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In principio era il Logos. Ermeneutica e Sacre Scritture ...

PICCHIARE LE DONNE?! DIO, UOMINI E DONNE: "DARABA". LALEH BAKHTIAR TRADUCE IL CORANO E SPOSTA LE MONTAGNE DEL SIGNIFICATO. Mentre il cattolicesimo-romano parla ancora e solo di "guai ai vinti" e di "caro prezzo" (=caritas), il mondo islamico ri-scopre l’amore (= charitas) della Parola e illumina il mondo - a cura di pfls

venerdì 13 luglio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Daraba in arabo significa principalmente "picchiare", "battere": è solo la terza persona di un passato, l’equivalente di un infinito per l’italiano, ma per secoli è stata, a seconda dei punti di vista, una parola d’ordine, un precetto sacro, uno spauracchio da temere. Nella Sura (capitoli, a loro volta suddivisi in versetti) 4 del Corano, "daraba" è quello che Allah, tramite Maometto, dice agli uomini di fare alle mogli che non ubbidiscono, dopo aver provato ad ammonirle e a farle (...)

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> DIO, UOMINI E DONNE: "DARABA". ---- La Corte d’Assise d’Appello di Brescia ha confermato la condanna a 30 anni di reclusione per Mohamed Saleem, il padre di Hina, la ragazza pachistana uccisa l’11 agosto 2006.

venerdì 5 dicembre 2008

La madre, dopo la lettura della sentenza, è scoppiata in lacrime

Hina, confermata condanna a 30 anni per il padre

Pena ridotta invece a 17 anni per i due cognati della giovane. Lo ha deciso la Corte d’Assise d’Appello di Brescia. La ragazza pakistana è stata sgozzata l’11 agosto 2006 a Sarezzo perché voleva vivere all’occidentale. L’Istituto culturale islamico di Milano: ’’Hanno fatto bene’’. Souab Sbai all’Adnkronos: ’’Verdetto esemplare’’

ultimo aggiornamento: 05 dicembre, ore 17:53

Milano, 5 dic. (Adnkronos) - Trent’anni di reclusione. Nessuno sconto per il padre di Hina Saleem (nella foto), la ragazza pakistana sgozzata l’11 agosto 2006 a Sarezzo, nel bresciano, perché voleva vivere all’occidentale. Pena invece ridotta da 30 a 17 anni per i due cognati della vittima, considerati complici dell’omicidio. E’ questa la sentenza emessa oggi dalla Corte d’Assise d’Appello di Brescia. Ad assistere alla sentenza anche la madre di Hina che, dopo la lettura della sentenza, è scoppiata in lacrime ed è stata assistita dai paramedici del 118. Quella madre che, il giorno dell’omicidio, era in Pakistan.

Hina è stata attirata con una trappola: è stata una telefonata del padre a convincerla a tornare a casa. "Vieni a trovarmi, è arrivato il nostro amico dalla Francia", le ha detto. Un raggiro per seguire, forse, una sentenza di morte già decisa. E’ stata uccisa attorno alle 6 del pomeriggio, ha stabilito l’autopsia, con un taglio alla gola inferto con un grosso coltello da cucina. Tenuta ferma a terra e sgozzata, poi il corpo è stato portato giù per le scale fino al pianterreno, fatto uscire dalla finestra e sepolto nella fossa già scavata nell’orto. Solo diverso ore dopo i carabinieri hanno trovato il corpo senza vita di chi voleva vivere all’occidentale.

Oggi, come già nei mesi scorsi, Mohammed Saleem, il padre di Hina, si era pentito di quell’atroce delitto. "Quel pomeriggio - aveva dichiarato già in passato - non capivo più niente. Se Hina non fosse venuta a casa ma fosse andata con sua mamma in Pakistan non sarebbe successo niente. Quel giorno non ho saputo controllarmi, ho perso la testa e ho ucciso mia figlia".

Abdel Hamid Shaari, presidente dell’istituto culturale islamico di Milano, commenta: "Hanno fatto bene". Per Shaari i giudici "non potevano fare altro". Del resto, conclude "in Italia c’è una legge che punisce chi ammazza. Lui ha ammazzato e giustamente è stato condannato".

Soddisfazione anche da Souab Sbai, Presidente dell’Associazione Donne Marocchine in Italia. ’’Siamo contenti - dichiara all’ADNKRONOS - perché questa è una condanna eccellente ed esemplare, che ridà fiducia nella giustizia e soprattutto più fiducia alle donne ". Il presidente dell’associazione rivolge parole di conforto e di comprensione anche alla madre di Hina a cui dice" oggi può iniziare il suo lutto e sentirsi liberata dal peso del processo".


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