MAFIA e democrazia
Che rapporto c’è, e non solo in Sicilia
Risponde Umberto Galimberti
La Sicilia: uno Stato nello Stato. Pensavo di essermi rassegnata a questa situazione dopo un po’ di anni che vivo qui e di aver metabolizzato certe regole nonostante siano così distanti dal mio assetto morale. Ma dopo la vittoria incontrastata della destra la mia rabbia è esplosa perché qui la libertà ha un senso diverso da quello enunciato nei dizionari, la legge ufficiale sottostà muta e impotente a una legge invisibile ma ben nota a tutti e rispettata da tutti, l’autonomia di quest’isola non è nello statuto speciale, è nella testa dura di questi isolani che rifiutano il contatto col mondo e con la civiltà.
Qualche anno fa, mi ero trasferita da appena un anno, qualcuno mi chiese: "Ma cos’è la mafia? Esiste davvero?". Allora questa domanda mi sembrò strana e curiosa ma rimasi interdetta e diedi una risposta piuttosto scontata, quasi da manuale scolastico... oggi vorrei qualcuno che mi facesse di nuovo quella domanda, oggi ho una percezione molto più definita di questa "cosa" ed è un bene perché almeno posso elaborare dei meccanismi di convivenza che più o meno equivalgono a faccio finta di niente e mi spalmo come tutti gli altri su questa orrida evidenza.
No, non ci riesco. È come essere in trincea ogni giorno, si lotta anche per il diritto più scontato, solo che qui nessuno sembra sapere cos’è un diritto. Qui diritto è un po’ l’equivalente di mafia per chi non la vive, un concetto astratto e indefinito e può darsi che qualcuno possa domandare: "Ma cos’è un diritto? Esiste davvero?". Qui esistono gli uffici di collocamento come in tutte le città d’Italia, ma se qualcuno vuole veramente un lavoro lo trovi in fila muto, rassegnato e umiliato davanti alla porta dell’ufficio di qualche onorevole.
Tutti lo sanno, tutti lo fanno: è normale, è quella legge non scritta che vale più della legge dello Stato. E si potrebbe continuare per ore, ma lei non ha tempo, e a dire il vero neanche io. Solo che un attimo volevo liberare questa rabbia impotente che mi stava paralizzando il cervello, volevo uscire per un istante da quest’isola terribile e meravigliosa, così faccio un salto ideale a Venezia o a Milano non ha importanza, prendo aria e torno a immergermi nella mia trincea. Chissà se capita anche a lei di aver voglia di scappare ogni tanto?
L’abbraccio con affetto.
Lettera firmata
Non scrivo il suo indirizzo mail per non esporla troppo con la sua denuncia. E questa è già una condizione di impotenza, di opportuna prudenza, ma forse sarebbe meglio dire di mancanza di libertà nonostante la "Casa della libertà" abbia fatto l’en plein dei seggi in Sicilia. Ironia delle parole e paradossalità dei discorsi che vengono a comporre.
Ma non accusi troppo la sua regione e i suoi abitanti che la amano. La mafia non è confinata nella sua isola, anzi prospera proprio perché c’è un’Italia del Nord che non rifiuta di investire il suo denaro illecito. Da fenomeno insulare, la mafia è diventata nazionale e, a giudicare dalla strage di quest’estate in Germania e non solo, internazionale. La sua diffusione così capillare e così invasiva e il suo aspetto così multiforme rende sempre più difficile una sua definizione, per cui non mi meraviglia che si sia in molti a chiedere: "Che cos’è la mafia?". In questa interrogazione c’è quella forma di rimozione per cui non si crede davvero che esista quel che non si riesce ad accettare, o si ha poca speranza di poter sconfiggere. Quando poi le condotte criminali hanno una lunga storia, al punto da sembrare endemiche, allora acquistano l’aspetto dei fenomeni naturali che, per quanto catastrofici, vengono accettati con rassegnazione perché non si sa con chi prendersela.
E invece una strada da dove iniziare c’è, se solo si pone attenzione e si è disposti anche a mettere in discussione parole sacre come "democrazia". Il nostro sistema democratico, che prevede la cooptazione da parte dei partiti di coloro che assicurano un consistente bacino di voti, concorre alla diffusione delle condotte mafiose e alla loro preventiva assoluzione, perché i voti si contano e contano. Il terzo livello, quello tra mafia e politica, prima di essere accertato dalla magistratura, che per pronunciarsi ha bisogno di prove e riscontri, dovrebbe essere accertato dai partiti, per rispettare i quali, non posso credere che ignorino le persone che cooptano nelle loro liste, salvo poi, a elezioni concluse, dissociarsi quando la magistratura riesce a raccogliere prove ed emettere sentenze. Ho detto "dissociarsi" nei casi più eclatanti, perché il più delle volte assistiamo a un indecente giustificazionismo che non di rado sfocia in insulti veri e propri alla magistratura.
Finché non si chiama in causa la politica a partire da quell’elemento "tecnico" che è la modalità di cooptare i suoi amministratori e i suoi onorevoli, la mafia non potrà essere sconfitta, per quanti proclami si facciano e per quanta indignazione si ostenti per le vittime di mafia. Proclami e indignazioni vergognose se solo pensiamo che ancora non si è provveduto a fare una legge che interdica l’elezione di persone condannate con sentenza definitiva.
Lei con la sua lettera dice di avere liberato la sua rabbia manifestando in questo modo un giustificato senso d’impotenza. Ma che ne è di una politica che assiste indifferente all’impotenza dei cittadini-vittime e, se non vittime, indignati di dovere vivere in condizioni di corruzione generalizzata senza un filo di speranza? Il mio disprezzo per molti politici del Nord e del Sud incomincia da qui.
* la Repubblica/D, 20.10.2007.