LA PITTURA DI ANTONIO PILATO
Presentazione critica
di Fulvio Papi *
Antonio Pilato si avventura molto felicemente in una pittura che vuole essere una rappresentazione (vor-stollen, mettere davanti) di eventi del mondo secondo una vocazione narrativa che solo un percepire morale può instaurare nella sua energia espressiva.
Abituati ai numerosi collassi manierista, all’aggressività di superficie, o a segni inevitabilmente ridotti nell’angolo della decorazione, questa pittura evoca e, in certo senso impone, un referente etico comune, conferendo all’ esperienza estetica un approdo ulteriore. L’immagine si trasfigura nella comprensione emotiva, così che guardare questi lavori espone al giusto rischio che appaiano sentimenti e propositi tacitati spesso dallo scorrere sordo dell’essere.
Il tema di Pilato è l’insieme delle tracce, tracce devastanti del prendere un mare infido per una speranza, devota nel cuore, fragilissima nel mondo. A fronte di queste rappresentazioni del migrare torna alla memoria, in un contesto differente, il sintagma celebre di Primo Levi “se questo è un uomo”.
Azzardando astrazioni direi che la pittura di Antonio Pilato appartiene al continente del solo realismo possibile, quello che non parla con il lessico dell’amministrazione quotidiana, ma educa a vedere come si deve vedere (l’ “ infanzia negata” é il degrado di una figura chiusa, priva di ogni gestualità, propria di quegli anni: una figura che vive nella sua stasi tale che evoca altra specie vivente). E gli altri bambini, angeli senza cielo, abbandonati sulla riva con la memoria o la visione di un viaggio che ha il peso del destino.
Dovrei parlare del colore di Pilato: una tavolozza che ha preso tale confidenza con le sue risorse da costruire scene che catturano lo sguardo: sfondi paralizzanti, cieli crudeli, mari senza luce, ricchezze senza amore. E non vorrei dimenticare la “carretta della speranza”, dove la distribuzione del colore nel variare del sua dovizia, delle apparizioni, delle luci, fa persino evocare un tratto di felicità, quello del partire, dell’abbandonare la sorte già prefigurata, la morte quotidiana, per aprirsi a una storia incognita, per lo più pericolosa, ma ancora invisibile e assente.
Dicevo del realismo etico, possibile solo per l’arte sapiente del colore, capace di divenire una profonda inquietudine che seleziona lo sguardo, lo coinvolge e, un poco come è questo, lo opprime.
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MILANO,
Circolo della Stampa - Sala Lanfranchi,
Palazzo Serbelloni - Corso Venezia 16,
7-14 marzo 2009, MOSTRA DI PITTURA,
DISPERAZIONE E FUGA DI ANTONIO PILATO,
Presentazione critica
FULVIO PAPI