“Isaac Newton. Filosofo della Natura, interprete della Scrittura, cronologo degli Antichi Regni” di Niccolò Guicciardini *
Prof. Niccolò Guicciardini, Lei è autore del libro Isaac Newton. Filosofo della Natura, interprete della Scrittura, cronologo degli Antichi Regni, edito da Carocci, che rivela l’ampissimo spettro degli interessi dello scienziato inglese: profondamente coinvolto in studi alchemici, erudito studioso della Bibbia, della storia della Chiesa e delle antiche civiltà, svolse anche un ruolo di primo piano nella politica e nell’economia britanniche. Di quale importanza è l’opera di Newton?
Isaac Newton. Filosofo della Natura, interprete della Scrittura, cronologo degli Antichi Regni, Niccolò GuicciardiniUna ricerca di “Newton” su Google - questa è la misura oggi dell’importanza di un autore - restituisce milioni e milioni di pagine. Effettivamente, la scienza è ancora basata su leggi e equazioni attribuite a Newton. La “meccanica newtoniana” con le “tre leggi della dinamica di Newton” è alla base di gran parte della fisica e della tecnologia che oggi usiamo con successo per scopi molto diversi fra loro, come costruire un ponte, inviare un satellite in orbita, prevedere i moti delle maree. L’esperimento con i due prismi che Newton elaborò da giovane è ancora oggi proposto come prova della natura composta della luce bianca. Certo, la grande rivoluzione novecentesca della nuova fisica, quantistica e relativistica, ha rovesciato molte concezioni della fisica e dell’ottica newtoniana, ma quest’ultime sono ancora teoria insegnate e applicate. Come storico sono interessato a capire come sia stata possibile questa affermazione, questa attribuzione di priorità, a volte frutto di una ricostruzione agiografica. E poi: chi era Newton? Che cosa ha veramente scoperto e sostenuto? Lo sviluppo recente della storiografia newtoniana si intreccia al destino dell’archivio dei manoscritti che Newton lasciò alla sua morte. Nelle carte private di Newton, infatti, si cela un Newton segreto, per certi versi inaspettatamente lontano dall’immagine dello scienziato celebrato dagli Illuministi e ricordato nei nostri manuali di fisica.
I manoscritti del Newton, diciamo così, “segreto” vennero alienati in un’asta pubblica negli anni Trenta del Novecento, per la precisione nel 1936. Lo smembramento e la dispersione dell’archivio possono solo essere deplorati, eppure proprio tale vendita rese infine disponibili le carte newtoniane agli studiosi. I due principali acquirenti, che si aggiudicarono vari lotti a prezzi stracciati, furono il semitista Abraham Yahuda e l’economista John Maynard Keynes. Yahuda acquistò manoscritti relativi alla cronologia, alla teologia, alla storia della Chiesa e allo studio sulle profezie. È facile immaginare quale fascino questi aspetti dell’opera newtoniana abbiano potuto esercitare sull’animo di uno studioso di origine ebraiche, dato che non sono poche le risonanze fra la cultura ebraica e le convinzioni religiose di Newton. I manoscritti Yahuda sono oggi conservati presso la biblioteca dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Keynes invece donò i manoscritti in suo possesso, prevalentemente relativi all’alchimia e a ricordi biografici, al King’s College di Cambridge.
Keynes è autore di un saggio intitolato “Newton the Man” (1945) che fece scalpore. Dallo studio dei manoscritti in un suo possesso Keynes era arrivato alla conclusione che Newton non era stato il primo scienziato moderno ma piuttosto “l’ultimo dei maghi, l’ultimo dei Babilonesi e dei Sumeri, l’ultima grande mente che ha guardato al mondo visibile e intellettuale con gli stessi occhi di coloro che cominciarono a costruire la nostra eredità intellettuale un po’ meno di diecimila anni or sono”. In effetti i manoscritti Keynes non mancano di destare stupore: qui Newton parla in simboli ed emblemi alchemici, di uno spirito vegetativo che pervade la Natura, di trasmutazioni di metalli, di miti egizi e caldei, della sapienza di Ermete Trismegisto. Chi era dunque Newton? Il matematico che calcola le orbite dei pianeti sposando una visione deterministica della natura spogliando così con la “fredda filosofia” il “terribile arcobaleno” di ogni “incantesimo”, come lamentava John Keats. O piuttosto un eretico che, rinnegando i dogmi del cristianesimo ortodosso, concepiva la filosofia naturale come la ricerca dell’azione provvidenziale di un unico Deus pantokràtor? O, forse, l’ “ultimo dei Sumeri”, un mistico restauratore di una sapienza esoterica paganeggiante?
Come si svolse la sua giovinezza?
