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mercoledì 5 settembre 2007

Modernismo, quale eredità?

l’anniversario

Cento anni fa Pio X firmò la «Pascendi», un’enciclica tra le più discusse. Ma le critiche risentono di tanti pregiudizi. Una rilettura

di Corrado Pizziolo* (Avvenire, 05.09.2007)

Ricorre tra pochi giorni il centesimo anniversario dell’enciclica di Pio X Pascendi Dominici Gregis, pubblicata con la data dell’8 settembre 1907. Indubbiamente questo anniversario merita di essere ricordato, dal momento che si tratta di uno dei pronunciamenti papali più importanti e decisivi non solo del pontificato di Papa Sarto, ma dell’intero secolo scorso. Si tratta anche di uno dei testi magisteriali più controversi: esaltato senza riserve nella prima parte del ’900; criticato (se non vilipeso) successivamente. In realtà la valutazione negativa che molti oggi riservano alla Pascendi è probabilmente frutto di un pregiudizio: essa viene spesso citata come un documento con cui il «bieco potere ecclesiastico« stroncò senza pietà le voci profetiche che si appellavano ad un rinnovamento della Chiesa. Le cose non stanno certamente così. Se da un lato va detto con chiarezza che l’applicazione concreta delle direttive disciplinari indicate dalla Pascendi e da successivi documenti fu, in molti casi, eccessiva, occorre - d’altro lato - riconoscere con altrettanta chiarezza che l’enciclica di Pio X non dava corpo a delle fantasie. Il Papa, infatti, si trovò realmente ad affrontare posizioni che, pur in buona fede, proponevano soluzioni riduttive e inaccettabili su temi assolutamente fondamentali e decisivi per la fede della Chiesa.

Lo scopo dell’enciclica

Il motivo che determinò la pubblicazione della Pascendi è dichiarato immediatamente proprio nel sottotitolo del documento: «Sugli errori del Modernismo».

Cos’è il Modernismo? Possiamo definirlo una crisi di crescita nell’organismo della Chiesa cattolica. Negli anni a cavallo tra ’800 e ’900, da più parti venne avvertita l’urgenza di superare la grave frattura che era venuta progressivamente a crearsi tra il pensiero cattolico e la cultura moderna. Era una frattura che riguardava ambiti molteplici: la filosofia, la religione, la scienza, la politi ca... E che sembrava rendere non più comunicabile al mondo moderno la fede cristiana.

Molti intellettuali cattolici si sentirono perciò chiamati ad un’opera di conciliazione tra le conquiste della modernità e la tradizione cattolica. Di conseguenza si misero volenterosamente all’opera. Come purtroppo accade spesso in situazioni simili, i tentativi di questi studiosi non sempre ebbero risultati soddisfacenti per la fede cattolica. Lo sforzo di dialogare con la nuova sensibilità filosofica e scientifica dell’epoca moderna, introducendone le novità nella fede cristiana, approdò, in una certa misura, a compromettere l’identità della fede stessa. Si trattava di un pericolo a cui il Pontefice, che in modo tutto particolare è chiamato a custodire l’integrità della fede ecclesiale nella Rivelazione cristiana, non poteva evidentemente rimanere indifferente.

L’intervento inteso a denunciare gli errori presenti in questi tentativi di «modernizzare» la tradizione cattolica (di qui il termine «modernismo»), si concretizzò appunto nell’enciclica Pascendi. Essa fu preceduta di pochi mesi (3 luglio 1907) da un altro importante documento papale (il decreto Lamentabili Sane Exitu) che enumerava una lunga serie di errori «modernisti» circolanti tra i cattolici.

I punti nodali in questione

Rispetto al decreto che l’aveva preceduta, l’enciclica si presenta come un testo fortemente unitario. Essa intende dare un volto e una figura precisi al cosiddetto «Modernismo», raccogliendo in un sistema organico le diverse e variegate posizioni fino a quel momento espresse dai vari autori. Il documento si articola in tre parti, precedute da un’introduzione che fornisce la giustificazione dell’enciclica in relazione alla gravità del male e all’urgenza del rimedio reso necessario dagli errori diffusi dai modernisti dentro la Chiesa stessa. Le tre parti sono dedicate, rispettivamente, la prima all’analisi e all’interpretazione della posizione modernista; l a seconda all’identificazione delle cause del modernismo; la terza all’indicazione dei rimedi. Più che descrivere analiticamente i contenuti dell’enciclica, vale la pena di individuare gli aspetti nodali che essa pone in evidenza (ovviamente in continuità con il decreto Lamentabili). Questo ci permetterà di cogliere l’importanza e, per tanti aspetti, l’attualità di questo documento papale.

