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A difesa del Concilio

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sabato 14 luglio 2007

anatemi

Cento anni di modernismo nelle libertà perdute della Chiesa

Nel luglio del 1907, Pio X stigmatizzava la corrente religiosa di Murri e Bonaiuti. Due mesi più tardi, l’enciclica «Pascendi Dominici gregis» condannerà ancora il movimento definito «sintesi di tutte le eresie»

di Alfonso Botti *

È passato un secolo da quando, nel luglio del 1907, con il decreto Lamentabili sane exitu Pio X condannava la corrente riformatrice religiosa da qualche anno divenuta nota con il nome di modernismo. Due mesi dopo, l’8 settembre, la condanna era reiterata con l’enciclica Pascendi Dominici gregis che stigmatizzava il modernismo come «sintesi di tutte le eresie». Si è soliti identificare il punto algido della controversia modernista con la pubblicazione di L’Évangile et l’Eglise (1902) dell’abate Loisy: il «piccolo libro» dalla copertina rossa in cui l’esegeta francese forniva una lettura tutta escatologica del regno predicato da Gesù, negando che egli avesse inteso fondare la Chiesa. A cui faceva seguire, l’anno dopo, Autour d’un petit livre nel quale esplicitava e ribadiva le proprie posizioni.

Un fenomeno europeo

Il modernismo si sviluppò tra il clero, gli intellettuali cattolici e i semplici credenti di base dagli ultimi anni del pontificato di Leone XIII alla condanna di papa Sarto. Poi cercò di organizzarsi come movimento per resistere e sopravvivere, ma fu sopraffatto. La controversia a cui diede vita produsse la crisi più importante nella Chiesa dopo la Riforma protestante e senza termini di paragone neppure con i sommovimenti prodotti dal giansenismo. Il fenomeno ebbe dimensioni a carattere europeo. Europea la statura dei suoi principali esponenti che mantenevano profondi e articolati rapporti con la cultura del Vecchio continente. Se ne trova conferma scorrendo l’elenco dei corrispondenti del pastore protestante francese Paul Sabatier, le cui carte sono conservate presso il Centro studi per la storia del modernismo di Urbino, fondato all’inizio degli anni Settanta da Lorenzo Bedeschi.

I più significativi rappresentanti della corrente furono, in Francia, oltre ai già citati Loisy e Sabatier, Bremond, Hébert, Houtin, Laberthonnière, il filosofo Le Roy; in Italia, Romolo Murri (il fondatore della prima democrazia cristiana), Buonaiuti, Minocchi, Fracassini, Semeria, Gallarati Scotti e lo scrittore Antonio Fogazzaro; in Gran Bretagna, l’ex gesuita Tyrrell, miss Petre e il barone d’origine austriaca von Hügel; in Germania i professori Schell, Schnitzer, Koch, Engert e Funk. In Spagna, a parte il limitato interesse verso il modernismo di alcuni religiosi e del sacerdote galiziano José Amor Ruibal, gli intellettuali che più si avvicinarono alla sensibilità modernista furono Leopoldo Alas, noto con lo pesudonimo di Clarín, suo fratello Genaro, il Pérez Galdós del romanzo Nazarín e, più di tutti, Unamuno.

Tra scienza e fede

L’assenza di modernisti in carne e ossa fu surrogata da Ortega y Gasset nel 1908 con la creazione del personaggio di Rubín de Cendoya nella recensione che dedicò all’edizione spagnola del Santo di Fogazzaro. Anni dopo, nel 1936, lo stesso fece lo scrittore basco Pío Baroja, con il personaggio di Javier Olarán, nel romanzo El cura de Monleón. Furono molte le riforme del cattolicesimo e della Chiesa auspicate dai modernisti. I temi più tipici delle loro ricerche storiche e religiose si possono riassumere nella formula della spinta verso la conciliazione tra la scienza e la fede cristiana. Un risultato che cercarono di perseguire muovendosi su differenti piani: con l’impiego del metodo storico-critico nell’esegesi biblica, nella storia della Chiesa e dei dogmi, nell’apologetica e l’agiografia; con la critica del tomismo come filosofia cristiana e del concetto stesso di «filosofia cristiana» al posto della quale si adoperarono a favore della libera ricerca filosofica, guardando con simpatia al pensiero di Blondel, Bergson e al pragmatismo statunitense; con l’accettazione dell’evoluzionismo darwinano per spiegare l’origine dell’uomo contro il tradizionale creazionismo del magistero ecclesiastico; prestando attenzione agli aspetti psicologici dell’esperienza religiosa sotto l’influenza di William James; con la netta opzione per la democratizzazione della Chiesa e della società, che assunse venature socialiste nel caso del Buonaiuti degli anni della rivista «Nova et vetera».

