno, è mezzanotte. Mark Covell, 33 anni, inglese, giornalista di Indymedia.uk, ozia davanti al cancello della scuola Diaz, diventato un dormitorio dopo che i campeggi sono stati abbandonati per la pioggia. Covell si accorge che la polizia sta "chiudendo" la strada. Avverte subito il pericolo. Estrae l’accredito stampa, lo mostra, lo agita. I poliziotti, che lo raggiungono per primi (sono della Celere, del VII nucleo antisommossa del Reparto Mobile di Roma), lo colpiscono con i "tonfa" o "telescopic baton", più che un manganello un’arma tradizionale delle arti marziali: rigido e non di caucciù, a forma di croce: «può uccidere», se ne vanta chi lo usa. Colpiscono Mark senza motivo. Come, senza ragione, un altro poliziotto con lo scudo lo schiaccia ? subito dopo ? contro il cancello mentre un altro, come un indemoniato, lo picchia alle costole. Gli gridano in inglese: «You are black bloc, we kill black bloc» («Tu sei un black, noi ti uccidiamo»).

Covell cade finalmente a terra. E’ semisvenuto, in posizione fetale. Potrebbe bastare anche se fosse un incubo, ma per Mark il calvario non è ancora finito. Tutti i "celerini" che corrono verso la scuola lo colpiscono a terra con calci (il pestaggio di Covell è ripreso da una videocamera). Covell rimarrà, esanime, circondato dall’indifferenza, in quell’angolo di via Cesare Battisti, al quartiere di Albaro, per oltre venti minuti. Ha una grave emorragia interna, un polmone perforato, il polso spezzato, otto fratture alle costole, dieci denti in meno. Quando si sveglia in ospedale, viene arrestato per resistenza aggravata a pubblico ufficiale, concorso in detenzione di arma da guerra e associazione a delinquere. (E’ ancora aperta l’indagine per individuare i poliziotti che lo hanno quasi ucciso. L’accusa: tentato omicidio).

* * *

Distruggere. Annientare. E’ con questo obiettivo che, dopo aver abbattuto con un blindato Magnum il cancello, le prime tre squadre del Reparto Mobile di Roma (trenta uomini) invadono, a testuggine, il pianoterra della scuola. Arnaldo Cestaro, «un vecchietto», è sulla destra dell’ingresso. Viene travolto. Lo gettano contro il muro. Lo picchiano con i "tonfa". Gli spezzano un braccio e una gamba. Ora ci sono urla e baccano. Nella palestra, ai piani superiori ragazzi e ragazze - anche chi si è già infilato nel sacco al pelo per dormire - comprendono che cosa sta accadendo. Tutti raccolgono le loro cose, il bagaglio leggero che si portano dietro da giorni. Si sistemano con le spalle al muro; chi in ginocchio; chi in piedi; tutti con le braccia alzate in segno di resa; chi ha voglia di un’ultima "provocazione" mostra al più indice e medio a V. Daniel Mc Quillan, quando vede le divise, si alza in piedi e dice: «Noi siamo pacifici, niente violenza». «Come se fossero un branco di cani impazziti, sono su di lui in un istante e lo colpiscono, lo colpiscono, lo colpiscono?», dicono i testimoni. La furia dei celerini si scatena contro chiunque e dovunque, irragionevolmente, con furore (si vede uno che mena colpi con una specie di mazza da baseball). Melanie Jonach racconterà di essere svenuta subito al primo colpo che la raggiunge alla testa. Gli altri, che vedono la bastonatura inflittale, ricordano i suoi occhi aperti ma incrociati, le contrazioni spastiche del corpo. Anche in queste condizioni, continuano a picchiarla e a prenderla a calci. Un ultimo calcio sbatte la sua testa contro un armadio: ora è "aperta" come un melone. Il comandante del VII nucleo, a quel punto, grida «Basta!». Raggiunge la ragazza. «La tocca con la punta dello stivale. Melanie non dà segni di vita e quello ordina che venga chiamata un’autoambulanza». (Melanie Jonach ci arriverà in codice rosso con una frattura cranica nella regione temporale sinistra). Nicola Doherty ancora piange in aula mentre racconta: «Hanno cominciato a picchiarci immediatamente. C’era gente che piangeva e implorava i poliziotti di fermarsi. Anch’io piangevo e chiedevo che la smettessero. Uno mi è venuto vicino e con fare dolce mi ha detto "Poverina!" e mi ha colpito ancora. Sembrava che ci odiassero. Ho visto un poliziotto con un coltello in mano, bloccava le ragazze, i ragazzi e tagliava una ciocca di capelli con il coltello». Voleva il suo personale trofeo di guerra. Altri continuano a gridare, dopo aver picchiato duro: «Dì, che sei una merda». Mentre colpiscono gridano: «Frocio!», «Comunista!», «Volevate scherzare con la polizia?», «Nessuno sa che siamo qui e ora vi ammazziamo tutti!». Lena Zulkhe, colpita alle spalle e alla testa, cade subito. Le danno calci alla schiena, alle gambe, tra le gambe. «Mentre picchiavano, ho avuto la sensazione che si divertissero». La trascinano per le scale afferrandola per i capelli e tenendola a faccia in giù. Continuano a picchiarla mentre cade. La rovesciano quasi di peso verso il pianoterra. «Non vedevo niente, soltanto macchie nere. Credo di essere per un attimo svenuta. Ricordo soltanto - ma quanto tempo era passato? - che sono stata gettata su altre due persone, non si sono mossi e io gli ho chiesto se erano vivi. Non hanno risposto, sono stata sdraiata sopra di loro e non riuscivo a muovermi e mi sono accorta che avevo sangue sulla faccia, il braccio destro era inclinato e non riuscivo a muoverlo mentre il sinistro si muoveva ma non ero più in grado di controllarlo. Avevo tantissima paura e pensavo che sicuramente mi avrebbero ammazzata». Dei 93 ospiti della "Diaz" arrestati, 82 sono feriti, 63 ricoverati ospedale (tre, le prognosi riservate), 20 subiscono fratture ossee (alle mani e alle costole soprattutto, e poi alla mandibola, agli zigomi, al setto nasale, al cranio).

