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DANTE E LA "MONARCHIA" DI AMORE. L’Arca dell’Alleanza, il Logos, e l’ordine di Melchisedech...

DANTE ALIGHIERI (1265-1321)!!! LA LINGUA D’AMORE: UNA NUOVA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO. CON MARX E FREUD. Una "ipotesi di rilettura della DIVINA COMMEDIA" di Federico La Sala (in un "quaderno" della Rivista "Il dialogo"), con prefazione di Riccardo Pozzo.

AL DI LÀ DELL’EDIPO E DEI VECCHI HEGEL HEIDEGGER HABERMAS E RATZINGER. Nel 200° anniversario della pubblicazione della "Fenomenologia dello Spirito" di Hegel (1807)
martedì 23 ottobre 2007 di Maria Paola Falchinelli
L’Arca dell’Alleanza del Logos e il codice di Melchisedech
La Fenomenologia dello Spirito... dei “Due Soli”. Ipotesi di rilettura della “Divina Commedia”.
di Federico La Sala
IL DIALOGO/Quaderni di teologia, Martedì, 24 luglio 2007

VIRGILIO A DANTE: "«[...]Dunque: che è? perché, perché restai?/perché tanta viltà nel core allette?/perché ardire e franchezza non hai?/poscia che tai tre donne benedette/curan di (...)

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> DANTE ALIGHIERI (1265-1321)!!! LA LINGUA D’AMORE: UNA NUOVA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO. --La rivoluzione del Dante minore. Epistola a Cangrande, nuove prove dell’autenticità

lunedì 18 luglio 2016

La rivoluzione del Dante minore

Esperimenti letterari in latino

Le nuove prove dell’autenticità nelle due parti dell’Epistola a Cangrande

di Paolo Di Stefano (Corriere della Sera, 18.02.2016)

Parlare di un Dante minore è un paradosso, perché anche il Dante delle epistole occasionali o delle egloghe è pur sempre uno scrittore maggiore, fuori dall’ordinario. Anche fuori dal suo capolavoro, l’Alighieri, fino alla fine, non si stanca mai di sperimentare, di provare nuove strade letterarie, di forzare le convenzioni.

Fa un certo effetto, per esempio, immaginarlo in piena attività, negli ultimi suoi anni di vita, nel tranquillo soggiorno ravennate, circondato dai figli e ormai ammirato e gratificato da un crescente circolo di adepti: ancora febbrilmente intento alla conclusione del Paradiso , respinge - per raccoglierla a suo modo - la proposta di dedicarsi a un componimento in latino di argomento politico.

L’invito (o la sfida) gli era arrivata da un prestigioso retore e grammatico bolognese convinto della superiorità del latino sul volgare, l’interlocutore privilegiato Giovanni del Virgilio, il quale gli aveva promesso una corona poetica a Bologna capace di garantirgli un trasferimento e magari qualche aggancio nell’ambiente universitario. Il risultato, in forma di corrispondenza poetica con il magister preumanista Giovanni, è l’unica opera dantesca in versi latini che ci sia giunta: quattro carmi con cui, rivendicando tra l’altro la qualità e l’altezza del suo poema in volgare, l’Alighieri approda, poco prima di morire, a traguardi ancora una volta innovativi, per non dire sconvolgenti, rispetto ai modelli contemporanei.

Ora questa incredibile padronanza dantesca della poesia latina viene valorizzata e commentata da Marco Petoletti nel volume V della Nuova edizione commentata delle Opere di Dante (Necod) pubblicata da Salerno per il Centro Pio Rajna. È Enrico Malato, nella Premessa, a parlarci della complessa iniziativa nelle sue linee programmatiche che si riassumono in alcuni principi generali: attenzione rigorosa, partendo dai testi accertati, alla ricostruzione letterale dei testi e impegno critico-esegetico che tenga conto dello sviluppo più recente degli studi danteschi senza cadere in eccessi iperspecialistici.

Questo nuovo volume, che fa seguito ai commenti di Vita Nuova e Rime, Convivio, De vulgari eloquentia e Monarchia, contiene, oltre alle Epistole e alle Egloge, la Quaestio de aqua et terra, il trattato cosmologico di cui non esistono testimoni manoscritti, ma solo una stampa del 1508. Le singole opere vengono affidate a curatori diversi, con relative introduzioni e note al testo, precedute da una utile Introduzione complessiva di Andrea Mazzucchi, che mette in luce le più significative acquisizioni dei vari commenti, offrendo quindi al lettore diverse opzioni di lettura, dal più piano al più articolato.