L’origine del sospetto

In definitiva i modernisti vollero togliere le incrostazioni confessionali che si erano depositate nel corso dei secoli attorno all’Evangelo e al messaggio cristiano per recuperarne l’autentico significato in vista del più proficuo dialogo con il mondo moderno. Fu una tendenza intellettuale, ma non elitaria, che trovava le proprie radici nel cattolicesino liberale francese e italiano, nel Reformkatholizismus tedesco, nell’americanismo (condannato dalla Chiesa nel 1899 con la Lettera Testem benevolentiae), nel positivismo e nel nuovo protagonismo delle masse dell’Europa di quegli anni. La Chiesa ebbe paura e condannò la corrrente riformatrice. Costruì anzi con «il modernista» il proprio nemico interno. I modernisti dovettero scegliere tra deporre l’abito talare, la sospensione a divinis e il mesto ritorno all’ovile. Alcuni continuarono a pubblicare i risultati delle proprie ricerche coperti da pseudonimi.

Quelli che non obbedirono o che vennero scoperti furono scomunicati (Loisy, Buonaiuti, Murri). Per questo motivo la crisi modernista si frantumò in tante crisi personali, di coscienza, esistenziali. Le pubblicazioni moderniste e anche alcuni romanzi furono inseriti nell’Indice dei libri proibiti. Molte riviste cessarono le pubblicazioni. Nacque una cultura del sospetto contro ogni attività di ricerca nelle scienze religiose che non risparmiò neppure il futuro Giovanni XXIII. La grande mobilitazione antimodernista favorì i settori più intransigenti e integralisti della Chiesa e del cattolicesimo. Per meglio combattere la «eresia» modernista, un ecclesiastico prossimo a Pio X, monsignor Benigni, fondò nel 1909 Sodalitium Pianum o Società San Pio V (nota anche come Sapinière), un’organizzazione di spionaggio clericale, che contò sulla collaborazione di schiere di delatori, infiltrati e persino di cifrari segreti. A partire dal settembre del 1910 si introdusse l’obbligo del giuramento antimodernista per entrare nei seminari e nelle Università pontificie (Motu proprio Sacrorum antistitum).

Nel 1907 morirono nella Chiesa le inquietudini e il dubbio, la libertà di ricerca e la possibilità stessa del pluralismo teologico. I cattolici avrebbero dovuto aspettare quasi mezzo secolo e il Concilio Vaticano II per recuperare i livelli di libertà ecclesiale che il modernismo aveva fatto intravedere.

Non a caso proprio negli anni della primavera conciliare prese avvio lo studio del modernismo con le ricerche di Ranchetti, Scoppola, Bedeschi e, su tutti, Poulat, per dire solo dei principali. Di contro, il 1907, segnò il trionfo del clericalismo. La condanna e la repressione antimodernista favorirono i settori più ultramontani e integralisti sul piano religioso e quelli più illiberali e antidemocratici sul piano politico.

Vuoti di cultura

A ben guardare, però, e con la prospettiva che il tempo consente, occorre riconoscere che la Chiesa non respinse la modernità in toto. Il modernismo rappresentava infatti solo una delle vie o opzioni della modernizzazione cattolica. Nel suo complesso Curia romana e gerarchie ne scelsero un’altra.

Iniziò proprio allora, infatti, il cammino verso la modernità compatibile, la modernità «buona», dei mezzi, ma non dei contenuti, attraverso una complessa operazione di filtro e aggiustamento del tradizionale progetto di cristianità. Un progetto dal quale non si è scostato né il papa polacco né, a quanto è dato vedere, quello tedesco, che alla messa in latino di Pio V ha dato facoltà di tornare.

Senza la condanna del 1907, la storia del cattolicesimo e della Chiesa in Europa avrebbe probabilmente seguito un altro percorso. Senz’altro meno tardiva la sconfessione dell’Action française, che giunse solo nel 1926; senz’altro maggiori resistenze alla penetrazione del fascismo avrebbe offerto il mondo cattolico italiano e più difficili la sacralizzazione della Guerra civile spagnola e la stretta alleanza di quel cattolicesimo con il franchismo. La condanna lasciò indifferente la cultura laica e socialista che vi trovò conferme circa l’irriducibile antinomia tra religione, scienza e modernità. Contentò invece quella liberale moderata e conservatrice, che di un mondo cattolico disciplinato aveva bisogno.

A essa inconsapevolmente si ispirano «atei devoti» e «teocon» dei nostri giorni, ignari delle repliche farsesche della storia. Che nel dibattito culturale e politico degli ultimi tempi su scienza e religione, bioetica e darwinismo, laicità dello Stato e neoclericalismo sino rimasti del tutto assenti riferimenti sia al modernismo, sia al clericomoderatismo, la dice lunga sul vuoto di cultura storica su cui galleggia il paese.

* il manifesto, 13.07.2007


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