«No all’imperialismo della chiesa»: chi è il cavallo pazzo Palikot
di Mauro Caterina (il manifesto”, 08.10.2010)
Quando Janusz Palikot dice qualcosa, il giorno dopo scorrono fiumi di inchiostro sui giornali e nei talk show televisivi. Certo la sua è una delle facce più conosciute della politica polacca. I suoi detrattori lo dipingono come un arrogante, presuntuoso, un fenomeno da baraccone, un pagliaccio della politica, come quando nell’aprile 2007 si presentò in una conferenza stampa con una pistola e un vibratore che, secondo lui, rappresentavano i simboli moderni di Legge e giustizia, il partito ultra-conservatore dei gemelli Kaczynski.
Per i suoi estimatori, invece, Palikot è un cane sciolto, un provocatore, uno che parla chiaro. Imprenditore di successo, 46 anni, laureato in filosofia all’università cattolica di Lublino, Janusz Palikot è stato eletto deputato al Sejm (il parlamento polacco) per due volte tra le fila del partito di governo Platforma Obywatelska (Po) nel 2005 e nel 2007, e fino a sabato scorso ne rappresentava l’anima progressista e «liberal». Fino a sabato scorso, appunto, quando pubblicamente, davanti a 3000 persone, ha detto di voler abbandonare il partito guidato da Donald Tusk, premier e leader del Po, e lasciare il seggio parlamentare a dicembre, subito dopo le elezioni regionali.
Durante il meeting, nel quale c’è stata anche la presentazione ufficiale del suo «Movimento per una Polonia moderna», Palikot ha accusato il Po di essere troppo conservatore sulle questioni sociali: «La priorità per noi adesso è quella di separare gli affari della chiesa da quelli dello Stato».
Secondo Palikot in Polonia non c’è una chiara divisione tra lo Stato e la chiesa, e il suo «Movimento» combatterà contro quello che lui chiama «l’imperialismo della chiesa». Parole forti, in «stile Palikot», che hanno scatenato polemiche e reprimende anche dai suoi (ormai ex) compagni di partito.
Ma le sorprese non sono finite. Qualche giorno fa dalle pagine del suo blog ha annunciato che non aspetterà dicembre per dimettersi dal parlamento e dal partito. Una mossa che rischia di mettere in difficoltà il Po in vista della campagna elettorale per le regionali. Sul blog anche alcuni punti del programma politico del «Movimento», che verranno discussi e implementati dai simpatizzanti durante i 16 meeting regionali previsti per i prossimi mesi.
Primo, chiede la fine dell’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche e la revoca dei sussidi statali alle istituzioni ecclesiastiche, poi viene il libero accesso ai contraccettivi e la regolamentazione delle coppie di fatto, eterosessuali, omosessualli o lesbiche.
I sondaggi lo danno tra il 4 e il 10%. Numeri che fanno rizzare i capelli a Tusk e Napieralski, leader del partito socialdemocratico polacco (Sld). Palikot, infatti, pescherebbe consensi da ambo le parti e darebbe una rappresentanza politica ai tanti giovani delusi dalla condotta del governo e dall’inerzia dell’opposizione. Tirate le somme, il nuovo partito si propone, anzitutto, come difensore delle minoranze e paladino dei diritti civili, oltre a confermarsi la bestia nera del kaczismo e delle gerarchie ecclesiastiche.
Tutto ciò, per la Polonia di oggi, non è cosa di poco conto. A proposito dei Kaczynski, vale la pena ricordare alcune memorabili prese di posizione di Palikot verso i «gemelli terribili»: quando in un’intervista nel 2008 definì l’allora presidente della repubblica Lech Kaczynski (scomparso nella tragedia di Smolensk lo scorso 10 aprile) «un uomo primitivo e rozzo», beccandosi una denuncia per vilipendio delle istituzioni; o quando il 5 luglio scorso, appena un giorno dopo il secondo turno delle presidenziali vinte da Komorowski su Jaroslaw Kaczynski, si scagliò contro i vertici del Po con queste parole: «Non possiamo permettere a Jaroslaw di alimentare la retorica nazionalista facendo del fratello Lech un eroe e un martire della patria. Non si può chiamare eroe e martire chi è responsabile della morte di decine di persone e ha le mani piene del sangue delle vittime del disastro». Un avallo esplicito della tesi secondo cui sia stato proprio Lech Kaczynski a dare l’ordine di atterrare al pilota. Da oggi la politica è più frizzante.