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DANTE E LA "MONARCHIA" DI AMORE. L’Arca dell’Alleanza, il Logos, e l’ordine di Melchisedech...

DANTE ALIGHIERI (1265-1321)!!! LA LINGUA D’AMORE: UNA NUOVA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO. CON MARX E FREUD. Una "ipotesi di rilettura della DIVINA COMMEDIA" di Federico La Sala (in un "quaderno" della Rivista "Il dialogo"), con prefazione di Riccardo Pozzo.

AL DI LÀ DELL’EDIPO E DEI VECCHI HEGEL HEIDEGGER HABERMAS E RATZINGER. Nel 200° anniversario della pubblicazione della "Fenomenologia dello Spirito" di Hegel (1807)
martedì 23 ottobre 2007 di Maria Paola Falchinelli
L’Arca dell’Alleanza del Logos e il codice di Melchisedech
La Fenomenologia dello Spirito... dei “Due Soli”. Ipotesi di rilettura della “Divina Commedia”.
di Federico La Sala
IL DIALOGO/Quaderni di teologia, Martedì, 24 luglio 2007

VIRGILIO A DANTE: "«[...]Dunque: che è? perché, perché restai?/perché tanta viltà nel core allette?/perché ardire e franchezza non hai?/poscia che tai tre donne benedette/curan di (...)

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> DANTE ALIGHIERI BATTE HABERMAS E RATZINGER. Una "ipotesi di rilettura della DIVINA COMMEDIA" di Federico La Sala (nei "Quaderni di teologia" della rivista "Il Dialogo"), con prefazione di Riccardo Pozzo. E l"l’homo de sinistrà" iniziò a convertirsi....

martedì 7 agosto 2007

Quella materia informe nelle mani del Principe

In un volume le lezioni di Louis Althusser su Niccolò Machiavelli e dell’uso creativo che ne ha fatto Marx. Un percorso di ricerca tutt’ora fertile per pensare una politica della trasformazione

di Fabio Raimondi (il manifesto, 04.08.2007)

Va dato merito a François Matheron d’aver raccolto in Politique et Histoire, de Machiavel à Marx (Seuil, pp. 394, euro 23) le lezioni tenute da Louis Althusser tra il 1955 e il 1972. L’attenzione per i classici del pensiero politico moderno, durante l’elaborazione dei suoi scritti più noti, da Pour Marx ai saggi di Lire le Capital (1965) fino agli Éléments d’autocritique (1972-74), è testimoniata dal corpo a corpo con le filosofie della storia (da Montesquieu a Marx) nel corso del 1955-56, con Machiavelli (nel corso del 1962), autore che l’ha affascinato molto più di Marx; e, infine, con Rousseau, nel corso del 1965-66, vagliato attraverso il confronto con Hobbes e Locke.

Il divenire della storia

L’interesse di Althusser per il «continente storia» aperto da Marx si mostra innanzitutto, in aperta polemica con Sartre e con tutto lo storicismo, nell’analisi delle filosofie della storia, nate nel XVII secolo in seguito alla progressiva ascesa della borghesia e costruite attorno a un’unità di senso (il progresso, la ragione, l’interesse o la libertà), che consentiva la ricostruzione apologetica del processo di affermazione dell’economia di mercato. Anche il giovane Marx, legato a una «filosofia della storia, fondata sull’idea filosofica dell’essenza umana» alienata e da emancipare, comprenderà solo poi che il paradosso delle filosofie della storia sta nel fatto che «hanno per oggetto e contenuto la stessa materia storica, ma la comprensione della materia storica non emerge dalla storia». Ragione per cui «la storia non è conosciuta attraverso se stessa», ma attraverso una norma «trans-storica» (Dio, Provvidenza, Essenza umana), anche se poi «questa norma si rivela profondamente legata alla storia», perché «è essa stessa un elemento, un avvenimento, un fatto storico. Il vizio filosofico della filosofia della storia dipende dal fatto che il filosofo della storia fa della propria coscienza presente la norma trascendente in nome della quale giudica la storia».

Per Althusser questa è dunque la premessa da cui Marx parte per «distruggere la filosofia della storia» riportando «la norma, che essa impone alla storia, alla storia stessa». Si dà scienza della storia, anche se la norma stessa è storica, perché Marx non mette in relazione solo le «condizioni sociali» (lo «Stato») e l’«ideologia» (la «coscienza») della storia, ma anche le sue «condizioni economiche» (le «forze di produzione»). In questo modo il materialismo storico scopre «che la totalità di una società storica determinata comprende in sé il principio stesso del proprio divenire e della propria trasformazione: la contraddizione tra forze di produzione e rapporti di produzione». Il «marxismo (materialismo storico), dunque, non è un sapere assoluto ma una scienza aperta», perché continuamente determinata dall’esito della lotta di classe.

