PER LA RIFLESSIONE. Note sul tema:
Perché ci colpisce il mito della divinità dai due sessi
Ermafrodito il simbolo dell’unione
Storia, mitologia, religione si sono occupate di questa figura
Seguendo Jung si potrebbe affermare che è l’emblema del nostro inconscio
di Umberto Galimberti (la Repubblica, 08.12.2011)
Nessuno di noi è relegato in un sesso. Maschile e femminile ci abitano, contrassegnando l’uno la nostra dimensione cosciente, l’altro la nostra dimensione inconscia. Questa ambivalenza sessuale è decisiva a livello psichico. E il rimuoverla, perché non c’è cultura e civiltà che non lo richiedano per un loro bisogno d’ordine, è un grave danno psichico. Per questo la figura dell’ermafrodita merita la nostra attenzione. E la scultura che torna a Roma dal Louvre è l’immagine di un simbolo potente che abita il nostro immaginario.
Ne parla la mitologia di tutti i popoli antichi, tra cui quella greca, la più vicina a noi, a proposito di Ermes (Mercurio) dalla "duplice natura", ne parla Platone nel Simposio col mito dell’androgino, da cui nacquero maschio e femmina dopo il taglio inferto al suo corpo per volere di Zeus, ne parla la Gnosi che così spiega la partenogenesi di Gesù generato dal femminile e maschile di Maria, ne parla Clemente Alessandrino, maestro di Origene, che allude all’androginia di Cristo, e più recentemente la mistica cattolica con Gerog Koepgen, la cui opera, La gnosi del cristianesimo (1939), ebbe prima l’imprimatur e poi fu messa all’indice, ne parla infine a più riprese l’alchimia con i simboli della coniunctio oppositorum, e da ultimo Jung che vede nell’ermafrodita un archetipo decisivo nella dinamica psichica di ciascuno di noi.
Se tanta storia, mitologia, religione, arte, psicologia si sono intrattenute su questa figura, possiamo, sulla traccia di Jung, riflettere se l’ermafrodita non è il simbolo del nostro inconscio dove tutto è indifferenziato, e da cui l’umanità si è emancipata attraverso le differenze instaurate dalla ragione, che distingue il maschile dal femminile, il giorno dalla notte, la causa dall’effetto, e in generale una cosa dall’altra. Di questo indifferenziato abbiamo esperienza nei sogni dove l’assenza di coscienza "con-fonde" tutte le cose, per cui io sono ad un tempo, maschio e femmina, adulto e bambino, dove naufraga la successione temporale, la sequenza spaziale, dove non vige il principio di non contraddizione e tantomeno il principio di causalità. Di questa "con-fusione" dei codici, l’ermafrodita è il simbolo, nell’accezione greca di syn-ballein che significa "mettere assieme".
Tutto ciò che è inconscio si proietta, per cui la parte femminile dell’uomo si riflette nella donna che si sceglie perché lo rispecchia, così come la parte maschile della donna si riflette nell’uomo che la ritrae. Scissa dalle proprie radici inconsce, la coscienza si inaridisce, diventa unilaterale, diventa "diabolica", dal greco dia-ballein che significa divisione, separazione, massima distanza da sé. E questo perché la nostra totalità psichica ospita la coscienza come "un cerchio minore in un cerchio maggiore" dice Jung, e trascurare tutto ciò che coscienza non è non consente alcuna creazione artistica, poetica e neppure religiosa.
Fuoriuscendo dall’inconscio per costruire la nostra identità di genere, e all’inconscio ritornando per prender contatto con la nostra controparte sessuale, diventiamo uomini e donne "interi" come dice Platone, e come in qualche modo allude anche San Paolo quando dice che "erano due in una sola carne". Il pensiero antico era profondo. Viene da chiedersi se tanta infelicità dell’uomo d’oggi non dipenda da un eccesso di razionalità conscia che più non ha rapporti con il proprio inconscio, se tanta violenza maschile non dipenda dall’aver rimosso la propria dimensione femminile, e se tanta acquiescenza femminile non sia dovuta alla rimozione del proprio maschile. Se questo è vero, l’ermafrodita è un simbolo che chiede la nostra riflessione.