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A Mikhail Gorbaciov e a Karol J. Wojtyla ... per la pace e il dialogo, quello vero!!!

"AVREMMO BISOGNO DI DIECI FRANCESCO DI ASSISI". LA RIVOLUZIONE EVANGELICA, LA RIVOLUZIONE RUSSA, E L’ "AVVENIRE" DELL’UNIONE SOVIETICA E DELLA CHIESA CATTOLICA. Le ultime riflessioni di Lenin raccolte da Viktor Bede - a cura di Federico La Sala.

«Io non sono in grado di affermare se i colloqui riferiti rappresentano una condanna della sua opera; ciononostante possono indurre anche noi a una riflessione».
venerdì 11 maggio 2012 di Maria Paola Falchinelli
[...] Alla presenza di un ex-prete ungherese, suo collega giornalista a Parigi e suo confidente, sicuro dell’imminenza della morte - come avevano affermato i medici - avrebbe dichiarato: «Ho sbagliato. Senza dubbio č stato necessario liberare masse di persone dalla repressione, ma i nostri metodi hanno avuto, come conseguenza, l’oppressione e il terrificante massacro di altri oppressi». Proseguiva, rivolto all’amico ungherese: «Tu sai che la mia malattia mi porterą presto alla morte e mi (...)

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> "AVREMMO BISOGNO DI DIECI FRANCESCO DI ASSISI". LA RIVOLUZIONE EVANGELICA, LA RIVOLUZIONE RUSSA, E --- "IL SOLE DEI MORTI" (1923). Ivan Šmelėv, la veritą che grida e che bisbiglia (di Alessandro Zaccuri).

venerdì 16 luglio 2021

Riscoperte.

Ivan Šmelėv, la veritą che grida e che bisbiglia

Uscito in Francia nel 1923, “Il sole dei morti” viene tradotto solo ora in Italia. Č la cronaca dei mesi terribili trascorsi dallo scrittore nella Crimea dilaniata da miseria e sospetto

di Alessandro Zaccuri (Avvenire, venerdģ 16 luglio 2021)

L’ora della rivoluzione č arrivata anche in Russia, ma non č andata come previsto. Al posto della libertą, una nuova oppressione. Al posto dell’uguaglianza, altre ingiustizie. Al posto della prosperitą promessa, la fame che incattivisce e uccide, perņ almeno non fa distinzione. In Crimea, nel biennio terribile 1920-1921, la carestia č ovunque, nelle ville dei signori e nelle case dei contadini. Si sopravvive come si puņ, quando si puņ. Abbrustolendo i semi dell’uva e macinando mandorle, mungendo gli ultimi residui di latte dalle mucche ischeletrite e sperando che il capretto, fattosi grande, dia abbastanza grasso per superare il prossimo inverno. A meno che qualcuno non se la rubi prima, quella bestia prodigiosa. E allora gił con le lacrime e con le maledizioni, avanti con le recriminazioni e le accuse.

Di questa umanitą disperata fa parte Ivan Šmelėv, che prima della Rivoluzione di Ottobre era uno scrittore di successo e dell’epopea bolscevica, per un momento, aveva immaginato di poter diventare il cantore. Adesso č come imprigionato nella sua dacia in Crimea, costretto a giustificarsi perfino dei libri in suo possesso. Che sono, tra l’altro, i libri che lui stesso ha scritto, ma nel regime comunista esistono solamente regole, non eccezioni. Anzi, no: le eccezioni sono contemplate, ma vanno tutte a favore del caporione di turno e della sua banda di razziatori e fracassatori.

Dove passano loro, non resta che desolazione. «L’immondezzaio incombe, dilaga - annota Šmelėv -. C’č modo di sfuggirgli? Sģ, nel Nulla». Parole tanto pił tremende se si considera che l’autore non era affatto un nichilista. Devoto alla tradizione ortodossa, Šmelėv (che era nato a Mosca il 3 ottobre 1873) morģ improvvisamente nei pressi di Parigi il 24 giugno 1950, nel medesimo giorno della sua ammissione in monastero, alimentando una sorta di pia leggenda che fa di lui un santo e, forse, addirittura un martire.

In esilio in Francia dal 1923, all’indomani della Seconda guerra mondiale si era dovuto difendere dall’accusa di collaborazionismo per aver pubblicato una serie di articoli sull’unico giornale in lingua russa attivo a Parigi e controllato, come prevedibile, dagli occupanti nazisti. Anche in quell’occasione, Šmelėv si era rifatto, in maniera tanto sincera quanto ingenua, a una motivazione spirituale: «Sia pure attraverso un foglio nemico - aveva sostenuto - intendevo “bisbigliare” la veritą ai miei lettori». Si tratta, in definitiva, dello stesso compito che viene assolto da Il sole dei morti, uno dei capolavori di Šmelėv, ammirato a suo tempo da Thomas Mann e finora mai pubblicato in Italia, nonostante una traduzione fosse in cantiere gią nel lontano 1937, con un ritardo comunque considerevole rispetto all’edizione originale, apparsa in Francia nel 1923.

