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L’Italia e lo spirito di Assisi ...

CHIARA D’ASSISI, FRANCESCO, E LA VISIONE DELL’ALLATTAMENTO. INTERVISTA A CHIARA FRUGONI SUL SUO RECENTE LAVORO "UNA SOLITUDINE ABITATA" - a cura di pfls

La scelta di Chiara certamente fu precisa. Quello che fa impressione è che lei, pur avendo solo diciotto anni, aveva le idee chiarissime. E al suo progetto lei si mantiene fedelissima sia quando c’è Francesco, sia quando Francesco non c’è più.
martedì 10 luglio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Il simbolo del latte, in realtà, non ha niente di pruriginoso perché ci sono una serie di testi, che Chiara poteva ben conoscere, in cui si dice che Cristo, allargando le braccia in croce, allatta i fedeli con il latte del Vangelo che è molto più dolce del vino dell’Antico Testamento. Qui Chiara succhia tutto l’insegnamento da Francesco, che è il Vangelo, però quando lei si guarda in questo latte lo vede diventare d’oro [...]
FRANCESCO E CHIARA A SANTA MARIA DEGLI ANGELI, UN FUOCO (...)

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> CHIARA D’ASSISI, FRANCESCO, E LA VISIONE DELL’ ALLATTAMENTO. INTERVISTA A CHIARA FRUGONI --- QUALE FRANCESCO? Così Giotto tradì la missione del Poverello (di Tomaso Montanari)

venerdì 11 dicembre 2015

In un saggio di Chiara Frugoni la vicenda del Poverello d’Assisi. E come la sua figura fu poi manipolata dalla Curia

Così Giotto tradì la missione di San Francesco

Negli affreschi della Basilica superiore viene celebrato fra cavalieri, cardinali e pontefici

di Tomaso Montanari (la Repubblica, 11.12.2015)

      • IL LIBRO Quale Francesco? di Chiara Frugoni ( Einaudi, pagg. 608, euro 80)

Quale Francesco? Quello del meraviglioso testamento, che «con un soprassalto di disperata energia» vuole ancora i suoi frati «illetterati e sottomessi a tutti», o quello clericale e conformista degli affreschi in cui Giotto impagina una storia riscritta da san Bonaventura (capo dell’ordine, ma anche cardinale), e bollata dalla Curia romana? Quello davvero minore, che si firma «frate Francesco piccolino, vostro servo» e passa la vita tra i lebbrosi e gli ultimi di ogni specie, o quello che è celebrato per sempre sulle pareti della Basilica superiore di Assisi (circondato da cavalieri vestiti di vaio, cardinali e pontefici coperti d’oro e di porpora), cioè il Francesco reso letteralmente inimitabile dal miracolo delle stimmate, e dunque in qualche modo sterilizzato, depotenziato, disinnescato? E i suoi veri seguaci sono quelli rasati e calzati che studiano, posseggono e scalano la gerarchia fino al soglio pontificio, o sono i frati scalzi, barbuti, disposti a seguire il grido modernissimo di Francesco: «Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà»?

Fin dal titolo, è questa la domanda che percorre le oltre quattrocento pagine dell’ultimo, bellissimo libro di Chiara Frugoni. È l’eterna domanda che investiga e interroga il rapporto tra il carisma profetico e la sordità del potere istituzionale. Non è difficile sentirla attuale oggi, quando ci chiediamo se un altro Francesco vada riconosciuto nel candore evangelico di affermazioni e atti che appaiono rivoluzionari, o invece nella vischiosità ineludibile di un potere mondano che processa giornalisti e non accredita ambasciatori perché omosessuali. O quando ci chiediamo se Assisi sia - a fine Duecento come oggi - un epicentro di vita spirituale, o invece una grande macchina da soldi, e se gli affreschi stessi della Basilica, oggi messi a dura prova dal respiro delle masse, siano ancora un testo vivo, o solo un’attrazione moralmente afona.

