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Novecento

EUROPA. LA PREMESSA DELLA CATASTROFE: IL TRATTATO DI VERSAILLES. L’atto di accusa (1919) di John M. Keynes. Una nota di Dario Antiseri - a cura di pfls

(...) Una lezione di onestà, coraggio e lungimiranza. E di umana sensibilità: «I problemi finanziari che incombevano sull’Europa non potevano essere risolti dall’avidità. Per essi la possibilità di cura stava nella magnanimità»
lunedì 3 settembre 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Fu proprio la consapevolezza delle disastrose conseguenze economiche della pace per il destino dell’Europa e della civiltà occidentale a motivare le dimissioni di Keynes dall’incarico di rappresentante del Tesoro inglese alla Conferenza di Versailles. Il 7 giugno del 1919 egli scriveva al Premier Lloyd George: «Anche in queste ultime, angosciose settimane ho continuato a sperare che avreste trovato un qualsiasi modo per fare del Trattato un documento giusto e realistico. Ma ora, (...)

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> EUROPA. LA PREMESSA DELLA CATASTROFE: IL TRATTATO DI VERSAILLES. --- Segreti e capricci dei grandi di Versailles ... "Parigi 1919. I sei mesi che cambiarono il mondo" è il titolo di una ricerca di Margaret MacMillan ricca di documenti inediti (di Lucio villari).

giovedì 16 luglio 2009

Novant’anni fa la firma del Trattato di pace con la Germania

Segreti e capricci dei grandi di Versailles

"Parigi 1919. I sei mesi che cambiarono il mondo" è il titolo di una ricerca di Margaret MacMillan ricca di documenti inediti

di Lucio Villari (la Repubblica. 16.07.2009)

Nell’estate di novanta anni or sono Parigi non fu più al centro del mondo. Lo era stata per oltre sei mesi quando, a Versailles, si riunirono ripetutamente le delegazioni dei paesi che avevano vinto la Prima guerra mondiale. Ma il 28 giugno 1919 i riflettori si spensero e le bandiere delle quattro potenze vincitrici - Francia, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti - furono arrotolate: era stato firmato il Trattato di pace di Versailles.

Il presidente americano Woodrow Wilson, discussa star della Conferenza di pace, lasciò Parigi la notte stessa per il porto di Le Havre. Il primo ministro inglese David Lloyd George e quel che restava della delegazione britannica (dopo l’abbandono dell’economista J. M. Keynes e di altri funzionari del Tesoro per protesta per il trattamento inflitto alla Germania), ripartirono con un treno speciale con la sorpresa di dover pagare una pesante nota spese per il viaggio in ferrovia fino a Calais; il presidente del consiglio italiano Orlando (che si era distinto, tra lo stupore degli alleati, per avere polemicamente abbandonato ad aprile i lavori della Conferenza) partì immediatamente per Roma, ma il suo governo non era più in carica: ed egli era stato nel frattempo sostituito da Francesco Saverio Nitti. A Parigi rimase il primo ministro Clemenceau a difendere l’operato della Conferenza, fronteggiando i numerosi giornalisti stranieri, e subendo le aspre critiche del governo tedesco, ingiustamente inchiodato alle responsabilità non sue della guerra. Unici contenti i direttori dei raffinati alberghi della capitale francese che poterono finalmente riaprire al normale, elegante turismo mentre, come si legge in un documento governativo, solo le belle prostitute parigine ebbero un calo verticale degli affari.

Su Clemenceau, "il Tigre", su Wilson, "l’uomo dai quarantadue denti" (e sulla sua non bella consorte) e sul povero Orlando piovevano poi gli insulti e l’ironia dei nazionalisti italiani e di D’Annunzio. Erano ritenuti responsabili della "vittoria mutilata" dell’Italia: Clemenceau perché assolutamente indifferente agli interessi italiani, Wilson (con i suoi Quattordici Punti in difesa di un nuovo equilibrio europeo) perché contrario all’annessione di Fiume e alle pretese italiane sulla Dalmazia, Orlando e il ministro degli Esteri Sonnino per non essersi fatti valere con gli alleati. E che non si trattasse solo di battute volgari (su Nitti pioverà poi l’insulto di "cagoia") ma di pretesti e di precisi progetti eversivi D’Annunzio lo dimostrerà qualche mese dopo.

Intanto a Versailles la pace con la Germania, divenuta repubblica democratica, era stata firmata. Con gli altri paesi coinvolti nella guerra saranno firmate altre paci dopo difficili accordi, discussioni e polemiche sulla ridefinizione dei confini nei Balcani e nei territori dell’Austria-Ungheria (erano sorti due nuovi Stati, la Jugoslavia e la Cecoslovacchia che avrebbero dovuto agevolare le ricomposizioni geo-politiche ed etnico-linguistico-religiose) che dureranno fino all’agosto 1920 e oltre.

Dunque il grande problema della ricostruzione dell’Europa ebbe al centro dei sei mesi di lavori soprattutto la Germania, costretta al pagamento in milioni di marchi oro delle riparazioni dei danni di guerra e l’Austria-Ungheria, divenuta anch’essa repubblica, che vedeva smembrata la sua compagine imperiale, quella Mitteleuropa che aveva racchiuso tanti popoli in una ecumene anche culturale a lungo rimpianta.

Ma la Parigi del 1919 fu anche il motore di una ricomposizione politica sia del quadro coloniale europeo (le colonie tedesche dell’Africa furono spartite tra i vincitori) sia delle questioni più delicate dello scacchiere mediorientale. Dai rapporti tra l’Europa e il mondo arabo, alla questione della Palestina, al problema della Turchia che, finito il tempo del Sultanato, era svegliata dalla modernizzazione di Kemal Ataturk nell’imminenza della prevedibile entrata nel consesso dell’Europa. Insomma fatti che paiono accaduti appena ieri.

Ha ragione dunque la storica Margaret MacMillan (insegna storia all’Università di Toronto ed è pronipote di Lloyd George) a intitolare una sua importante ricerca su quanto accadde novanta anni or sono: Parigi 1919. Sei mesi che cambiarono il mondo (Mondadori, pagg. 712, euro 26). Altrettanto importante è che, grazie a questo volume che si avvale di documenti inediti provenienti in gran numero da archivi americani e inglesi, sia possibile ricostruire con obiettività quei sei mesi che hanno condizionato tutta la storia del Novecento e che, non sembri un paradosso, influenzano oggi molti segmenti e sentimenti della storia non solo europea.

La storiografia e i mezzi di informazione non sembrano essersi accorti di questo anniversario che ha il carattere di un evento-chiave del Novecento. Il 1919 è un anno decisivo anche per l’Italia perché iniziano, dopo i numerosi errori dei trattati di pace, le turbolenze e le ansie di un paese che per molto tempo non ritroverà se stesso.


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