Inviare un messaggio

In risposta a:
Europa

TURCHIA. LA SVOLTA. Dopo Ataturk, primo islamico a capo dello Stato. Abdullah Gul eletto presidente. I leader europei plaudono. Giudizio di Prodi molto positivo - a cura di pfls

Le prime dichiarazioni del nuovo presidente: "Difenderò la costituzione, inclusa la laicità".
martedì 28 agosto 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, ha espresso le sue "più vive congratulazioni" a Abdullah Gul per la sua elezione alla presidenza della Repubblica turca. Secondo Barroso con la formazione a breve in Turchia anche del nuovo governo "con un chiaro mandato popolare" si apre "una opportunità per un impeto nuovo e immediato al processo di adesione all’Ue, attraverso il progresso in vari settori chiave" [...]

Primo (...)

In risposta a:

> TURCHIA. LA SVOLTA. --- Piazza Taksim (di N. Hikmet) - Ho visto in piazza la solidarietà della nuova Turchia (di Eda Su Neidik) - Sto con i ragazzi che combattono (di O. Pamuk)

giovedì 6 giugno 2013

Piazza Taksim

di Nazim Hikmet (la Repubblica, 06.06.2013)

Dentro di me c’è il dolore di un ramo dai frutti spiccati, non scompare dai miei occhi l’immagine della strada che scende al Corno d’Oro, / è un coltello a due occhi piantato nel mio cuore / la nostalgia del figlio, la nostalgia di Istanbul. / Il distacco non si regge? / A noi la nostra sorte sembra tanto tremenda? / Invidiamo la gente? Il bravo padre è in prigione a Istanbul, / il bravo figlio lo vogliono appendere / in mezzo alla strada / in pieno giorno. /Per quanto mi riguarda qui son libero/ come la brezza o un canto popolare, / tu sei laggiù, piccolo mio, / ma sei ancora così piccolo che non potranno spedirti sulla forca. Non diventi assassino il bravo figlio, / non muoia il bravo padre, / che per portare a casa il pane e gli aquiloni/ hanno rischiato il cappio. / Uomini, / uomini buoni, / passatevi la voce da ogni angolo del mondo, / ditegli di fermarsi, / che non infili il cappio il giustiziere.


-   Ho visto in piazza la solidarietà della nuova Turchia
-  La protesta per difendere Gezi Parki, simbolo della laicità della società turca
-  la cronaca delle giornate di protesta e della brutale repressione della polizia

di Eda Su Neidik (l’Unità, 06.06.2013) *

Quello che è più strano è vedere le strade della tua città, quelle che attraversi tutti i giorni, magari di fretta, come un contesto di guerra. Perché per le strade di Istanbul oggi si respira un clima di guerra civile.

Mentre scrivo siamo all’ottavo giorno di protesta in Turchia e gli scontri si sono estesi in quasi tutte le maggiori città. Tutto è nato per non permettere al governo di distruggere Gezi Parki, il parco di piazza Taksim. Eravamo contrari all’ennesima speculazione edilizia e l’abbiamo detto manifestando pacificamente.

Giovedì scorso, il 30 maggio, il parco era talmente animato da sembrare una festa. Il clima era sereno, tanto che quella sera la polizia, pur presente, non ha effettuato alcun intervento. La notte sono tornata a casa a dormire. Ma altri sono rimasti a Gezi Parki, riposandosi nelle tende e nei sacchi a pelo.

Alle cinque del mattino la polizia ha iniziato la sua offensiva. La voce si è diffusa velocemente. Un fiume di persone, fra cui io, ha invaso le strade della città, come un unico corpo che si è diretto verso Piazza Taksim. Ma non siamo riusciti ad entrare.

All’ingresso c’erano infatti una decina di Toma e Panzer, pronti a chiudere ogni accesso. In sottofondo si sentivano arrivare dalla piazza i rumori degli scontri. Con una amica abbiamo provato ad aggirare il blocco, dirigendoci verso le strade intorno. Ma la polizia, per tenere lontano le persone, sparava su chiunque passasse i gas urticanti.