* * *

Che cosa ha provocato questa violenza rabbiosa e omicida? Come è stata possibile pensarla, organizzarla, realizzarla. Il 22 luglio, il portavoce del capo della polizia convoca una conferenza stampa e distribuisce un breve comunicato che vale la pena di ricordare per intero: «Anche a seguito di violenze commesse contro pattuglie della Polizia di Stato nella serata di ieri in via Cesare Battisti, si è deciso, previa informazione all’autorità giudiziaria, di procedere a perquisizione della scuola Diaz che ospitava numerosi giovani tra i quali quelli che avevano bersagliato le pattuglie con lancio di bottiglie e pietre. Nella scuola Diaz sono stati trovati 92 giovani, in gran parte di nazionalità straniera, dei quali 61 con evidenti e pregresse contusioni e ferite. In vari locali dello stabile sono stati sequestrati armi, oggetti da offesa ed altro materiale che ricollegano il gruppo dei giovani in questione ai disordini e alle violenze scatenate dai Black Bloc a Genova nei giorni 20 e 21. Tutti i 92 giovani sono stati tratti in arresto per associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio e detenzione di bottiglie molotov. All’atto dell’irruzione uno degli occupanti ha colpito con un coltello un agente di Polizia che non ha riportato lesioni perché protetto da un corpetto. Tutti i feriti sono stati condotti per le cure in ospedali cittadini». Il portavoce mostra anche le due molotov che sarebbero state trovate nell’ingresso della scuola, «nella disponibilità degli occupanti».

