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Tra egoismi, narcisismi e cecità ....

DPEF 2008-2011. UNA NAVIGAZIONE A VISTA. Un duro giudizio di Mario Deaglio. Le forze politiche non conoscono più il Paese e il Paese non conosce più se stesso - a cura di pfls

domenica 1 luglio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Nella migliore delle ipotesi, questo Dpef lascia invariato il quadro globale della finanza pubblica e dell’economia italiana. Non viene affrontato il problema principale della finanza pubblica italiana che è quello di ridurre la spesa, a cominciare dalle pensioni, e questo perché la spesa pubblica non può essere ridotta senza una riorganizzazione dell’amministrazione pubblica che è politicamente molto scomoda. Non si avverte, alle sue spalle, alcun grande disegno di cambiamento, (...)

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mercoledì 4 luglio 2007

Dall’Arci a don Ciotti un appello al governo: «Il Dpef risponda al disagio sociale» ***

A distanza di un anno dalla nascita del governo dell’Unione si registrano nel paese forti segnali di scollamento tra società civile e istituzioni. Il sistema politico-istituzionale appare bloccato e fatica a dare risposte ai soggetti più deboli e svantaggiati.

Secondo le ultime rilevazioni dell’Istat restano inalterate disuguaglianze sociali e territoriali, asimmetrie di genere nella produzione e nel lavoro domestico e di cura, fra le più aspre in Europa. Dieci milioni di cittadini sono al di sotto o lambiscono i limiti della soglia di povertà. Un numero crescente di famiglie fa i conti con la precarietà del lavoro, col problema della casa, con la difficoltà di condurre una vita dignitosa e di prospettare un futuro migliore per i figli.

La precarietà delle condizioni di vita di tante persone genera un diffuso senso di insicurezza che diviene terreno fertile per l’egoismo sociale, la chiusura corporativa, la contrapposizione dei bisogni dei singoli all’interesse generale. Si alimentano ansie e rancori, fobie collettive. In assenza di risposte efficaci, le forze conservatrici strumentalizzano l’emergenza sociale con la politica della paura, inventano nemici su cui scaricare le tensioni, preferibilmente stranieri, emarginati, i soggetti più deboli.

Ma in questo clima sta scivolando sempre più anche tanta parte dell’opinione pubblica democratica, in balia di media che offrono narrazioni distorte e fuorvianti del disagio amplificando l’inquietudine per fornire scorciatoie e capri espiatori.

Appare evidente l’alternativa: da una parte un’idea residuale delle politiche sociali che dirotta sempre maggiori risorse verso strumenti coercitivi degli esclusi per garantire sicurezza agli inclusi; dall’altra un welfare universalistico, capace di andare oltre il modello novecentesco. Una politica che guardi al futuro non può che assumere come priorità l’emergenza sociale e porsi l’obbiettivo di rafforzare il welfare.

Il welfare può divenire un’alternativa di civiltà se è motore di una nuova idea di sviluppo fondato sulla qualità sociale, la dignità e i diritti delle persone, se guarda al principio dell’uguaglianza. Se dà voce alle persone, alimenta relazioni e legami sociali, investe nella ricostruzione dello spazio pubblico. Se la rete di servizi accompagna e sostiene i percorsi di liberazione delle donne, la rielaborazione di ruoli e identità dei generi.

Un nuovo Welfare, capace di impegnare risorse economiche ma anche umane, saperi e pratiche diffuse, energie non riconducibili a semplici capitoli di bilancio, sarà anche capace di orientare lo sviluppo ed affermare nel senso comune del Paese una nuova idea di benessere sottratta alle leggi del mercato.

Il rilancio del Welfare non può venir dopo la ripresa economica e il risanamento del debito pubblico, né può costruirsi in un contesto sociale ulteriormente deteriorato e disgregato da scelte che, sul terreno previdenziale e dei diritti del lavoro, non rispettino il programma con cui l’Unione si è presentata ai cittadini.

In Italia rilanciare il Welfare significa innanzitutto finanziarlo. Il fondo per le politiche sociali deve poter disporre di una quota di spesa pro capite almeno adeguata alle medie Ue. E’ necessario sbloccare il processo riformatore avviato nel 2000 con la Legge 328 e mortificato negli anni successivi dall’applicazione che ne ha fatto il governo delle destre. Vanno definiti i livelli essenziali di assistenza (liveas) attraverso una ricognizione dei servizi attuali e dei bisogni sociali inevasi. Un primo organico intervento sulla non autosufficienza non può essere il punto d’approdo, bensì l’indispensabile base di partenza di un processo che guardi alla piena affermazione dei diritti.

Parallelamente ai liveas va immediatamente mandato a regime il Sistema Informativo Sociale, così come vanno definiti requisiti, profili e percorsi formativi delle professioni sociali al fine di qualificarle e proiettarle verso un mondo del lavoro più dignitoso e meno precario. La proposta di avviare il percorso per un Bilancio Sociale del paese va sostenuta proprio per costruire gli strumenti che consentano una lettura sempre più attenta e rigorosa dei bisogni e una verifica costante dell’efficacia della spesa sociale.

Il decentramento territoriale deve salvaguardare l’unità e la coerenza del sistema nazionale per evitare il rischio di sperequazioni fra una parte e l’altra del paese. La questione del fondo indistinto e dei poteri trasferiti alle regioni in virtù della riforma del titolo V potrebbe essere affrontata adottando il «metodo di coordinamento aperto» sperimentato su scala europea dopo Lisbona.

Infine, un sistema di protezione sociale forte ed efficace non avrà futuro se non si riesce a contrastare la precarietà diffusa non solo nel lavoro, a garantire i diritti sociali e civili per i migranti, ad affermare il diritto all’abitare dando rapida attuazione alla svolta promessa dalle positive conclusioni del tavolo di concertazione sulle politiche abitative. Così come non può subire ulteriori dilazioni l’esigenza di cancellare i peggiori provvedimenti attuati dalla destra in tema di istruzione o di droghe.

Su questi temi il processo riformatore disegnato dal programma dell’Unione deve procedere con maggior determinazione se non si vuole aggravare la distanza tra le fasce più deboli della società e le risposte della politica. Vanno dati segnali immediati di discontinuità, a cominciare dalla destinazione alla spesa sociale della parte più consistente dell’extra gettito fiscale e dalle scelte di prospettiva da assumere col Dpef.

*** Lucio Babolin, Cnca; Paolo Beni, Arci; Marco Bersani, Attac; Luigi Ciotti, Libera; Sergio D’Angelo, Consorzio Drom; Tonio Dell’Olio, Libera; Sergio Giovagnoli, Arci; Patrizio Gonnella, Antigone; Alfio Luchini, Federserd; Michele Mangano, Auser; Giulio Marcon, Lunaria; Fabrizio Nizzi, Action; Giampiero Rasimelli; Annamaria Rivera; Gigi Sullo, Carta; Enrico Pugliese, Università Federico II di Napoli ; Maria Grazia Dente, Movi.


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