Quel suo Sì che salvò il Paese e il sindacato
di Sergio Cofferati *
Per i sindacalisti della mia generazione Bruno Trentin è stato un costante punto di riferimento, da quando era segretario generale della Fiom nella stagione dei consigli, da lui fortemente voluta, fino a quando accettò di di dirigere la Cgil in un momento di grande difficoltà per l’organizzazione. Fu un punto di riferimento anche per chi veniva da esperienze e da categorie diverse dalla sua.
Quando diventai segretario generale dei chimici Bruno era già da tempo passato alla segreteria confederale. Nella cultura sindacale dell’industria di quegli anni l’esperienza dei metalmeccanici era davvero lontana da quella dei chimici. Tuttavia il rispetto che la mia categoria, tradizionalmente moderata, nutriva nei confronti di Bruno era rilevantissimo.
A lui e alla sua cultura il sindacato deve alcune delle innovazioni più importanti degli ultimi decenni: a partire da certi strumenti di regolazione contrattuale di un mercato del lavoro che andava cambiando, da lui promossi già negli anni 70, per arrivare ai nuovi modelli di relazione fra le parti sociali.
Il momento più alto di questa opera di innovazione fu il protocollo sulla politica dei redditi del 23 luglio ’93, firmato col governo Ciampi, che per la parte relativa alla struttura e alle regole contrattuali è ancor oggi efficiente e operativo.
Il contributo che Bruno Trentin, con la sua specifica autonomia e capacità operativa, ha dato al risanamento economico del Paese negli anni 90, è stato straordinario. È importante ricordarlo, per il complesso e doloroso percorso che lo contrassegnò. Non a caso il ’92, e in particolare l’estate-autunno di quell’anno, è ricordato come uno dei periodi più drammatici della storia recente della nostra economia. Allora la moneta italiana venne svalutata del 30% e la Banca d’Italia fu costretta a bruciare ingentissime risorse a difesa della lira. L’azione del governo e della Banca d’Italia fu accompagnata da una difficilissima e sofferta intesa sindacale. Il 31 luglio governo, imprese e sindacati firmarono un accordo che non solo sanciva il superamento irreversibile della scala mobile ma anche congelava per un tempo determinato una parte della libera contrattazione fra imprese e sindacati.
Fu un difficile e duro accordo sull’emergenza, che mise a repentaglio la tenuta dello stesso governo. Bruno lo firmò per senso di responsabilità. Non aveva un mandato della maggioranza della sua organizzazione. Firmò e dopo un’ora si dimise. La decisione venne presa durante una tesissima riunione tra lui e i segretari confederali che lo accompagnavano al negoziato.
Quella firma consentì all’economia italiana di creare le condizioni per una tenuta adeguata di fronte all’emergenza. E le successive dimissioni furono un gesto di esemplare rigore verso il sindacato.
Non fu facile, nell’autunno successivo, convincere Bruno a ritirare le dimissioni. Ma nulla fu facile, allora: ricordo le contestazioni dei sindacalisti durante lo sciopero di settembre. Il primo bersaglio fu proprio lui, a Firenze. Bruno rispose, come sempre, difendendo le ragioni dell’unità sindacale.
Nello stesso autunno riprese la trattativa col governo per definire il protocollo sulla politica dei redditi. Una parte venne conclusa col governo Amato. Poi, col governo Ciampi, la trattativa si completò con la parte più impegnativa, che portò a individuare regole e comportamenti necessari a un’equa ripartizione dei redditi, sia attraverso la politica governativa, sia attraverso la contrattazione sindacale.
Se l’Italia è riuscita a entrare nel gruppo di testa europeo e a rispettare i parametri di Maastricht, è in larga parte merito di quell’intesa e del clima di rispetto fra le parti che si creò allora.Bruno Trentin è sempre stato un europeista convinto. Il contributo da lui dato, con gli accordi del ‘92-93, alla collocazione europea del suo Paese è stato forse il naturale e rilevante approdo di un’idea e di una storia.
Ma c’è un altro aspetto, fra i tanti della cultura di Bruno, che mi piace ricordare: la sua capacità di ascoltare, di tenere conto delle opinioni degli altri, senza mai rinunciare alla sua. Quando mi volle in segreteria, notai che la stessa segretaria era molto ampia, non solo per numero (15 persone), ma anche per l’orizzonte di opinioni diverse che esprimeva: da Ottaviano Del Turco, aggiunto di Trentin, a Guglielmo Epifani, per arrivare ai segretari più radicali, come Paolo Lucchesi e Fausto Bertinotti.
Lui era in grado non solo di rispettare le tante sensibilità diverse della Cgil, anche di farsi carico di volta in volta delle problematiche più difficili che ognuna di quelle sensibilità rappresentava. Il suo era davvero un esercizio di leadership non limitativa delle opinioni altrui, ma sempre volta a trovare una sintesi.
Io penso che per queste ragioni Bruno Trentin, che è stato un punto di riferimento importantissimo per la Cgil e la sinistra, resterà un modello indimenticabile per molti cittadini di questo Paese.
* l’Unità, Pubblicato il: 25.08.07, Modificato il: 25.08.07 alle ore 11.59