Quando siamo arrivati a Çihangir una piazza vicina a Taskim avevamo gli occhi bruciati e pieni di lacrime. Lo spettacolo che ci si è presentato davanti era impressionante. I manifestanti cercavano di proteggersi dai gas con maschere occasionali. In molti venivano portati all’ospedale perché colpiti alla testa dalle bombe. E la polizia entrava nei vicoli intorno alla piazza per scovare chi aveva trovato rifugio.

I FERITI E GLI ELICOTTERI

Nel tardo pomeriggio la piazza era ancora piena di persone. Mentre stavamo cercando di medicare alcuni feriti, abbiamo sentito il rumore degli elicotteri. In un attimo mi sono trovata accecata da altre bombe al gas. Con gli occhi in fiamme mi sono messa a correre senza capire dove stavo andavo. Un medico sceso in strada mi ha raccolto e mi ha portato a casa sua, poco lontano da lì. Ma l’aiuto arrivava un po’ da tutti: ai bar, dalle farmacie, dai semplici cittadini.

La notte sembrava aver riportato la calma, ma era un’illusione. Al mattino i rumori sono ripresi. Rumori di stoviglie che venivano sbattute dalle persone nelle case. Un segnale per far capire che la protesta non era ancora finita.

La polizia ha attaccato nuovamente verso le otto del mattino. Le strade, a quel punto, erano devastate. Sono riuscita a tornare a casa, esausta, verso le nove e mezza della mattina. In piazza Taksim gli scontri sono continuati fino alle quindici.

Quando la stampa internazionale ha iniziato a raccontare quello che stava accadendo in Turchia, la polizia si è ritirata dalla piazza permettendo alla gente di protestare. Ma la tregua però è durata poco. Arrivata la notte la polizia è tornata ad attaccare i manifestanti a Besiktas. In piazza Taksim, invece, quella notte è passata in tranquillità. Una calma che è servita per riunire medicine, maschere antigas, limone, balsami, talcit e tutto quanto poteva essere utile.

In questi giorni, in cui momenti di calma e di tensione si sono alternati, Gezi Parki non è mai stato vuoto, ne lo è in questo momento. Mai mi è capito di vedere una tale solidarietà tra gli uomini, un aiuto reciproco che ha coinvolto ognuno. In tanti fanno i turni per stare in prima linea e permettere ad ognuno di non sfiancarsi. Non riesco a descrivervi l’orrore che ho visto e quanto questo mi è rimasto impresso nella mente.

Ieri sera, come ogni sera dopo il tramonto, la polizia ha ripreso a cospargere i manifestanti di sostanze. Questa volta era «agent orange», il diserbante che gli statunitensi usavano in Vietnam e che ha gravi effetti su chi lo subisce. A Dolmabahçe molti cittadini hanno ricominciato ad usare le stoviglie per fare rumore dalla finestra e la reazione della polizia si è intensificata. Hanno arrestato molta gente e ieri sera a Hatay un ragazzo di 22 anni è morto.

USANO IL GAS DISERBANTE

Nonostante la repressione a Izmir, Ankara, Hatay, Bodrum ed in molte altre città, la protesta continua. Finalmente anche la stampa ha cominciato ad avere meno paura di raccontare cosa sta accadendo, anche se inizialmente solo due TV Halk tv e Ulusal tv hanno divulgato la protesta. Una protesta che è nata per proteggere un parco e che ora vuole difendere il proprio popolo dall’intolleranza e dalla violenza che ogni giorno il governo usa contro i propri cittadini.