È a questo punto che la riflessione di e su Machiavelli interviene a precisare l’ipotesi marxiana. Il suo «anti-utopismo», infatti, consiste nell’affermare che uno stato «nuovo» può essere costruito solo per l’intervento di una forza esterna su una «materia» (politica) inerte. Uno stato corrotto non si cura da sé, ma necessita di una forza esterna che lo destrutturi e poi gli ridia forma. Ma, proprio perché esterno, il tempo di questo «avvenimento» è imprevedibile, legato a una «contingenza radicale».

L’intollerabile virtù

n queste circostanze coesistono «l’impossibilità di mostrare il legame tra la necessità che annuncia il Principe nuovo e la contingenza radicale della sua nascita. Colui che deve fondare l’ordine è richiesto da una necessità storica, ma è anche colui che deve immettere, nel disordine dei tempi, nel puro negativo della fortuna, il positivo e l’ordine della necessità che produrrà la sua virtù».

Non vi è alcun luogo in cui un soggetto esista in forma potenziale o inconsapevole (l’Italia, il proletariato, la moltitudine), ma solo un vuoto ontologico radicale, dove non esiste nemmeno la «natura umana». Machiavelli pensa la politica senza ricorrere all’ontologia e quindi all’antropologia, differenziandosi sia da Spinoza sia da Hobbes. Un gesto ripreso solo dal Marx maturo, visto che nella Questione ebraica la carica rivoluzionaria del proletariato sta nel fatto che la contraddizione tra «essenza umana e inumanità della sua esistenza» è «ontologicamente intollerabile». Un gesto che molto marxismo non ha mai compreso, ma che anche molte alternative a esso continuano a praticare nell’illusione di poter fondare nell’ontologia l’andamento delle lotte.

Nessuna filosofia della storia è dunque pensabile, perché come nessuna «natura umana» fonda la politica, così nessuna teoria del cambiamento può fondare la storia. Per questo i «concetti» machiavelliani sono diversi da quelli del pensiero politico moderno e per questo la sua riflessione continua a essere un punto di riferimento per tutti coloro che vogliano provare a pensare un «inizio radicale» non politicamente derivabile dalle condizioni presenti. L’«assolutamente Nuovo» non è dunque la repubblica né alcun tipo di principato o altro che già esista, ma «l’accadimento di una forma politica non prefigurata nella realtà. Un avvenimento non concettualizzabile sotto una qualunque forma, antica o moderna». Machiavelli pare così arrestarsi di fronte alla regola prudenziale che afferma la necessità di prepararsi a cogliere l’occasione, che si manifesterà come un evento (incontro o rottura) imprevisto.

Solo Jean-Jacques Rousseau prima di Marx ha seguito Machiavelli nell’esporre l’aleatorietà del processo politico, perché pensa la storia non come continuum temporale, ma sulla base di una serie di rotture (ora naturali ora umane), cioè di «salti» che introducono ciascuno una regola contingente facendola diventare necessaria; dato che «la struttura dei salti è diversa per ciascuno» e «ogni salto è specifico di ogni tappa», allora «una legge specifica governa ciascuna delle fasi ed è la legge della loro struttura».

In Rousseau Althusser vede dunque la possibilità di pensare una storia differenziale, cioè una storia priva di un piano trascendentale, formata da una pluralità di storie, mosse ognuna da una propria regola, e interagenti con altre storie in modo contingente ossia senza seguire il percorso preordinato di uno sviluppo unico e necessario.

L’inaspettato miracolo

Ogni storia, dunque, ha in sé la propria regola e non c’è nessun tempo (ideologico) unico e universale e quindi nessuna storia universale, ma solo specifiche strutture di storicità, che vanno di volta in volta individuate e portate alla luce esaminandone, come ad esempio ha fatto Michel Foucault nel caso della follia o della clinica, lo sviluppo. Quest’ipotesi fa saltare l’ideologia delle «magnifiche sorti e progressive» del movimento operaio internazionale e costa ad Althusser l’accusa di non essere marxista, per quanto egli abbia sempre cercato di spiegare come proprio questa concezione della storia sia quella inaugurata - benché non svolta - da Marx a partire dal Capitale.

Anche per Rousseau la società nasce dal suo vuoto (lo stato di natura), in cui non c’è alcuna necessità e teleologia, a causa di un incontro improvviso e inaspettato: quello di un uomo con un altro. La storia, segnata da continue ma imprevedibili rotture è posta sotto il segno della «precarietà» e della continua trasformazione, tanto che mantenere l’unità (del popolo ad esempio) «sembra un miracolo». Necessità di forma e sua impossibilità caratterizzano dunque, per Althusser, l’agire politico dell’uomo, ma solo affrontando quest’insanabile conflitto si apre lo spazio della soggettivazione.


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