La nuova pillola si chiama sondino
La Chiesa e il bio-testamento
di Maurizio Mori, presidente Consulta di bioetica
(l’Unità, 22.02.2009)
Tanti oratori si susseguono nella piazza piena sino alle sette di sera. «La nostra non è una battaglia di parte, riguarda la libertà di tutti». È in difesa della Costituzione che garantisce l’inviolabilità della persona.
Perché i cattolici, in buona parte, insistono tanto nell’affermare che la alimentazione e idratazione artificiale sono solo una forma di “sostegno vitale” contro il parere delle associazioni scientifiche? Come ha dichiarato la Sinpe nel gennaio 2007 (la Sinpe è la Società italiana di nutrizione artificiale - parenterale ed enterale - e metabolismo) la nutrizione artificiale «è un trattamento medico a tutti gli effetti; non è una misura ordinaria di assistenza (come lavare o imboccare il malato non autosufficiente); si configura come la ventilazione meccanica o la emodialisi». La risposta alla domanda iniziale è semplice: se non è un trattamento medico come gli altri, allora non può essere oggetto di testamento biologico, atto che riguarda solo la sospensione di terapie mediche. Anche questa tesi è inconsistente, perché qualsiasi atto sulla persona è illegittimo senza il consenso. Ma perché puntare su un contrasto tanto palese e acuto?
Di solito lo si spiega con l’atteggiamento antiscientifico ancora diffuso. C’è molto di vero in questa spiegazione, che però non considera la mentalità sottesa all’altro modo di ragionare, in cui la nutrizione artificiale non va mai sospesa «per l’immenso valore simbolico» che avrebbe. Chi crede che sia un trattamento medico mette in campo dei fatti, mentre gli altri rimandano a simboli - aspetto che rivela come si parlino due lingue diverse.
L’immenso valore in gioco è la indisponibilità o sacralità della vita umana. Un tempo questo valore era insito nell’esistenza quotidiana, ora va affermato almeno solo a livello simbolico. Ma con determinazione fino all’intransigenza per evitare il ripetersi di ciò che è accaduto negli anni ‘60 con la riproduzione. L’incertezza nel condannare la pillola contraccettiva ha finito per avvallare la tesi che le persone hanno la facoltà di controllare le sorgenti della vita. Per contenere la frana c’è voluto il blocco sull’aborto prima e sull’embrione poi, ma la battaglia è partita in svantaggio per via degli iniziali dubbi.
Per la gerarchia ecclesiastica va evitato un errore analogo sul fine della vita. L’appello alla pietà nelle condizioni tragiche non deve diventare veicolo dell’autodeterminazione. Si può concedere che, in casi eccezionali, quando non c’è più niente da fare e il paziente è ormai uno straccio che non ce la fa proprio più, lo si lasci andare. Ma non deve essere lui a decidere, perché va sempre rispettato il ritmo sacro della vita e della morte. Va riaffermato il valore simbolico della nutrizione artificiale per lasciare il pungiglione della sacralità della vita nella nuova situazione del mondo, nella speranza di tempi migliori per ristabilire l’ordine ora perduto. Come si cerca di fare con la riproduzione.
Il corpo come luogo pubblico
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 22.02.2009)
Con il passare dei giorni si fa più netta la natura del conflitto intorno al tema del testamento biologico, che nella prossima settimana verrà discusso al Senato. Nel fuoco delle polemiche che hanno accompagnato le ultime giornate della vita di Eluana Englaro sembrava che una legge dovesse avere una finalità precisa, quella di risolvere le due questioni che avevano appassionato e diviso l’opinione pubblica: le modalità del testamento biologico, per eliminare ogni dubbio sull’effettiva volontà della persona; e l’ammissibilità della rinuncia all’idratazione e alla alimentazione forzata. Ma il disegno di legge della maggioranza ha reso manifesta un’intenzione diversa, più generale, e tanto più inquietante perché incide profondamente sui diritti fondamentali della persona, e così altera lo stesso quadro costituzionale.
Ciò di cui si discute è il rapporto della persona con il suo corpo, dunque l’area più intima e segreta dell’esistenza, alla quale la politica e la legge dovrebbero accostarsi con rispetto e prudenza, consapevoli che vi sono aspetti della vita che la Costituzione ha messo al riparo da ogni intervento esterno, che ha voluto intoccabili.
Negli ultimi anni, invece, in Italia si è venuto consolidando un orientamento diverso, che descriverei ricorrendo al titolo di un libro di Barbara Duden: Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita. Del corpo della donna il legislatore si è pesantemente impadronito con l’autoritaria e proibizionista legge sulla procreazione assistita, negando la libertà femminile e creando davvero quel far west legislativo che si diceva di voler combattere. Oggi, infatti, migliaia di donne emigrano ogni anno in altri paesi per sfuggire agli assurdi divieti di quella legge, obbligate a pesanti costi finanziari e umani, mettendo pure a rischio la salute loro e dei figli che nasceranno.
Ora si vuole far diventare "pubblico" il corpo di tutti noi. Il rifiuto di cure, diritto ovunque riconosciuto e caposaldo della stessa soggettività morale, viene sostanzialmente negato dalla proposta della maggioranza. La sorte del corpo nel tempo del morire è sottratta alla libera decisione dell’interessato, viene affidata ad un medico investito del ruolo di funzionario di uno Stato etico che, appunto, ha proceduto alla "pubblicizzazione" del corpo.
Il testamento biologico diviene un simulacro vuoto, una formula che contiene il suo opposto. Si obbligano le persone ad un infinito iter burocratico, con obblighi continui di recarsi dal notaio, di chiedere firme del medico, di effettuare rinnovi periodici. Tutto questo per approdare al nulla. Il delirio formalistico non produce una volontà da rispettare, ma un "orientamento" che il medico può ignorare del tutto. E non solo viene esclusa la possibilità di rinunciare a trattamenti come l’alimentazione e l’idratazione forzata. Si finisce con il sottrarre alla libera scelta delle persone materie nelle quali il rifiuto è stato finora riconosciuto, dalla trasfusione di sangue alla dialisi, all’amputazione di un arto, al ricorso a tecniche meccaniche e farmacologiche.
Non è di una vicenda specifica, sia pur rilevantissima, di cui dobbiamo preoccuparci. Siamo di fronte ad una ideologia riduzionista del senso e della portata dei diritti fondamentali, che vuole impadronirsi dell’intera vita delle persone. Del nascere si è già impadronita, ora vuole farlo per il morire, e pone pesanti ipoteche sul vivere, come accade quando si rifiuta ogni riconoscimento alle unioni di fatto.
Mettendo così le mani sulla vita delle persone, si mettono pure le mani sulla prima parte della Costituzione che, a parole, si continua a proclamare intoccabile. Si manipolano principi fondativi del nostro sistema, che la Corte costituzionale ha dichiarato immodificabili. E tutto questo avviene mentre tutte le rilevazioni ci dicono che la maggioranza dei cittadini interpellati ritiene che proprio le decisioni sulla vita debbano rimanere patrimonio dell’interessato e della sua famiglia. Si apre così non solo una questione di rispetto della Costituzione, ma di rappresentanza politica. Molti, sempre di più e più spesso, si riuniscono, scendono in piazza. In quali luoghi della politica ufficiale arriverà questa voce?