“Tra Noè e Gilgamesh la vera storia di Atlantide”
Glaciazioni e diluvi hanno plasmato le prime civiltà e rivelano il clima del futuro
di Gabriele Beccaria (La Stampa TuttoScienze, 14.11.2012)
Kurt Lambeck indica le mappe e racconta il suo ennesimo viaggio nel tempo. Scienziato multidisciplinare, oggi sarà a Roma, al Quirinale, insieme con gli altri premiati dalla Fondazione Internazionale Balzan per gli studi sul passato e sul futuro della Terra. L’Egeo - spiega - è uno dei luoghi che testimoniano quanto sia stata tormentata la storia recente del nostro pianeta, periodicamente ricreato dalle bizzarrie del clima. E che ci ricorda che ulteriori cambiamenti sono alle porte.
Professore, al cuore delle sue ricerche ci sono molti elementi, ma il più spetta colare quello che colpisce la nostra immaginazione e sconvolse i nostri antenati sono i bruschi cambiamenti del livello dei mari.
«I cambiamenti dei mari furono processi complessi, diversi a seconda dei luoghi. Sono stati il risultato dello scioglimento di enormi distese di ghiaccio alla fine di ogni glaciazione, ma anche dei modi in cui il pianeta reagì, a cominciare dal campo gravitazionale. Ecco perché lo studio dei cambiamenti nell’Egeo ha richiesto l’accumulo di dati diversi, da quelli oceanografici a quelli archeologici, in una continua oscillazione multidisciplinare».
I suoi viaggi nel tempo, in realtà, si spingono più indietro: fino a quando?
«Fino a 20 mila e a 140-150 mila anni fa, in corrispondenza delle ultime ere glaciali. Studiare ciò che accadde nei periodi intermedi - quelli interglaciali - è importante, perché permette di raccogliere informazioni con cui capire meglio sia il clima attuale sia come potrà evolvere».
Se tra 20 e 10 mila anni fa l’Egeo era una terra com patta, com’era il resto del mondo?
«I ghiacci ricoprivano il Nord Europa così come l’America settentrionale e tutte quelle masse d’acqua risucchiate dai mari e dagli oceani ne fecero crollare il livello».
Di quanto?
«Di almeno 120-130 metri».
Lei ipotizza che quel mondo così diverso dall’attuale deve avere avuto conseguenze de cisive sugli albori della civiltà, facilitando i flussi delle mi grazioni verso il Mediterra neo e il Golfo Persico.
«Quando gli strati di ghiaccio cominciarono a sciogliersi, i mari si innalzarono rapidamente e la mia ipotesi è che le popolazioni sparse sulle coste furono costrette a spostarsi costantemente. Nel Golfo Persico ci furono periodi in cui l’acqua allagò le terre a un tasso di 1 km l’anno. Poi, 6 mila anni fa, l’avanzata si interruppe e iniziò l’era degli insediamenti permanenti. Credo che i sumeri abbiano risalito la Mesopotamia, finché si fermarono per fondare le loro città. Ma solo l’archeologia subacquea potrà fornirci le prove definitive».
Lei è tra gli studiosi convinti che le tracce della prima espansione umana, oltre l’Africa, giacciano nascoste sotto i mari.
«Sì. E’ là che dovremo cercare molte testimonianze». Forse sono quelle prove na scoste la vera Atlantide? «Atlantide è la materializzazione della memoria collettiva dell’umanità, che per un lungo periodo ha lottato contro la forza delle acque. Non a caso i miti del diluvio si diffusero in ogni cultura, incarnandosi nell’eroe Gilgamesh e nel dio Enki fino a Noè. E, oltre che tra sumeri ed ebrei, la stessa leggenda si ritrova ovunque, dall’America fino all’Australia».
Le sue ricerche sono un esempio di scambi continui tra discipline diverse: in concreto che cosa significa?
«Ho cominciato la mia carriera nel settore dei programmi spaziali, studiando come la gravità influenzasse le orbite dei satelliti. Ma per definire questi modelli era necessario capire la tettonica e per quantificare quest’ultima ho dovuto rivolgermi al problema della “viscosità”, cioè come si deformano le placche. Così ho approfondito la geofisica e da questa sono arrivato alla glaciologia e, mentre i dati si accumulavano, ho allargato le collaborazioni con team di oceanografi e archeologi. E’ un viaggio eccitante».
Che cosa insegna il passato sul clima di oggi?
«Da un secolo stiamo registrando cambiamenti evidenti, dalle temperature ai mari, ma, quando analizziamo le variazioni del passato, non disponiamo ancora di strumenti abbastanza sofisticati per capirne la velocità rispetto a quelli del presente».
La sua conclusione?
«Che i cambiamenti a cui assistiamo sono anomali: non c’è dubbio che siano dovuti all’influenza dell’uomo! ».