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VIVA L’ITALIA !!!

Costituzione e Retorica. TULLIO DE MAURO ANALIZZA IL DISCORSO DI WALTER VELTRONI E LO CONFRONTA CON QUELLO DI PRODI E DI BERLUSCONI, MA LA DOMANDA FONDAMENTALE E COSTITUZIONALE RESTA SENZA RISPOSTA. Un invito a uscire dal sonnambulismo: "forza Italia" o forza Italia?!!! - a cura di pfls

lunedì 2 luglio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] «Ho scelto di scendere in campo»: così il 26 gennaio 1994 Silvio Berlusconi annunziò il suo ingresso nella vita politica e la formazione di un "Polo delle libertà" e del movimento di Forza Italia. Fu un discorso breve, circa 1300 parole, nemmeno tre cartelle. Non vi si trovano citazioni di nomi propri, di persone precise, con l’eccezione del richiamo al padre e al suo insegnamento. Pochissime le parole che possano risultare mal comprensibili a una parte della popolazione, forse (...)

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> Costituzione e Retorica. TULLIO DE MAURO ANALIZZA IL DISCORSO DI WALTER VELTRONI E LO CONFRONTA CON QUELLO DI PRODI E DI BERLUSCONI, MA LA DOMANDA FONDAMENTALE E COSTITUZIONALE RESTA SENZA RISPOSTA. Un invito a uscire dal sonnambulismo: "forza Italia" o forza Italia?!!! - a cura di pfls

domenica 1 luglio 2007

L’homo novus

di Barbara Spinelli (La Stampa, 28/6/2007)

Walter Veltroni è riuscito in un’impresa difficile, ieri al Lingotto. Candidandosi alla guida del Partito democratico, è riuscito ad apparire come homo novus e al tempo stesso come uomo che non segue le mode, che non lusinga chi è attratto dall’antipolitica, che non si compiace nella denigrazione di chi governa. Homo novus lo è senz’altro: da anni si tiene lontano da apparati, da correnti. Il suo mal d’Africa è stato espressione di questo prudente interiore distanziarsi. In questo somiglia molto ai dirigenti che hanno conquistato ultimamente il favore popolare, in Europa.

A uomini nuovi come Sarkozy e Angela Merkel, Zapatero e Gordon Brown che proprio ieri ha sostituito Blair in Inghilterra. A differenza di alcuni di questi personaggi, tuttavia, Veltroni non si è presentato come politico che vitupera i predecessori, che edifica la popolarità sui frantumi della famiglia cui appartiene. Non tradisce la maggioranza che sta governando, come fece Sarkozy con Chirac: non ha ucciso nessun padre, nessun fratello. Ha espresso solidarietà nei confronti dello scabrosissimo cammino di Prodi, cui ha riconosciuto il primo felice innovamento che è stato l’Ulivo. È stato molto esplicito, quando ha detto che primo compito del Partito democratico sarà il sostegno «deciso e coerente» del governo. Coniugando discontinuità e lealtà si è imbarcato in un’impresa ardua e anche coraggiosa, considerata l’impopolarità del centrosinistra.

Non stupisce questa scelta doppia, almeno per il momento fatta propria: questo somigliare a Sarkozy o Brown e questo desiderio di non identificarsi con loro interamente. Nel primo governo Prodi, tra il ‘96 e il ‘98, Veltroni fu vice primo ministro e diede prova di grande lealtà. Il suo nome non è coinvolto nell’avventura ancora opaca che portò alla defenestrazione del presidente del Consiglio e anche oggi l’intenzione non sembra questa. La lealtà è un ingrediente importante della sua popolarità ed è fatta di intelligente pazienza, di calma, di fiducia. Sono doti che mancano a molta parte della sinistra e del centro.

Eppure Veltroni è stato duro quando ha parlato delle malattie del centrosinistra. L’ha descritto come una coalizione che stenta a decidere, a cominciare dalla legge elettorale. Ha detto che governare è impossibile, quando basta un senatore per paralizzare ogni cosa. Ha denunciato vizi che sono della destra italiana ma anche della sinistra: i corporativismi, lo spirito conservatore, il primato dato non all’interesse generale ma al particolare. «Fare un’Italia nuova» significa superare questi vizi e l’invito era rivolto al governo ma in special modo a sinistra radicale e sindacato. Invocando un patto più solidale fra generazioni in materia pensionistica, ha detto che l’innalzamento dell’età anagrafica «non è una disgrazia» e ha aggiunto che «il sindacato non può e non deve solo tutelare chi ha un posto di lavoro o i pensionati. Deve tutelare i giovani che faticano a entrare nel mondo del lavoro». Di Marco Biagi e Massimo D’Antona ha evocato «il senso dello Stato e l’impegno civile».

I critici diranno che la lealtà nasce dal suo buonismo: questa orribile parola spesso associata al sindaco di Roma. È un epiteto inventato quando era di moda criticare il politicamente corretto. Ma forse la moda è sfinita, non essendo stata efficace e avendo diviso il Paese anziché unificarlo. Anche sui contenuti Veltroni è stato fedele alla storia della sinistra riformatrice. Ha auspicato la sintesi tra cattolici e laici, e al tempo stesso ha difeso i Dico. Ha elogiato l’uguaglianza, pur auspicando l’uguaglianza del punto di partenza e non quella del punto d’arrivo. Ha compreso la questione settentrionale, ma ha scelto Torino come emblema di un «Nord mai contrapposto allo Stato».

Non mancano i rischi: Veltroni, che fin qui è stato paziente, può spazientirsi. Può temere anche - non senza ragione - di esser trascinato verso il basso da vizi e difficoltà del governo. Alcuni suoi gesti, più o meno recenti, son parsi più impazienti del solito. Affascinato dalle prime mosse di Sarkozy, qualche giorno fa, ha detto che sarebbe bello un governo con Gianni Letta, che da decenni è l’uomo fidato di Berlusconi: come se Letta potesse esser equiparato alla personalità, del tutto indipendente, che è il ministro degli Esteri francese Kouchner. E prima delle elezioni del 2006 si scambiò biglietti strani con Casini, durante una conferenza, in cui fece capire che quelli non erano bei tempi: «È il momento di scelte alte, coraggiose. Ma non mi sembra questo lo spirito del tempo».

Denunciare lo spirito del tempo è cosa buona, quasi sempre. È la nota distintiva dell’homo novus. Ma a volte è un modo leggermente narcisista di vivere e commentare la politica, giudicata sempre un po’ noiosa e bassa quando non è fatta da noi.


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