* * *

Il processo di Genova ha dimostrato ragionevolmente (e spesso con la qualità della certezza) che nessuna delle circostanze descritte dal portavoce del capo della polizia (capo della polizia era all’epoca Gianni De Gennaro) corrisponde al vero. Quelle accuse sono false, quelle ragioni sono inventate di sana pianta. Si dice che l’assalto (la «perquisizione») fu organizzato dopo che un corteo di auto e blindati della polizia era stato, poco prima della mezzanotte, assalito in via Cesare Battisti con pietre, bottiglie e bastoni. Il processo ha dimostrato che non c’è stata nessuna pattuglia aggredita. Si dice che gli ospiti della Diaz fossero già feriti, quindi coinvolti negli scontri in città. Nessuno dei 93 arrestati era ferito prima di essere bastonato dai "celerini". Poliziotti, comandanti, dirigenti hanno riferito che, mentre entravano nella scuola, c’è stata contro di loro una sassaiola e addirittura il lancio di un maglio spaccapietre. I filmati hanno dimostrato che non fu lanciata alcun sasso e nessun maglio. Il comandante del Reparto Mobile di Roma ha scritto in un verbale che ci fu una vigorosa resistenza da parte di «alcuni degli occupanti, armati di spranghe, bastoni e quant’altro». Assicura che nella scuola (entra tra i primi) sono stati «abbandonati a terra, numerosi e vari attrezzi atti ad offendere, tipo bastoni, catene e anche un grosso maglio». Nella scuola non c’è stata alcuna colluttazione, nessuna resistenza, soltanto un pestaggio. Nessuno degli occupanti ha tentato di uccidere con una coltellata il poliziotto Massimo Nucera. Due perizie dei carabinieri del Ris hanno smentito che lo sbrego nel suo corpetto possa essere il frutto di una coltellata. Nella scuola non c’erano molotov. Come ha testimoniato il vicequestore che le ha sequestrate, quelle due molotov furono ritrovate da lui non nella scuola la notte del 22 luglio, ma sul lungomare di Corso Italia nel pomeriggio del giorno precedente. La prova falsa, manipolata, è stata inspiegabilmente distrutta, durante il processo, nella questura di Genova.

* * *

In settimana il tribunale deciderà delle responsabilità personali dei 29 imputati (poliziotti, dirigenti, comandanti, alti funzionari della polizia di Stato) accusati di falso ideologico, abuso di ufficio, arresto illegale e calunnia. Quel che qui conta dire è che la responsabilità non penale, ma tecnico-politica di chi, impotente a fronteggiare i black bloc, si è abbandonato (per vendetta? per frustrazione? con quali ordini e di chi?) a pestaggi ingiustificati e indiscriminati, non può e non deve essere liquidata da questa sentenza. Centinaia di agenti, sottufficiali, ufficiali, dirigenti di polizia, funzionari del Dipartimento di pubblica sicurezza hanno mentito durante le indagini e al processo. E chi non ha mentito, ha negato, taciuto o dissimulato quel che ha visto e saputo. Dell’assalto alla "Diaz" non inquieta soltanto il massacro di 93 cittadini inermi diventati in una notte «criminali» a cui non si riconosce alcuna garanzia e diritto. Quel che angoscia è anche questo silenzio arrogante, l’omertà indecorosa che manipola prove; costruisce a tavolino colpevoli; nasconde le responsabilità; sfida, senza alcuna lealtà istituzionale, il potere destinato ad accertare i fatti. Le apprensioni di sette anni raddoppiano ora che, decreto dopo decreto, si fa avanti un «diritto di polizia». Il Paese ha bisogno di sapere se il giuramento alla Costituzione delle forze dell’ordine non sia una impudente finzione. Perché quel che è accaduto a Mark Covell e ai suoi 92 occasionali compagni di sventura rende chiaro, più di qualsiasi riflessione, come uno Stato che si presenta nelle vesti di sbirro e carnefice fa assai presto a diventare uno Stato criminale quando il dissidente, il non conforme, l’altro diventa un «nemico» da annientare.


la Repubblica 10.11.2008

Prove false e omertà duecento "picchiatori" restano senza nome

di Massimo Calandri

GENOVA. Alla vigilia della sentenza la procura del capoluogo ligure ha svelato un altro "mistero". Un’altra vergogna, per dirla con le parole dei magistrati. Il mistero dell’agente Coda di Cavallo, picchiatore impunito: riconosciuto solo dopo sette lunghissimi anni, nonostante l’omertà di colleghi e superiori. Non è purtroppo l’ultimo degli enigmi di questa scomoda storia, ma ormai non c’è più tempo per fare chiarezza. La prima sezione del tribunale di Genova, presieduta da Gabrio Barone, entrerà in camera di consiglio giovedì mattina. Qualche ora dopo sapremo. Per i protagonisti della sciagurata irruzione nella scuola Diaz, durante il G8 del luglio 2001, i pubblici ministeri hanno chiesto 109 anni e 9 mesi complessivi di reclusione. Gli imputati sono 29, tra agenti e super-poliziotti. Responsabili a diverso titolo del massacro ingiustificato e ingiustificabile di 93 no-global, arrestati illegalmente con un verbale farcito di prove false.

Sotto accusa ci sono anche e soprattutto i vertici del ministero dell’Interno. Prima complici "di una della pagine più nere nella storia della Polizia di Stato". Poi, sempre secondo i pm Francesco Cardona Albini ed Enrico Zucca, ispiratori e registi della "sistematica corruzione per una nobile causa". Menzogne e versioni concordate, che tra l’altro sono costate un procedimento parallelo a Gianni De Gennaro, ex capo della polizia accusato di aver istigato a mentire il vecchio questore di Genova, Francesco Colucci.