La questione dell’esegesi biblica

Fu proprio la questione dell’esegesi biblica a innescare la crisi modernista. Alcuni esegeti (in particolare Loisy) introdussero anche in ambito cattolico l’esegesi scientifica (o critica storica) applicata alla Bibbia, già da tempo praticata in ambito protestante. A questi studiosi la Pascendi rimprovera un uso dell’esegesi scientifica viziato da presupposti filosofici non compatibili con la fede cristiana. Questi presupposti (precisamente l’«agnosticismo» e l’«immanentismo» tipici del positivismo di fine ’800), rifiutando radicalmente il carattere soprannaturale del testo biblico, conducono l’esegesi scientifica a conclusioni completamente diverse rispetto a quelle trasmesse dalla fede. Un testo biblico dice cose del tutto differenti se esaminato da un esegeta scientifico o letto da un credente. Per salvare sia la scienza che la fede, gli esegeti modernisti proponevano una radicale spartizione di campi: una cosa è la scienza, un’altra è la fede; una cosa è l’esegesi scientifica, un’altra è l’esegesi teologica. Ma qual è il guaio di questa soluzione? Secondo la mentalità positivistica del tempo (presente anche nel pensiero modernistico), solo l’esegesi scientifica dice cose vere, sicure e verificabili. La lettura di fede invece non è reale: è una lettura puramente soggettiva, al limite fantastica, frutto di un vago e imprecisato sentimento religioso.

Occorre riconoscere che il prezzo pagato dall’esegesi modernista per mettere al sicuro la fede di fronte alla critica storica, proponendo semplicistica mente una netta separazione di campi, si rivelava troppo alto. Tale prezzo infatti era il regresso ad una concezione fideistica e irrazionalistica della fede e della teologia. La condanna decretata dal Magistero antimodernista concerne quindi propriamente non l’esegesi scientifica in quanto tale, ma l’esegesi scientifica professata dal modernismo, nel senso di «comandata» dalla sua filosofia. È a questa filosofia che propriamente il Magistero addebita la dichiarata opposizione tra la fede e la storia e tra l’esegesi teologica e l’esegesi scientifica.

In questo senso è decisamente sbagliata l’opinione che accusa la Pascendi di essere pregiudizialmente contraria alla scienza. È da rilevare invece che il problema del rapporto tra l’esegesi scientifica (o metodo storico-critico) e l’esegesi credente (o teologica) continua a proporsi ancor oggi come una questione con cui fare i conti. Non si spiegherebbe altrimenti perché Benedetto XVI dedichi (cento anni dopo) la premessa del suo recente libro su Gesù di Nazareth proprio a ricordare il valore e i limiti del metodo storico-critico, insistendo sulla necessità di un’esegesi scientifica illuminata dalla fede.

La questione della rivelazione

La questione dell’esegesi faceva dunque emergere il problema della fede, ridotta, dal pensiero modernistico, a semplice sentimento soggettivo. Strettamente collegata al tema della fede, appare la questione della rivelazione. Nella posizione dei cosiddetti «modernisti» l’enciclica ravvisava una concezione di rivelazione largamente influenzata dalla cultura del tempo. In nome dell’autonomia dello spirito umano si rifiutava infatti di intendere la rivelazione come qualcosa di proveniente dall’esterno dell’uomo. La rivelazione tendeva pertanto ad essere risolta in un’esperienza puramente interiore e, più precisamente, nel sentimento religioso o mistico. In ultima analisi, la rivelazione non sembrava differenziarsi dalla coscienza umana, ma si identificava co n essa. Sentimento religioso, fede e rivelazione, sostanzialmente venivano a coincidere.

Questo portava, ovviamente, all’impossibilità di distinguere fra religioni naturali e religione soprannaturale: anche il cristianesimo, come tutte le altre religioni, non è che il prodotto della natura umana.

