commento
20 ottobre.
Mettiamo in piazza anche la cultura
di Sandro Medici (il manifesto, 09.08.2007)
Il 20 ottobre tutti in piazza per salvare il salvabile. Ottima iniziativa, un ringraziamento a chi l’ha proposta: speriamo serva a imprimere quella svolta nelle politiche sociali e economiche che ridia un respiro di sinistra al governo Prodi. Anche perché, diversamente, quel respiro potrebbe rischiare di essere l’ultimo. Una manifestazione per chiedere tutele sul lavoro, garanzie per le pensioni, estensione dei diritti sociali.
Ma per quanto decisive, è il caso di autolimitarci alle sole rivendicazioni economiche? O non varrebbe la pena di strattonare questo governo anche per altre vistose manchevolezze? Se permettete, a queste, ne vorrei suggerire almeno una, tuttavia strategica: la cultura. Troverei utile che nella piattaforma del 20 ottobre ci fosse un accenno critico alle politiche culturali del governo e che si esprimesse un’alterità di sinistra a come vengono gestite.
Non fosse altro perché, nonostante scorrano i secoli, la contraddizione tra struttura e sovrastruttura sembra non essere superata, e consegnare il primato alla prima continua a deprimere sciaguratamente la seconda. Per dirla schietta, penso che affrontare anche la questione culturale non soltanto serva a scuotere l’immobilismo governativo, ma anche a scrollarci di dosso subalternità e minoritarismi. E a permettere un dialogo con strati sociali, in particolare giovanili, che difficilmente intercettiamo, compresi come siamo nel nostro sacro ruolo di custodi dell’ortodossia economicista.
Allora, se siamo d’accordo, comincerei a chiedere il conto sull’immutabile politica degli investimenti verso le istituzioni culturali. Cinema, teatro, musica, danza: sempre gli stessi, salvo qualche piccolo spostamento, ricevono finanziamenti pubblici. Mai un euro viene riversato su chi progetta il contemporaneo, su chi sperimenta forme e contenuti inediti, su chi ancora desidera esplorare nuovi orizzonti artistici e espressivi. Non c’è nulla per incentivare la produzione indipendente, le mille esperienze che animano le nostre città, le nostre periferie: e chissà quante intelligenze si disperdono e si schiantano nella vana attesa di qualcuno che le aiuti. Si lasciano al mercato, un mercato arcigno e conformista che detesta l’innovazione perché scarsamente redditiva.
E invece, così come dovrebbe essere per l’istruzione, la formazione e la ricerca, resta compito dello stato favorire e valorizzare le realtà culturali diffuse ma disperate. In altri paesi lo fanno e i risultati si vedono; da noi si preferisce foraggiare l’accademia e coccolare le dinastie. Rinunciando alle nuove creatività affidandosi al solo patrimonio storico, che intanto si estingue.
Ci sarebbe molto altro su cui ragionare, dai musei all’archeologia dalla tv alla editoria, ma mi accontenterei se di cultura si accennasse almeno: prima, durante e dopo il 20 ottobre. Sarebbe un’apertura di discorso che farebbe bene intanto a noi stessi, che in questa palude sepolcrale di enti e istituzioni, festival e rassegne, mostre ecc. siamo (quota parte) saldamente presenti, ormai indifferenti a quanto vanamente, si agita intorno e oltre i palcoscenici convenzionati.