Si chiude un processo inquieto ed inquietante che l’altro giorno stava finendo in rissa, in un paradossale ribaltamento dei ruoli: con gli avvocati difensori ? le cui parcelle, in caso di assoluzione, ammonteranno in tutto a circa dieci milioni di euro: pagherà il ministero - ad aggredire verbalmente i pm, accusandoli di aver violato sistematicamente il codice. E quelli a denunciare le "minacce" subìte. Si chiude un processo che ha sfiancato la procura, costretta a fare i conti con il catenaccio degli imputati. Nel corso del dibattimento quasi nessuno degli accusati si è presentato in aula per spiegare, chiarire. Nessuno dei Grandi Accusati. Non Francesco Gratteri, ora ai vertici dell’Antiterrorismo. Non Gilberto Cadarozzi, protagonista della cattura di Bernardo Provenzano. Chi ha scelto di parlare lo ha fatto solo per offrire "dichiarazioni spontanee", senza contraddittorio. Come Giovanni Luperi, attuale direttore dell’Aisi, l’ex Sisde. Che davanti ai giudici ha ammesso: "La Diaz è stata una pagina orribile", ma incalzato dai pm ha detto che quella notte era stanco, che non partecipò attivamente all’organizzazione dell’intervento perché più che altro pensava a dove portare a cena i colleghi. Se l’era presa con "quel vigliacco che ha portato le bottiglie incendiarie nella scuola", e ricordava di aver passato il sacchetto con le molotov ? quando ancora erano nel cortile - ad una funzionaria. Che a sua volta le aveva passate ad un misterioso ispettore della Digos di Napoli. Che le aveva portate nell’istituto. E che naturalmente è scomparso. Una versione tra Ionesco e De Filippo, come ha ironizzato Alfredo Biondi, avvocato di Pietro Troiani, il vice-questore bollato come l’ "uomo delle molotov". Il fotogramma-simbolo di questa storia è stato estrapolato da un filmato depositato nel corso del dibattimento il mese scorso. In lontananza, sulla sinistra, si vede il fantomatico ispettore che entra dalla porta laterale della scuola, con il sacchetto azzurro in mano. La regina delle prove false.

Falsa come la successiva collaborazione nelle indagini da parte della stessa polizia, sostiene la procura. Che cita l’ultimo emblematico caso. Coda di Cavallo, appunto. E’ un agente in borghese, viene filmato mentre ai piani superiori della Diaz prende a manganellate alcuni ragazzi inermi. Il volto è inquadrato in primo piano, e poi ci sono i capelli, raccolti in quella inconfondibile coda di cavallo. I magistrati chiedono ai poliziotti di dare un nome al loro collega. L’immagine per sette anni e mezzo fa il giro di tutte le questure d’Italia. Nessuno risponde. E però, nei giorni scorsi arriva il colpo di scena. Sono gli stessi magistrati a dargli un nome, perché l’agente Coda di Cavallo, con i capelli debitamente tagliati, ha l’arroganza di prendere posto tra il pubblico nel corso di alcune udienze. Di chi si tratta? Di un sottufficiale della Digos di Genova. L’ufficio incaricato di identificare i protagonisti della sciagurata irruzione. A proposito: la maggior parte di loro, oltre duecento, resta senza nome. Come senza nome sono i poliziotti che all’esterno dell’istituto sfondarono a calci i polmoni ad un giornalista inglese, Mark Cowell, uno dei 93 che poi risultò "ufficialmente" essere stato catturato nella scuola. Il fascicolo per tentato omicidio nei suoi confronti resta a carico di ignoti. Ed ignota è ancora la quattordicesima firma nel verbale d’arresto dei 93 no-global: un documento pieno di bugie che è costato il processo a 13 dei 29, ma non a quello che vigliaccamente ? non essendo possibile decifrare la sua scrittura ? ha preferito rimanere nel buio, un altro mistero di una notte vergognosa. La notte più buia della polizia che i pm riassumono amaramente: "Pensavano di fare il loro dovere. Ma hanno agito secondo una logica perversa. Fiduciosi che la loro illegalità sarebbe comunque stata tollerata, in tutte le sedi istituzionali".


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