Neil Armstrong, l’uomo normale che ci regalò il mito della Luna
Neil Armstrong, che aveva rischiato molte volte la vita nel corso di numerosi incidenti su aerei o altri trabiccoli volanti, ieri è stato abbattuto dai postumi di un quadruplo bypass. Aveva da poco compiuto 82 anni, e da decenni aveva scelto di vivere lontano dai riflettori. Non rilasciava interviste e non partecipava alle attività promozionali degli altri astronauti.
Nel film "On the Shadow of the Moon", dove tutti gli astronauti delle missioni Apollo raccontano la loro visione dell’avventura lunare, Armstrong è il grande assente. Aveva fatto un’eccezione solo in occasione dell’invito del Presidente Obama per il festeggiamento del quarantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna. Alla Casa Bianca si era ritrovato con i compagni di allora Buzz Aldrin e Michael Collins.
Pur nel suo isolamento aveva autorizzato James Hansen, lo storico della Nasa, a scrivere "FIRST MAN", una dettagliatissima biografia dalla quale emerge la figura di un uomo dalla disarmante normalità. Altri astronauti erano noti per le loro eccentricità o per i loro eccessi. Neil era quanto di meno eccentrico si possa immaginare. Non che avesse fatto una vita noiosa: pilota della Marina sulle portaerei nella guerra di Corea viene colpito e torna rocambolescamente in territorio amico.
Finita la guerra torna all’Università. Diventa ingegnere aeronautico. È collega di Chuck Yeager, l’uomo che per primo supera la barriera del suono. Sono numerosi gli incidenti che lo vedono coinvolto con carrelli che non funzionano, bombe che non si staccano, motori che esplodono. Anche come astronauta ebbe le sue disavventure: la sua prima missione Gemini 8 doveva provare la manovra di aggancio in orbita con un veicolo Agena senza equipaggio. Si tratta di una manovra molto delicata che Neil portò a termine con successo. Peccato che, a un certo punto, tutto cominciò a ruotare e la missione venne drasticamente accorciata.
Scelto per la missione Apollo 11, Armstrong si trovò a imparare a gestire il modulo lunare. Fu in occasione di una sessione di prova di discesa con il LEM che Armstrong corse un rischio incredibile. Qualcosa andò storto, il modulo divenne ingovernabile. Armstrong si lanciò una frazione di secondo prima che fosse troppo tardi. I colleghi, accorsi alla notizia dell’incidente, furono sorpresi dal trovarlo seduto alla sua scrivania, come se nulla fosse accaduto.
Forse è per questa sua straordinaria affidabilità che la Nasa lo scelse come comandante della prima missione a toccare il suolo lunare. C’era curiosità al centro di controllo circa le parole che avrebbe detto Neil nel toccare il suolo lunare. Nessuno era informato sulle precise parole «that’s one small step for(a) man, one giant leap for mankind».
La scelta di fare uscire Armstrong per primo dal modulo lunare non venne apprezzata da Buzz Aldrin. La storia non dice se ci furono screzi tra i due, quello che è certo è che Aldrin evitò accuratamente di fare foto di Armstrong. L’unica immagine di Neil sulla Luna è la sua riflessione nella visiera di Aldrin. Piantano la bandiera americana, raccolgono sassi, depongono il retro riflettore che, da allora, riflette i fasci laser che gli inviamo per misurare accuratamente la distanza terra-Luna, ma, al momento di partire, si accorgono che la levetta che deve accendere il motore è rotta. Aldrin usa la sua penna per fare contatto e tutto va come previsto.
Armstrong e Aldrin si ricongiungono con Collins che li aveva pazientemente attesi in orbita lunare e tornano a casa con splashdown nel Pacifico e ripescaggio sulla portaerei USS Hornet dove li aspetta il presidente Nixon.
Vale la pena di ricordare che il successo della missione era tutt’altro che scontato e lo stesso Nixon aveva registrato un "coccodrillo" nel caso di un fallimento. Invece tutto andò nel migliore dei modi e, dopo il periodo di quarantena, gli astronauti divennero il simbolo dell’America democratica che ha vinto la corsa alla Luna battendo il colosso sovietico.
* Il Sole-24 Ore, 26 agosto 2012