Chiara Frugoni cerca il suo Francesco, posando uno sguardo nuovo - uno sguardo felicemente infantile: cioè limpido, aperto, incredibilmente concreto - sul ciclo di Giotto. Lo fa da storica, ma conoscendo minuziosamente il lavoro degli storici dell’arte, e interloquendo con i migliori: per esempio con Luciano Bellosi per la cronologia e le attribuzioni, con Bruno Zanardi per la genesi materiale, con Donal Cooper e Janet Robson per la lettura iconografica. E il risultato è straordinariamente importante: perché ci restituisce assai aumentata la conoscenza di uno dei testi figurativi più alti, e controversi, della nostra storia culturale.

Come tutti i libri davvero riusciti, Quale Francesco? parla a tutti. Saranno gli specialisti a vagliare la proposta di leggere i sei candelabri visibili nella Preghiera di San Damiano come un’allusione a santa Chiara e alle sue cinque prime sorelle; a discutere sulle implicazioni del profilo diabolico che la Frugoni ha per prima, e indiscutibilmente, individuato nelle nuvole che portano in cielo l’anima di Francesco appena morto; a soppesare il nesso tra le profezie dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore sull’avvento di un ordine «colombino» e la presenza ricorrente delle colombe nei grandi riquadri giotteschi; o, ancora, a valutare il ruolo di menabò iconografico che può aver avuto il perduto aurifrisium (cioè il paliotto tessuto di fili d’oro) donato all’altare della Basilica da Nicola IV, primo papa francescano e grande promotore della decorazione pittorica assisiate.

Ma - anche grazie ad una prosa felicissima, ad una eccezionale capacità di sedurre il lettore - la domanda centrale del libro parla invece a tutti: ed è difficile staccarsi dal filo della narrazione, dalla malìa di strepitose fotografie di dettaglio che permettono di vedere il ciclo di Giotto come forse non lo si è mai visto prima. E quella domanda è: se Francesco (morto nel 1226) avesse potuto guardarsi nello specchio di Giotto (1288-92 circa), si sarebbe riconosciuto? La risposta della Frugoni è no: ed è un no profondamente convincente.

Emblematico è il caso del presepe di Greccio: un grande evento popolare, in cui Francesco fece celebrare la messa natalizia della notte alla presenza di un bue e di un asino in carne ed ossa, viene invece raffigurato come una specie di rappresentazione simbolica, con gli animali ridotti a piccole statue di terracotta, con i poveri fuori della porta, con lo stesso Francesco rivestito da una improbabile dalmatica diaconale dorata.

Un Francesco prigioniero del suo stesso ordine, insomma: e Francesco prigioniero sarebbe un perfetto sottotitolo per il libro. Specie pensando ancora al Testamento, dove il santo si fa povero fino a spogliarsi della sua stessa volontà, e con essa del radicalismo del suo progetto: «E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi. E così voglio essere prigioniero nelle sue mani».

Uno dei tradimenti contro il vero Francesco riguarda da vicino i nostri giorni. Nella quarta campata della parete nord, i committenti chiedono a Giotto di dipingere un Francesco pronto a gettarsi nel fuoco per sbugiardare e umiliare il Sultano, e i musulmani in genere. Ma la Frugoni ricorda che il fondatore aveva ordinato ai suoi frati di vivere anche tra i non cristiani «senza liti, senza dispute », «non con l’abituale criterio della contesa dottrinale contro Ebrei od eretici, ritenendosi soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio, dunque anche ai musulmani ... Solo se si fosse creato un clima di reciproco rispetto, se fosse piaciuto a Dio, i frati avrebbero potuto parlare di Cristo e della loro fede». Ma - continua la Frugoni - «quando la ritroviamo negli affreschi di Assisi, da una predica per convertire siamo passati a una sfida per vincere ».
-  Mai come oggi, capire quale Francesco significa decidere quale futuro.


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