Esce da Adelphi un libello titolato «Le conseguenze economiche della pace»
Appunti di John Maynard Keynes da Versailles
di Enrico Maria Massucci (il manifesto, 31.05.2008)
Qualunque dietrologia guarderebbe con sospetto l’assoluto silenzio che ha accompagnato e seguito, sulla «grande» stampa, la pubblicazione del fondamentale libro dell’inattuale John Maynard Keynes, Le conseguenza economiche della pace, (Adelphi, pp. 233, euro 22). Eppure il «libello», uscito in Gran Bretagna alla fine del 1919, non può proprio essere definito una chiosa a margine o una delle tante composizioni di circostanza che accompagnarono la fine della prima guerra mondiale. Anzi, esso funziona come un documento, agile e solenne, a commento di una catena di eventi che al tempo stesso era un punto di arrivo e di partenza, uno snodo crucialissimo di quella decisiva fase della storia dell’umanità, che Eric Hobsbawm avrebbe definito «secolo breve». In quella speciale congiuntura Keynes era presente come un rappresentante del Tesoro britannico alla conferenza di Versailles e insieme era anche delegato del Cancelliere dello Scacchiere al Supremo Consiglio Economico, dunque dall’osservatorio privilegiato dell’élite politica continentale, vincitrice della guerra, chiamata a ridisegnare lo scenario delle relazioni internazionali all’indomani del crollo del Secondo Reich.
La partecipazione al tavolo delle trattative in realtà persuase rapidamente il giovane economista che a Versailles si stavano preparando le condizioni per la spirale di eventi che avrebbe condotto al secondo conflitto mondiale, a causa delle «pecche disastrose» della conferenza internazionale e della generale insipienza degli attori. Così, contestualmente alle proprie dimissioni, Keynes affidava a un testo teso e vibrante considerazioni non episodiche sugli effetti delle decisioni prese sul futuro assetto del continente: decisioni che avrebbero alimentato un risentimento verso il paese, sanzionato dal Trattato stesso quale responsabile unico e «solitario» dello scoppio della guerra (la Germania), quasi annientandone il profilo statuale.
Inoltre, Lord Keynes considerava l’atteggiamento delle nazioni vincitrici, in particolare quello della Francia e dell’Inghilterra, come una riedizione dello spirito ottocentesco da grande potenza corresponsabile dell’inizio della prima guerra mondiale e anticipatore della seconda. Nelle sue pagine appassionate, il grande economista non mancava di segnalare l’irresponsabilità di una condotta politico-diplomatica che associava alla vessazione antitedesca l’accanimento ideologico antibolscevico, giudicato altrettanto insulso della revanche antigermanica, ai fini di una ricomposizione della frattura europea e di un reale ristabilimento della pace.
Il «blocco» sanzionatorio e il «cordone sanitario» imposti al paese dei Soviet gli apparivano «provvedimenti stolidi e miopi», che avrebbero danneggiato non tanto l’esperimento lì in corso quanto l’Europa stessa, incapace di riprogettarsi creativamente. L’invocazione keynesiana, come si sa, sarebbe rimasta lettera morta e quell’accidentato percorso negoziale avrebbe prodotto l’ennesima eterogenesi dei fini. Non a caso la stagione storica che aveva appena terminato di aprirsi era quella della «seconda guerra dei trent’anni».