ORIENTARSI, OGGI - E SEMPRE. LA LEZIONE IMMORTALE DI KANT, DALLA STIVA DELLA "NAVE" DI GALILEI. Invito alla rilettura dell’opera del 1786, "Che cosa significa orientarsi nel pensiero" - e della "Critica della ragion pura" (1781/1787).
di ROBERTO TIMOSSI (Avvenire, 22.07.2010)
La spiegazione della teoria della gravità ha sempre rappresentato un problema per gli scienziati fin dal tempo dello stesso Isaac Newton. Il fatto che tra corpi dotati di massa si eserciti un’azione a distanza di cui non si conosce con precisione la causa (alcuni teorizzano la presenza di una particella portatrice di forza chiamata gravitone) è stato lungamente considerato un fenomeno quasi esoterico e lo stesso Newton pensò addirittura che per uscire dall’impasse non si potesse fare di meglio che ricorrere all’azione diretta di Dio.
Egli infatti si chiese: «Che cosa c’è nei luoghi quasi vuoti di materia e come avviene che il Sole e i pianeti gravitino l’uno verso l’altro senza alcuna materia densa fra loro?»; e si rispose: «Il sensorium Dei» (il «sensorio» di Dio). Tuttavia oggi, con la tipica disinvoltura di una certa vulgata scientifica, il fisico Erik Verlinde ritiene di risolvere l’enigma della gravità semplicemente proclamando l’infondatezza della newtoniana teoria della gravitazione universale. E c’è da giurare che così facendo, qualcuno riterrà risolta pure la questione della presenza di una causa prima di natura divina.
Ma quale sarebbe dunque la scoperta che annichilirebbe definitivamente la famosa legge gravitazionale di Newton? Si tratterebbe nientemeno che dell’idea di un bizzarro «universo olografico», all’interno del quale la gravità si rivelerebbe una mera illusione. Non pensiamo valga la pena entrare ulteriormente nel merito di una teoria come questa, perché non appare del tutto compiutamente formulata e sicuramente non è ancora scientificamente dimostrata.
Vogliamo invece cogliere l’occasione per evidenziare un aspetto che di solito gli scienziati non colgono o tendono a negare: la presenza talvolta di un vero e proprio atto di fede all’origine dei programmi di ricerca scientifica. Come ha infatti notato anche il fisico e biologo molecolare Edoardo Boncinelli, lo scienziato deve spesso sfogliare la margherita del reale, deve cioè scegliere come un petalo quale strada privilegiare tra una grande quantità di fenomeni naturali sotto osservazione o di ipotesi alternative; e non di rado egli prende una decisione sulla base di un «atto di fiducia» personale, di una soggettiva propensione a sondare per prima una certa direzione piuttosto che un’altra.
La stessa teoria delle stringhe di cui è fautore Erik Verlinde è infatti considerata da molti scienziati una specie di atto di fede, dal momento che non sussistono ancora prove empiriche sufficienti a dimostrarla; mentre c’è chi, come il fisico Lee Smolin, pensa perfino che tali prove non esisteranno mai.
Si tratterebbe insomma di un’ipotesi che, in quanto inconfutabile, non si può definire «neppure sbagliata». In effetti, come non classificare quale pura fede la scelta degli stringhisti di credere senza riscontri empirici o prove razionali nell’esistenza di entità inosservabili come le stringhe? Qui la scienza si avvicina molto alla religione; evento quest’ultimo che preoccupa un astrofisico come Lawrence M. Krauss, il quale parla appunto apertamente della teoria delle stringhe come di un’ossessione religiosa.
Vogliamo allora sperare che anche qualora la tesi della non esistenza della gravità di Verlinde si riveli infondata, l’intera vicenda sia comunque servita a far prendere coscienza di come gli atti di fede risultino usuali e molteplici nell’ambito dell’indagine scientifica. Del resto, senza una fede di fondo nell’intelligibilità del mondo non esisterebbe neppure la scienza.