*Pittrice. Nata in Francia da genitori turchi, ha studiato arte a La Sorbona e allo Ied di Madrid. Vive a Istanbul


-  Il Nobel Pamuk si schiera con la rivolta di piazza Taksim: deriva autoritaria del regime
-  L’albero dei ragazzi di Istanbul
-  L’intervento dello scrittore premio Nobel Orhan Pamuk
-  Sto con i ragazzi che combattono

di Orhan Pamuk (la Repubblica, 06.06.2013)

Il rapporto più recente sui diritti umani nel nostro Paese è il peggiore degli ultimi dieci anni. Mi riempie tuttavia di speranza e di fiducia vedere che la mia gente non rinuncerà alle manifestazioni pubbliche né a lottare per difendere il rispetto della propria libertà

PER dare un senso agli eventi di Istanbul, e per capire quei coraggiosi che scendono in strada e si scontrano con la polizia soffocando tra i fumi velenosi dei gas lacrimogeni, vorrei cominciare con una storia personale.

Nel mio libro di memorie Istanbul, ho scritto su come tutta la mia famiglia abitasse negli appartamenti che componevano il palazzo Pamuk a Nisantasi. Di fronte a questo edificio si trovava un castagno che aveva circa cinquant’anni, che per fortuna è ancora lì.

Un giorno, però, nel 1957, il comune decise di tagliare quell’albero per allargare la strada. Burocrati presuntuosi e amministratori autoritari ignoravano l’opposizione del quartiere. Così, il giorno in cui l’albero doveva essere abbattuto, mio zio, mio padre, e tutta la famiglia rimasero in strada giorno e notte, facendo a turno per fare la guardia. In questo modo, abbiamo protetto il nostro albero, ma abbiamo anche creato una memoria condivisa che l’intera famiglia ricorda ancora con piacere, e che ci lega l’un l’altro.

Oggi, piazza Taksim è il castagno di Istanbul e deve continuare a esserlo. Ho vissuto a Istanbul per sessant’anni e non riesco a immaginare che possa esistere una sola persona che viva in questa città e non abbia almeno un ricordo legato in qualche modo a piazza Taksim.

Negli anni Trenta, nella vecchia caserma di artiglieria che ora vogliono trasformare in un centro commerciale, c’era un piccolo stadio di calcio che ospitava delle gare ufficiali. Il famoso Gazino di Taksim, che fu il centro della vita notturna di Istanbul per tutti gli anni Quaranta e Cinquanta, sorgeva un tempo in un angolo del parco Gezi. In seguito, tutti quegli edifici vennero abbattuti, gli alberi furono tagliati, piantarono nuovi alberi, e lungo un lato del parco costruirono una serie di negozi e la più famosa galleria d’arte di Istanbul.

Negli anni Sessanta, sognavo di diventare pittore e di poter esporre le mie opere in questa galleria. Negli anni Settanta, la piazza fu sede delle entusiastiche celebrazioni dei sindacati di sinistra e delle Ong per il Primo Maggio e, una volta, partecipai anch’io a una di queste celebrazioni. (Nel 1977, quarantadue persone furono uccise in un’esplosione di violenza provocata e nel caos che ne seguì).

Da giovane, assistevo con curiosità e con piacere alle manifestazioni che tutti i partiti politici - partiti di destra e di sinistra, nazionalisti, conservatori, socialisti, socialdemocratici - tenevano a Taksim.

Quest’anno, il governo ha vietato di celebrare in questa piazza la Festa del Lavoro. E in quanto alla caserma che avrebbe dovuto essere ricostruita, a Istanbul tutti sanno che alla fine ci costruiranno un altro centro commerciale al posto dell’ultimo spazio verde rimasto nel centro della città.

Il fatto che dei cambiamenti così significativi, in una piazza e in un parco che custodiscono i ricordi di milioni di persone, siano stati progettati e messi in atto, per quanto riguarda la fase dell’abbattimento degli alberi, senza prima consultare gli abitanti di Istanbul, è stato un grave errore per il governo di Erdogan.

Questo atteggiamento insensibile è chiaramente dovuto a una crescente deriva del governo verso l’autoritarismo. (L’ultimo rapporto sui diritti umani in Turchia è il peggiore degli ultimi dieci anni). Mi riempie, tuttavia, di speranza e di fiducia vedere che la gente di Istanbul non rinuncerà né al suo diritto di tenere manifestazioni politiche in piazza Taksim, né ai suoi ricordi, senza combattere. (Traduzione di Luis E. Moriones)


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: