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Filosofia e Pittura. Etica per immmagini....

DOPO MUNCH, IL "GRIDO" DI ANTONIO PILATO. Il terribile è già accaduto. "L’impotenza del pensiero" occidentale ... e l’acqua, l’"acqua viva", il buon-messaggio in bottiglia alla deriva - a cura di Federico La Sala

Mostra personale di Antonio Pilato, presso la Civica Galleria d’Arte Moderna " Giuseppe Sciortino", a Monreale (dal 13 ottobre all’11 novembre 2007).
venerdì 19 ottobre 2007 di Maria Paola Falchinelli
«Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto. Sul fiordo neroazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.» (E. Munch).

PILATO Antonio, pittore: "Geni in bottiglia. L’impotenza del (...)

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> DOPO MUNCH, IL "GRIDO" DI PILATO. Il terribile è già accaduto. --- EMET, ALETHEIA, VERITAS. PONZIO PILATO. L’uomo che non capì la parola verità (di Armando Torno).

mercoledì 27 luglio 2011

L’uomo che non capì la parola verità

di Armando Torno (Corriere della Sera, 27 luglio 2011)

La famiglia dei Ponzi doveva essere di origine sannita ed era nota già al tempo della repubblica romana. All’epoca di Augusto il nome è diffuso nelle diverse classi sociali e si chiamavano in tal modo i consoli degli anni 17 e 37 della nostra era. Ma il cognomen Pilato è raro, con un significato non facile da definire: potrebbe voler dire «armato di pilum» , la lancia della fanteria romana, oppure «calvo», ma non va escluso nemmeno «arruffato». Ponzio Pilato non doveva avere nobili origini e il pilum ce lo fa immaginare in un accampamento, tra coloro che cominciavano la loro ascesa nei bassi ranghi dell’esercito.

La carriera? Probabilmente merito della moglie Claudia Procula, che sarebbe stata figlia illegittima di Claudia, sposa dell’imperatore Tiberio e nipote di Augusto. La troviamo in Palestina, a Gerusalemme, durante i giorni ultimi di Gesù, anche se le consorti dei procuratori risiedevano a Roma. Del resto, leggiamo nel Vangelo di Matteo: «Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: "Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua"» (27,19).

L’ipotesi che Pilato fosse «amico di Cesare» - alcuni la fondano sul passo del Vangelo di Giovanni 19,12 - non ha valore e, per ricostruirne il profilo, sono preferibili altri riferimenti, a cominciare da quello rivelato da

un’epigrafe incisa su un masso di calcare, rinvenuta nel 1961 a Cesarea marittima, l’odierna Qaisariyyeh: si leggono il nome e la carica ricoperta, «Pontius Pilatus Praefectus Iudaeae». Sappiamo anche che governò la Giudea per un tempo insolitamente lungo, dal 26 al 36; le ragioni sono da cercarsi quasi sicuramente nel gradimento di Roma. Ma le fonti ebraiche lo giudicano ben diversamente e sia Filone di Alessandria nella Legatio ad Caium che Giuseppe Flavio nelle Antichità giudaiche non si lasciano sfuggire occasione per metterlo in cattiva luce. Tra le cause del malumore vi fu anche l’utilizzo che il prefetto fece della cavalleria e delle truppe con armamenti pesanti per reprimere i Samaritani, costato non poche vittime. Proprio a Ponzio Pilato, uomo concreto e deciso, è capitato di incontrare Gesù e di vivere con lui uno dei momenti cruciali della sua vicenda.

A questo magistrato toccò, dopo aver tentato di salvarlo, di farlo flagellare e di consegnarlo ai soldati per l’esecuzione. Dire che fosse l’opposto è quasi un eufemismo, anche per chi non crede nella divinità del suo interlocutore: di certo sappiamo dai Vangeli che tra loro ci fu un colloquio. Anche se il romano non poteva capire in quel momento quello che Gesù gli rispondeva, va detto che secondo quanto si legge nel capitolo 18 del Vangelo di Giovanni i due arrivarono a scambiarsi una serie di considerazioni che poi verranno commentate senza requie da teologi e filosofi.

Sino alle parole cruciali: «Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". Gli dice Pilato: "Che cos’è la verità?".

E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei...» (Giovanni 18, 37-38). E quella parola, verità, con la quale si tronca la scena, ci mostra due personaggi distanti che si sono incontrati nel momento cruciale della storia dell’Occidente. Inutile tentare di interpretare ancora una volta le frasi proferite da entrambi, perché per un ebreo verità era emet (significava fermezza, stabilità quando era riferita a persone o cose) e per un romano veritas, che al tempo di Tiberio poteva significare comprendere la realtà delle cose. Pilato forse non aveva mai sentito pronunciare il termine verità in greco, ovvero alétheia, lingua nella quale ci è giunto il Vangelo di Giovanni, ma se anche l’avesse udita in un suo viaggio difficilmente l’avrebbe meditata in quel momento attraverso la filosofia greca. Peccato.

Se ci fosse stato Cicerone... ma la storia non si fa con i se. Nietzsche difenderà Pilato, per Kelsen agì con correttezza, dal IV secolo l’arte cominciò a rappresentarlo nell’atto di lavarsi le mani, anche se quel gesto cela significati ancora da scoprire.

Tuttavia in uno scritto apocrifo del II secolo, il Vangelo di Nicodemo, Gesù risponde alla domanda di Pilato: «La verità è dal cielo». Al che il magistrato romano replica: «Non c’è verità sulla terra?». Il testo va avanti, ma quel che vorremmo ricordare resta il fatto che un interlocutore capiva tutto e l’altro soltanto cose pratiche. I due erano radicalmente diversi nell’anima oltre che nel ruolo. Ha fatto bene Gesù a non rispondere. Poteva permetterselo. La sua vita, sottolineerà Kierkegaard, era la risposta.


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