Tornando alla Quaestio, l’operetta scientifica latina che tratta la distribuzione delle acque e delle terre sul globo, va detto che la sua attribuzione a Dante è da sempre stata oggetto di discussione: considerata certa da Michele Barbi nella fondamentale edizione delle Opere del 1921, è stata autorevolmente esclusa da Bruno Nardi e rimessa in dubbio di recente da Marco Santagata in virtù delle incongruenze rispetto alla caduta di Lucifero sulla terra, descritta nell’ Inferno.

Ora Michele Rinaldi si schiera per la paternità dantesca sulla base di un numero notevole di coincidenze con i testi danteschi e di fonti comuni utilizzate secondo letture singolari. Ma viene richiamato come elemento decisivo il fatto, anch’esso imperituro oggetto di confronto critico, che il figlio di Dante, Pietro Alighieri, commentando i versi della caduta di Lucifero, ricordi una disputa sullo stesso argomento (acqua e terra) sostenuta dal padre a Verona all’inizio del 1320. Se è vero che la testimonianza filiale non si sottrae a fondati sospetti di autenticità, Rinaldi offre inedite pezze d’appoggio alla sua tesi richiamando alcuni passaggi delle postille alla Commedia contenute nelle cosiddette «Chiose Cassinesi» (conservate in un manoscritto trecentesco dell’Abbazia di Montecassino).

A proposito di attribuzione e di autenticità torna ovviamente la questione (anch’essa ancora aperta) della Lettera a Cangrande della Scala, che ha trovato eserciti di detrattori radicali, di mezzi fautori e di fautori convinti. L’Epistola XIII viene collocata in un capitolo a sé rispetto alle precedenti: del resto, è noto che le lettere latine di Dante, come le Rime, non si compongono in un corpus organico e omogeneo strutturato dall’autore. Per le prime dodici, Marco Baglio, motivata la disomogeneità della raccolta, illustra di ciascuna le ragioni politiche, personali e ideali all’interno della tormentata biografia dantesca (in particolare il vagabondaggio e le instabilità anche intellettuali dell’esule), ma individuando anche nodi tematici e tessere lessicali riconducibili alla Commedia e non solo.

Alla faccenda più spinosa si dedica Luca Azzetta, anche con argomenti stilistici e strutturali che conducono a confermare l’autenticità della lettera nelle sue due parti (la seconda in particolare è quella che suscita da sempre maggiori perplessità).

L’Epistola a Cangrande si presenta, nella breve sezione iniziale, come la manifestazione di amicizia al signore di Verona presso cui Dante ebbe ospitalità in un periodo situabile tra il 1316 e la fine del 1319, prima di abbandonare la corte scaligera per ragioni che rimangono oscure. Allo scopo di conservare l’amicizia, Dante offrirebbe in dono a Cangrande la dedica del Paradiso. La seconda parte, più lunga, è una sorta di trattato esegetico dell’intero poema, cui fa seguito un’analisi del proemio del Paradiso.

La ricca e tarda tradizione manoscritta che tramanda la lettera (a partire dalla metà del Cinquecento); le tante testimonianze indirette che ne accertano la precoce circolazione e diffusione; l’incertezza sulla localizzazione (tra Verona e Ravenna) e sulla datazione (che oscilla tra il 1315 e il settembre 1321); i dubbi sulla qualità della lettera: ogni aspetto ha contribuito a far scorrere fiumi di inchiostro, anche perché l’autenticità o meno della lettera comporta argomenti cruciali come quello della titolazione del poema (proprio nell’epistola vengono illustrate le ragioni del presunto titolo, Commedia ).

Allo stesso Azzetta si deve, di recente, la scoperta della precoce testimonianza contenuta nelle Chiose alla Commedia , collocabili tra il 1341 e il 1343, di Andrea Lancia, dove il celebre notaio fiorentino mostra di conoscere la Lettera a Cangrande e di attribuirla in toto a Dante.

L’integrale paternità dantesca della lettera trova conferma, secondo Azzetta, in una fitta serie di elementi che capovolgerebbero la diffusa convinzione che considera la seconda parte un commento del poema limitativo, semplicistico e «conservatore», dunque difficilmente attribuibile a Dante: viene rivendicata, al contrario, l’efficacia illuminante e l’originalità esegetica su alcuni snodi della Commedia. Azzetta replica ai singoli detrattori, cercando di valorizzare il carattere non convenzionale e anzi l’eversività (antitomistica) degli argomenti e, simmetricamente, la novità strutturale di una lettera che dunque andrebbe intesa non solo come unitaria ma, ancora una volta, come un unicum. Molto affascinante: seguiranno fiumi di inchiostro.


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