L’enciclica ribadisce il rifiuto della nozione in qualsiasi modo naturalistica della rivelazione, precisando che la nozione cattolica di rivelazione si esprime, contro ogni equivoco, nella nozione di rivelazione intesa come «esterna», cioè come comunicazione all’uomo da parte di Dio. La precisazione dell’enciclica può apparire oggi abbastanza ovvia, specialmente alla luce della costituzione dogmatica Dei Verbum del Vaticano II, la quale precisa che la rivelazione non è semplicemente una comunicazione di verità concettuali, ma è l’auto-comunicazione di Dio stesso all’uomo, culminante in Gesù Cristo.

Tuttavia tale apparente ovvietà non è affatto da dare per scontata. La sensibilità della cultura - anche religiosa - attuale tende ad equiparare tutte le religioni esistenti, ponendole tutte sullo stesso piano. Non riappare forse l’idea che la religione (ogni religione, quindi anche il cristianesimo) non sia altro che il prodotto dello spirito umano? Che la cosiddetta «rivelazione« non sia altro che una generica e inesprimibile esperienza del trascendente, esclusivamente frutto del sentimento religioso?

La questione del dogma

In continuità con la nozione modernistica di rivelazione, che si rifà alla nozione di fede intesa come sentimento religioso, emerge la questione del dogma ecclesiastico.

Secondo i modernisti - afferma la Pascendi - è il sentimento religioso che fa emergere Dio nella coscienza, ma lo fa emergere in forma indistinta e confusa. Occorre allora l’intervento dell’intelletto che si impadronisce del sentimento e lo elabora in affermazioni concettuali. Le formulazioni che ne derivano costituiscono appunto i dogmi, i q uali sono dei semplici simboli o strumenti concettuali. Essi servono al credente come norma pratica in funzione della sua esperienza religiosa. Quando viene meno la loro efficacia in ordine alla vita del credente, devono necessariamente essere modificati in vista di un’efficienza rinnovata.

Contro la nozione modernista di dogma, il documento del Papa rifiuta la riduzione del dogma a semplice simbolo o a norma pratica. Riafferma invece che il dogma si collega direttamente alla fede, intesa, però, non nel senso modernista, ma nel senso cattolico, cioè nel senso di derivare dalla rivelazione di Dio i propri contenuti. Proprio di questa fede il dogma va inteso come «norma«, cioè come interpretazione autentica e infallibile.

Alla luce di questi brevi cenni si può comprendere l’importanza dei temi toccati dall’enciclica Pascendi. Essa affronta i fondamenti della fede cattolica, in un momento storico in cui apparivano messi seriamente in discussione. Va certamente detto che i problemi sollevati dagli autori accusati di modernismo erano problemi reali: il rapporto tra fede e storia e tra fede e scienza; la relazione tra coscienza umana e rivelazione di Dio; il rapporto tra il linguaggio umano del dogma e la verità soprannaturale che esso esprime; il senso di un’autorità nella Chiesa... Ma va anche affermato che molte delle soluzioni che venivano prospettate non erano compatibili con la fede cattolica. Di qui la doverosa necessità di un intervento del Magistero.

Possiamo anche aggiungere che il Magistero del tempo non disponeva di una teologia adeguata per affrontare le questioni che la nuova cultura moderna suscitava. In questo senso l’intenzione dell’enciclica non fu quella di risolvere tutti i problemi in questione, ma quella di ribadire l’identità e l’integralità della fede cattolica, riassegnando alla teologia il compito di ripensare le tematiche in questione. Un frutto di questa rinnovata riflessione possiamo certamente riconoscerlo nel Concilio Vatic ano II, senza però pensare che tutti gli interrogativi sorti nel periodo modernistico abbiano trovato adeguata e definitiva soluzione. Essi rimangono, in buona parte, ancora molto attuali e richiedono nuovi sforzi di riflessione. Si tratterà però, alla luce dell’insegnamento della Pascendi, di uno sforzo che dovrà compiersi nel pieno rispetto dell’identità della fede e della tradizione di quel popolo di Dio che è la Chiesa.

* docente di Introduzione alla Teologia contemporanea


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