Newton nasce nel 1642 in una famiglia di piccoli proprietari terrieri a un paio d’ore di macchina da Cambridge (il giovane Newton non percorse questo tragitto né in macchina né a cavallo, ma a piedi, quando si immatricolò nel 1661 al Trinity College). Vale la pena andare a visitare la sua casa natale a Woolsthorpe, dove è allestito un piccolo museo con tanto di albero di mele. Newton quindi viene al mondo allo scoppio delle guerre civili che dilaniano l’Inghilterra, la Scozia e l’Irlanda. La famiglia e la piccola comunità sono dolorosamente divise su questioni che riguardano la fedeltà al Re e alla Chiesa d’Inghilterra. Che cosa sappiamo del Newton bambino? Poco di certo e molta fantasia. Sappiamo che il padre muore prima della sua nascita, che la madre lo lascia alle cure dei nonni quando dopo tre anni si risposa, che Newton alloggia presso un farmacista di simpatie puritane quando frequenta una Grammar School. Sappiamo anche che legge un libro sulla Mathematical Magic, un repertorio di invenzioni che, secondo le testimonianze raccolte dopo la morte di Newton, i manoscritti sopravvissuti e le incisioni di disegni geometrici ancora ammirati dai visitatori della casa natale a Woolsthorpe, devono aver destato un precoce gusto per l’invenzione tecnica e la destrezza manuale nel piccolo Isaac. Ma quello che nel mio libro mi preme sottolineare è appunto il contesto politico e religioso, a dir poco incendiario, nel quale cresce questo ragazzo un po’ scontroso, pensieroso, destinato a cambiare la scienza del suo tempo. -Non dobbiamo mai dimenticaci che le sue idee, anche le più astratte, sono concepite in un contesto fortemente instabile: nella sua vita Newton vedrà una guerra civile, un re decapitato, una repubblica teocratica, la restaurazione di una monarchia filocattolica, il rovesciamento della stessa per opera di un esercito calvinista, una cisi economica senza precedenti, l’ascesa al trono di un re tedesco che non spiccicava una parola di inglese. La matematica, la fisica e l’ottica di Newton trascendono questo contesto, sono ancora significative per noi, ma ne sono anche condizionate: in una certa misura sono una risposta alle domande che la società cui Newton apparteneva si poneva con ansia e turbamento.
In che modo Newton si avvicinò all’alchimia?
Forse già nella bottega del farmacista che lo ospitava durante i suoi studi giovanili. Sappiamo per certo che nel 1669 si procura fornaci, minerali, solventi, ecc., per intraprendere la ricerca della trasformazione dei metalli vili in oro e forse anche per tentare di produrre farmaci. Gli studi teorici e le ricerche sperimentali in campo alchemico intrapresi da Newton sono attestati da un gran numero di manoscritti, dalla corrispondenza, e dalla presenza nella biblioteca newtoniana di opere pazientemente annotate dedicate all’alchimia. L’immagine di un Newton chino su un alambicco fumante alla ricerca della trasmutazione dei metalli fa a pugni con l’immagine ricevuta dalla tradizione illuminista e positivista dello scienziato attento a non formulare ipotesi non suffragate dall’evidenza empirica. Ma in gran parte il paradosso deriva dal fatto che siamo portati ad applicare a Newton categorie di scienza e di alchimia che non sarebbero state condivise dai suoi contemporanei.
All’epoca lo scienziato era piuttosto un “filosofo della natura” la cui ambizione andava ben al di là di quanto si prefigge oggi un fisico o un chimico. D’altro canto, l’alchimista non era, come vorremmo oggi, un ciarlatano. La denigrazione dell’alchimia è un atteggiamento che comincia a radicarsi in modo diffuso a partire dal Settecento. Nel Seicento, gli alchimisti si dedicavano alla produzione di farmaci, pigmenti e tinture, alla purificazione dei metalli, e spesso le loro competenze nel campo della metallurgia erano ricercate nelle miniere fiorenti nell’Europa centrale. Si può presumere che molti filosofi della natura, come Boyle e Newton, fossero interessati ad entrare in contatto con questi tecnici, i quali possedevano effettivamente conoscenze empiriche sulle proprietà della materia.
Nel Seicento l’alchimia era praticata a corte, nelle miniere, nelle farmacie, nei laboratori di pittori e tintori, e a volte nelle università. Era una disciplina integrata nella cultura del tempo, non necessariamente proibita o clandestina (anche se si ebbero condanne contro la magia e frequenti sono le parodie del mago ciarlatano) e non necessariamente associata a correnti culturali quali l’ermetismo o il misticismo neoplatonico. Si dedicarono all’alchimia importanti contemporanei di Newton, come Locke e Boyle. -Insomma, Newton non era “strano”, era un uomo del suo tempo e sappiamo che era in contatto con una rete di “adepti”. Era certamente convinto che fosse possibile trasmutare i metalli: la sua concezione atomistica della materia d’altronde suggeriva, a lui come a Boyle, che fosse possibile modificare l’arrangiamento dei corpuscoli fondamentali di cui è composta la materia per passare da un metallo all’altro.