Il libro esce ora da Bompiani (pagine 392, euro 20,00), magnificamente curato da Sergio Rapetti, lo studioso (e animatore editoriale) al quale si devono contributi fondamentali alla conoscenza della letteratura russa contemporanea, a partire dall’opera di Solženicyn. Il sole dei morti č, appunto, la cronaca dei mesi terribili trascorsi dallo scrittore nella Crimea dilaniata dalla miseria e dal sospetto. Ed č un libro che non bisbiglia: grida. Č il diario di una solitudine, appena mitigata dalla presenza accennata della moglie, ma resa ancora pił acuta dall’apprensione per la sorte del figlio, che ne frattempo č gią stato liquidato come controrivoluzionario. Del resto, basta poco per essere bollati come nemici del popolo.

La colpa di Šmelėv e dei suoi compagni di sventura, infatti, consiste sostanzialmente nel trovarsi a soggiornare in una localitą considerata un ricettacolo di borghesi (non per niente, una ventina di anni prima Cechov aveva ambientato La signora con il cagnolino tra gli alberghi lussuosi e le spiagge indolenti di Jalta). Šmelėv sopporta pił degli altri, e non soltanto perché puņ fare affidamento su qualche gallina non meno tenace di lui.

Da scrittore e da credente, contempla il Nulla che incombe, ma non se ne lascia conquistare, neppure quando il mistero della Nativitą di Cristo sembra profanato dall’apparizione di un «bambino-morte », senza dubbio la pił straziante fra le numerose figure infantili che si affacciano durante il racconto, spesso per domandare una briciola di pane o per annunciare un’ulteriore sventura. Anche in questo universo devastato, perņ, la Provvidenza trova modo di manifestarsi, per esempio attraverso il dono inatteso recapitato per conto di un vecchio tataro poco disposto a fare distinzione fra il Dio dei cristiani e l’Altissimo del Corano.

Šmelėv č fin troppo consapevole di vivere in un tempo apocalittico, la minaccia dell’Anticristo č troppo evidente per poter essere ignorata. Eppure, a suo modo, lo scrittore non smette di sperare nella Risurrezione. Non diversamente da lui si comporta l’amico medico, quello che a Londra aveva comprato un orologio nella convinzione che, presto o tardi, avrebbe segnato l’avvento della rivoluzione. Ora che tutto č compiuto, ha trasformata in bara per la moglie l’angoliera nella quale la defunta conservava le sue confetture preferite. Chissą che colpo di scena, ripete, quando alla fine dei tempi lei se ne uscirą dall’armadio, tutta profumata di albicocca: «Lascerą a bocca aperta gli Arcangeli! E lo stesso Domineddio...».


      • Scheda editoriale *

Il sole dei morti

Ivan Sergeevič Šmelėv

Penisola di Crimea, 1920-1921. La Riviera russa, devastata dalla rivoluzione e dalla guerra civile, č teatro della vendetta dei vincitori. Nella terra dei cimmeri, dove un mito degli antichi greci collocava la porta dell’Ade, divampa il moderno inferno dello sterminio dei “nemici del popolo”. Dall’alto di una casetta su un poggio affacciata su Alušta, cittadina incastonata tra i monti e il Mar Nero, il Narratore, che č l’autore stesso, assiste all’agonia per fame, saccheggi e abbandono di intere famiglie con bambine e bambini, arti e mestieri, vigne e frutteti e campi, e degli animali domestici, che deperiscono e muoiono insieme agli umani.

Ivan Šmelėv, scrittore reputato e famoso in Russia fin dai primi anni del Novecento, pur nella catastrofe in atto sceglie di non andarsene per cercare di salvare il figlio, arrestato e scomparso. Quando avrą bussato a lungo e invano alle porte del nuovo Potere, abbandonata ogni speranza, si rassegna ad emigrare. Ospite di Ivan Bunin in Francia, comporrą in pochi mesi del 1923 Il sole dei morti, primo di tanti suoi libri diventati popolari nella “Russia all’estero” e infine ritornati nella Russia postsovietica in innumerevoli ristampe. Šmelėv stesso ha voluto per Il sole dei morti il sottotitolo di epopea: all’afflato epico e lirico di una grande penna si unisce la potente testimonianza su una tragedia epocale a lungo mistificata e rimossa, restituita in presa diretta nelle esistenze concrete delle persone che la subirono.

Ivan Sergeevič Šmelėv

Ivan Sergeevič Šmelėv č nato a Mosca nel 1873 ed č morto esule nel 1950 in Francia. Agli inizi del 1900 č stato tra gli autori di punta della Casa editrice e rivista “Znanie”, apprezzato da Gor’kij e Korolenko. Per Šmelėv e altri la critica successiva ha individuato il termine di “realismo critico”, pił permeabile alle suggestioni del coevo simbolismo. Nei suoi racconti e romanzi si riflettono il periodo rivoluzionario 1905-1917 (Il cittadino Uklejkin, 1908; Memorie di un cameriere, 1911; Ciņ č stato, 1919-1922) e la guerra civile (Il sole dei morti, 1923). Emigrato in Francia, scrisse numerosi racconti e romanzi, ambientati sia nella sua terra, della cui lingua restņ raffinato cultore e novatore, sia nella realtą e nei tormenti dell’esilio. Straordinarie opere di spiritualitą popolare sono quelle che lo hanno reso pił famoso tra i lettori russi: Pellegrinaggio, 1930-31, e L’anno del Signore, 1934-1944.

*Bompiani


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